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"Ciro 'u sergente"

di PEPPE D'URZO

 

Riandando indietro coi ricordi, si tenta di percorrere i "sentieri" della memoria che, purtroppo, ha i suoi "borders", cioè i confini, giunti ai quali ci si trova di fronte tanti volti e tante immagini che ci raccontano le vicende e le storie di personaggi che devono essere ricordati, non fosse altro per arricchire una memoria che non si esaurisce mai.
Dallo scrigno dei ricordi "esce" la gaudente immagine di Giulio Mirano nato a Napoli il 15 luglio dei 1915, coniugato con Raffaela Improta, con la quale ebbe dieci figli. Meglio conosciuto come "Ciro 'u sergente", è attualmente pensionato, ma conserva ancora il fascino e l'eleganza di quando era giovane: il fisico sempre asciutto e guai a "toccargli" quei baffetti alla David Niven. Solitamente gioviale e sorridente in qualsiasi circostanza, i suoi amici li ritrova in villa comunale presso la Casa dei Combattenti e Reduci. Prelevato in fasce dall'orfanotrofio-ospedale dell'Annunziata di Napoli, dove lancia i primi vagiti, viene affidato da una tuttofare di nome Francesca (detta "'a serrengara" ad una famiglia torrese (gli Avvinto, denominati "Mezzoni", della zona di via Libertà), a cui il buon Giulio sarà sempre grato.
Frequentò molto volentieri le scuole elementari (arrivò fino alla sesta) del Municipio in piazza del Plebiscito e le scuole all'aperto (attuale via Riscatto Baronale). Ragazzo del bar Speranza ("Vocca 'i cane") nella zona del porto (scarpetta), in giovane età partecipò ad una sfilata di Piedigrotta; fu preparato un carro raffigurante la poppa di una "corallina", realizzato da abili artigiani torresi che volevano sempre fare bella figura in questa tradizionale festa partenopea. Quando il carro transitò sotto un decorato ed abbellito balcone di Palazzo Reale, il principe Umberto (che vi alloggiava con l'intera famiglia), attratto dalle dolci note della canzone "'A corallina" (di Giuseppe Raiola, detto "Raimir"), cantata dallo autore accompagnato dal coro, fra cui il bravo Giulio (forse cantante mancato), "impose" agli organizzatori di riascoltare quella melodia. Fu un enorme successo.
Il 1935 lo vede indossare gli abiti da militare: da Taranto a San Bartolomeo a Mare (IM), Corso Servizio Direzione Tiro, a Pola, imbarcato sul regio pontone "GM 192" e sulla torpediniera "Polluce". Dopo ventotto mesi di naia, poté godersi il sospirato congedo. Richiamato, fu inviato col grado di sottocapo in Albania, prima a Saseno e poi a Durazzo, coi galloni di sergente, in una batteria antiaerea sulla spiaggia, dalla cui adiacente strada vide transitare moltissimi soldati (italiani e tedeschi), personalità, gerarchi, il re ed il suo seguito.
Tornò in licenza a casa nel 1942. Neppure il tempo di celebrare il matrimonio, che dovette rientrare alla base. L'inverosimile ed indefinibile caos dell'armistizio dell'8 settembre 1943 lo vide coinvolto nella delicata e difficile situazione degli "sbandati" soldati italiani. Qualcuno scappò su barche (anche dalla Grecia), molti perirono, altri si salvarono.
Unitamente ad altri militari decise di rimanere al seguito degli Ufficiali; il giorno dopo fu preso prigioniero dai tedeschi e condotto nei territori del Terzo Reich. Viaggio in treno in vagoni bestiame da Durazzo a Konigsberg (attuale Raliningrad) nell'ex Prussia Orientale Tedesca e, quindi, a Chemnitz (dal 1953, Karl Marx Stadt) in Sassonia. Qui lavorò in un campo dove si trovava una fabbrica che produceva proiettili. Era in compagnia di quattordici italiani, ben voluto dai controllori, dall'ingegnere responsabile dell'impianto e dal milite addetto ai prigionieri, fu affettuosamente chiamato

  

 "Kulius". Le condizioni di vita del campo erano al limite dell'umana sopportazione, i morsi della fame distruggevano i già debilitati e precari fisici degli internati. Una volta, mentre si trovava in una latrina del campo, incontrò un prigioniero italiano (un barbiere napoletano) che, in preda a tremenda disperazione, piangeva perché aveva fame. Si trovò ad entrare un tedesco in abiti borghesi (dipendente della fabbrica), e, siccome Giulio masticava un po' di tedesco, alla richiesta di cosa stesse accadendo, rispose che il poveretto piangeva per la fame. L'operaio, mosso a pietà, ritornando nella latrina, diede all'infelice prigioniero metà della sua colazione.
Poi arrivarono gli alleati e per tre mesi lavorò per loro in una cucina. La guerra finì nel maggio del '45. Con mezzi di fortuna raggiunse l'Italia, da Verona a casa (giugno 1945). Trovò lavoro a Genova come operaio tubista. Imbarcò a Savona su di una nave da carico, in qualità di garzone di cucina, con l'intenzione di rimanere negli Usa. La nave era diretta in America, dal North Carolina arrivò a New York, dove si trovava il suocero. Anche qui trovò lavoro. Era denominato "Gerì", divenne l'uomo di fiducia del titolare di una panetteria e pasticceria. Correva l'anno 1950 (a Torre, gli nacque il figlio Samuele); rientrò in patria, viaggiando per mare come passeggero.
Iniziò l'attività di commerciante di coralli ed oreficeria: profondo conoscitore dell'oro rosso, anche in considerazione dei suoi trascorsi sulle barche (dette "coralline") che si recavano in Sardegna per la pesca del corallo. Si imbarcò dopo aver finito le scuole e acquisì vasta esperienza. Per molti anni andava e veniva dalla Sicilia per piazzare il proprio prodotto; nel '66 aprì un negozio di coralli in Versilia, a Marina di Pietrasanta (LU), gestito, unitamente ai figli (in special modo Samuele) per circa ventotto anni.
Andando a ritroso nel tempo, al caro Giulio (qui ripreso in una foto del 1935), detto anche "'A turranata" in quanto i suoi nonni avevano un carico per la vendita di torrone in via Fontana), vengono alla mente, con immensa gioia, i ricordi di quando si sposò ed ebbe in premio mille lire dal regnante Governo. Anche la sua paga in Marina era più che soddisfacente e, quando era in Albania a Durazzo, nelle ore libere dal servizio, con diletto e passione fungeva da insegnante di italiano ed inglese a molti suoi commilitoni, che furono sempre riconoscenti, ben accettando gli insegnamenti del loro apprezzato sergente.