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Ciro Consolato

di PEPPE D'URZO
 

Nella nostra amata città sotto o a fianco dei palazzi erano ubicati, in genere, locali di falegnameria o adibiti alla lavorazione del corallo. Erano gli "old times" di una volta in cui la gente era probabilmente molto diversa da oggi. Ci si conosceva quasi tutti chiamandosi con gli strangianomi.
Tra le varie falegnamerie riportiamo alla memoria quella di Ciro Consolato, nato a Torre del Greco il 10 marzo 1909 da Margherita Cuneo e da Giuseppe, detto "Peppe 'a limunata", venditore di gelati al limone (da lui preparati) che, con un carretto costruito dal figlio Ciro, girava per le strade cittadine arrivando fino al "Palazzo delle quattro regine", fabbricato in via Nazionale, dopo via del Monte (più avanti a destra) .
La fucina di Don Ciro si trovava in alcuni civici di via XX Settembre fino al n. 38 (ex 44), ex "puteca" di Marcianò. Egli, dal 1966 fino alla veneranda età di 84 anni, vi ha lavorato con giovanile passione ed oculata competenza, poi il figlio Giuseppe (classe 1936), detto "Mastu Peppe" fino a luglio 2001 (pensionato).  L'attività, comunque andrà avanti per atavica tradizione col nipote Salvatore.
"Mastu Ciro" ha iniziato ad imparare il mestiere a sei anni con la ditta Luigi Scarfogliero al corso Cavour ("Ncopp 'i fierri") ed in seguito con Vincenzo D'Orlando (in società col fratello Antonio) in via Diego Colamarino, in cui lavoravano quattro falegnami, tre lucidatori e un incisore del legno. Ricorda la severità e scrupolosità del titolare don Vincenzo che, a suo dire era "mpicciuso 'ncopp 'a fatica". Quando si lavorava non si doveva perder tempo, e chi non era capace, purtroppo veniva licenziato. Un dato è certo: quasi tutti i migliori falegnami, torresi e non, hanno lavorato coi D'Orlando.
Una volta accadde che davanti alle vetrine d'esposizione (che si abbellivano in special modo nel giorno del Giovedì Santo per lo "struscio"), a livello stradale, si fermò un vecchio che osservava gli artistici mobili esposti. Don Vincenzo mandò fuori un suo operaio per far allontanare il vecchio, confuso probabilmente per un mendicante, che non si mosse dall'iniziale posizione. La cosa perdurò un po' fino a che don Vincenzo si recò di persona da lui. Sulle prime non rispose, poi, riferì di voler portare sul posto la figlia per osservare quei meravigliosi mobili. Lei fu subito attratta e fece compere per l'occasione. I mobili furono issati su di un carro e trasportati a Sorrento a casa di quel vecchio, che in realtà era un benestante e proprietario di molti immobili.
Gli operai torresi, a fine lavoro, furono ben retribuiti, e, al ritorno riferirono il tutto. Uno di essi, rivolto a don Vincenzo, gli disse: "Don Viciè, volevate cacciare via quel vecchio ... pezzente non era..."
Ciro, a 14 anni divenne un esperto del mestiere e costruì il suo primo tavolo.
Nel 1944 ebbe una parentesi lavorativa in una falegnameria a Torre Annunziata, ove ebbe un serio infortunio: si tagliò due dita (l'indice e il medio) della mano destra mentre la sega elettrica tagliava un pezzo di legno. In questo locale, vi lavorò un bravo artigiano, un certo Eustachio Masciantaro che si perfezionò anche coi D'Orlando, ai quali fece conoscere il processo della colla a freddo.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, nel grande laboratorio dei fratelli D'Orlando si esibì come esperto e bravo falegname un soldato italiano (all'epoca considerato "sbandato"), originario di Milano.
Il buon Ciro, milite esente (tre fratelli già sotto le armi), rimase alle dipendenze dei D'Orlando fino al 1949 per poi iniziare l'attività in proprio in via XX Settembre. Si unì in matrimonio con Agata Oliviero, dalla quale ebbe sette figli (tre maschi e quattro femmine), di cui Maria Lucia e Armando deceduti a pochi mesi di vita. Al figlio Peppe, bravo ebanista e continuatore del mestiere paterno, vengono in mente i ricordi d'infanzia e di gioventù. La scuola durante il fascismo col saluto al Duce e al Re, le adunate, i saggi ginnici e le esercitazioni paramilitari. Andava a scuola con le "scroccole" ai piedi. Erano scarpe di legno che facevano rumore, per questo ebbe un piccolo schiaffo dalla direttrice d'Istituto. Poi il triste periodo dell'ultima guerra. V'erano ricoveri antiaerei nel palazzo di proprietà Altiero (l'armatore Antonio) al n. 46 comunicante per via sotterranea col n. 35. Fu bombardato un lato di un fabbricato al civico 54 (di proprietà Acquaviva di Napoli) all'interno del giardino, ove vi cadde, col proprio letto, il prete Scarfogliero.
Morì una famiglia al primo piano. Era la vigilia di Pasqua di quel aprile del 1943.
A tal proposito, da alcune fortezze volanti alleate furono lanciati in precedenza sulla nostra città e dintorni di Napoli, numerosi manifestini (attuali volantini) su cui era scritto: "Natale con voi, Pasqua col sangue", e, purtroppo, furono di parola.

 

 

            

Le foto mostrano "Mastu Ciro" Consolato, decano dei falegnami torresi (anno 1975), il figlio Giuseppe ed una pagella scolastica di Giuseppe dell'anno scolastico 1942/'43, prima elementare.

Vi furono anche incursioni aeree in altri luoghi di Torre con morte e distruzione. I rastrellamenti dei Tedeschi sono ben "vivi" negli occhi dell'ultrasessantenne Giuseppe, il quale rimembra tre militari germanici che fecero irruzione nella casa dei suoi genitori in via XX Settembre n. 35. Misero sottosopra le stanze in cerca di giovani ed uomini da prendere ed inviarli a lavorare in Germania. Mentre erano intenti a ciò, si accorsero che un telo di sacco con una svastica nazista, fungeva da coperta ad un lettino, ci risero sopra. Nell'andare via, chiesero di una porticina a destra del ballatoio.
Qualcuno disse loro che all'interno della porticina v'era una stanza pericolante. Stavano per abbatterla quando arrivarono degli ordini in lingua tedesca ed in fretta lasciarono quel posto. All'interno di quella piccola "door" v'erano nascosti Peppe Consolato, Gaetano e Luigino (sarto) Falanga, Francesco Oliviero detto "Francoise" (carpentiere in legno; per un po' di tempo era vissuto in Francia), Pasquale Sinfonico e Francesco Annunziata, detto "'u conte" (militare in licenza). Tirarono un sospiro di sollievo e ringraziarono la buona sorte.
In vico Cirillo, invece, un tedesco fece fuoco su alcuni fuggitivi. Gli Alleati transitarono per Torre e fu gioia grande. Passarono per via Purgatorio e Peppe ricevette da alcuni soldati sopra un carro armato, alcune sigarette, un po' di cioccolata e due "chewing gum".
Marcianò ricevette i "Liberatori" in piazza Luigi Palomba, offrendo loro da bere.
Oltre a Giuseppe, inizialmente pittore-imbianchino, poi falegname, si menzionano altri fratelli: Margherita (1932, casalinga), Mattia (1939, pensionato, ex insegnante Istituto d'Arte), Maria Luigia (1940 casalinga, vedova) e Anna (1946, casalinga).