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"Don Vincenzo
'u baccalaiuoio"

 di Peppe D'Urzo

Sotto l'aspetto umano, caratteriale, professionale, commerciale e quant'altro, fra Sant'Anastasia e Torre del Greco intercorre un certo "feeling", risalente ai primi periodi dell'ultimo dopo guerra. Due lembi di terra vesuviana, fatta di gente laboriosa e legata alle tradizionali istituzioni familiari. Sant'Anastasia il primo centro produttivo alle pendici del monte Somma, uno dei più fertili territori della Campania, in provincia di Napoli; abitanti: 28.367; superficie Kmq. 18.76; altitudine, mt. 150; di origine greca (VI secolo). Il nome del comune viene comunque citato per la prima volta in documenti dell'anno Mille; più volte colpita da eruzioni vulcaniche; in esso troviamo il Santuario della Madonna dell'Arco, con la sua secolare storia, fra i più noti e frequentati luoghi di culto della Campania, legato in maniera particolare alle confraternite dei 'Fujenti' e dei "battenti". Il sacro edificio fu costruito il 01-05-1593 e ristrutturato nel 1878 con la solenne incoronazione della Vergine, voluta da Papa Pio IX.
Il secondo, Torre del Greco, è una città protetta dal monte Vesuvio e rivierasca e molti suoi figli hanno trovato sostentamento sul mare.
Fra i cittadini di Sant'Anastasia che hanno trovato la possibilità di lavorare e stabilirsi a Torre, vogliamo qui ricordare la tipica e pelicurare figura di Vincenzo Maiello (Sant'Anastasia, 20-01-1921-Torre del Greco, 23-01-1999), detto "Don Vincienzo 'u baccalaiuolo", cioè venditore di baccalà (merluzzo (Gadus morrhua) aperto nel senso della lunghezza e conservato sotto sale) e stoccafisso ("'U stocco", merluzzo sventrato, seccato intero al sole e senza sale); era coniugato con Giovanna Andolfi, anch'essa di S. Anastasia (classe: 1923); due i figli: Franco, titolare di negozio in via Falanga n. 34, "Ortofrutta e baccalari da Maiello Franco", e Antonio Paolo, deceduto; tre i nipoti: Vincenzo (coniugato), Paolo e Giovanna.
Don Vincenzo aveva un locale in traversa Avezzana per la vendita di questo tipo di pesce salato e seccato; fuori di esso, fino a qualche tempo fa, c'era la vedova Giovanna, seduta dietro i banchetti in tutto il suo "figurati fèclat"; quando la salutavi con un riverente "Buongiorno", lei ti rispondeva con schietta naturalezza "Buongiorno e salute!"; al presente il locale è un deposito di frutta e ortaggi.
Il Maiello fu avviato alle armi con servizio di leva in Esercito; paracadutista della "folgore " e Nembo" in quel di Pisa; con cinque lanci ne ebbe il brevetto. Fu trasferito in Sardegna; l'armistizio dell' 8 settembre 1943 lo trovò in una caserma a 15 Km. da Cagliari; nei giorni susseguenti in cui si pensò che la guerra per gli italiani fosse del tutto finita, in un clima di totale caos, ci fu un fuggi fuggi generale fra gli smarriti militari del Regno d'Italia. Egli preferì schierarsi contro gli ex compagni d'anni, cioè i tedeschi; molti soldati italiani, invece, si unirono alle truppe germaniche che lasciavano l'isola per raggiungere il continente (probabilmente la Francia); gli italiani erano convinti che una volta raggiunta la Francia, come promesso dai tedeschi, avrebbero fatto ritorno verso i propri cari in Italia, ma ciò purtroppo non accadde, anzi, come ricordava con tanta rabbia in corpo, Maiello, gli ex camerati italiani, tacciati di tradimento, furono gettati in mare (con tutte le anni) dalla nave che portava i tedeschi verso il continente.
Egli, rimanendo al suo posto, ebbe l'ordine dal governo italiano di raggiungere gli alleati (V armata americana e VIII inglese) a Caserta ed accompagnarli verso il nord; passò per il fronte di Cassino (FR) ove ai suoi occhi si presentò un terribile scenario di guerra con l'abbazia di Montecassino che aveva subito numerosi bombardamenti aerei; qui combatté di nuovo contro i tedeschi, con gli scontri anche all'arma bianca. Fu ferito in un combattimento da una scheggia alla gamba destra in provincia di Chieti; ne portava, finche fu in vita, ancora gli indelebili segni.
Arrivò fino a Pescara, ove le forze interalleate proseguirono per il nord dell'italiano suolo a liberarlo dalle orde germaniche sulla via della fuga.
Congedato nel 1945, "Don Vicienzo", era una generosa persona tutta d'un pezzo, "homme" di grande rispetto, dai giusti valori morali, gran lavoratore, geloso e custode del suo passato, legato alle famiglia, severo educatore dei figli, conoscitore della vita in tutti i suoi aspetti; grosso appassionato di caccia; aveva a tal proposito, un cane di nome "Lilla", campione italiano di caccia; altra sua passione erano i cavalli; ne aveva alcuni che faceva correre ad Agnano. Da pensionato viveva con la moglie in via A. Maresca n. 10.
Era il classico venditore itinerante di baccalà, con carretto ed asino; attività intrapresa in gioventù per tradizione familiare; veniva spesso nella nostra città, ove nel dopoguerra, riuscì ad avere una licenza di vendita (con negozio) dal sindaco di allora, Crescenzo Vitelli (Gr. Uff., eletto il 04-11-1946 in carica fino alla morte, avvenuta il 28-05-1950).

   

Fra i suoi tanti ricordi, c'è da menzionare quello di una volta in cui mentre si trovava a Torre e precisamente in piazza L. Palomba nei pressi dei locali del Dazio, si avvicinò al carretto una vecchina che usciva dalla chiesa del Carmine, la quale, annusando l'odore del baccalà, ne comprò una certa quantità; dalla chiesa, poi, tutte le persone, compreso il prete che da poco aveva officiato un rito sacro, uscendovi, si recarono a comprare il "prezioso" alimento che doveva essere recapitato ad un negoziante torrese. La merce subito finì; ci fu bisogno, quindi, di ritornare a S. Anastasia (ove il padre Saverio, coniugato con Luigia D'Auria, anche venditore di frutta, aveva un grande deposito) ed iniziare così l'attività lavorativa nella "Città del corallo"; e così fu. Tale attività si incrementò, in seguito, con in negozio in traversa Avezzana ("'Mmiez 'a piazzetta"); mitica fu anche la sua Fiat "1100" del tipo 'TV/ 10Y, il cui interno "sapeva" di "stocco e baccalà"...  Si era alla fine degli anni sessanta.
Da ricordare, inoltre, che il baccalà, durante il buio periodo della II guerra mondiale con la pesca che scarseggiava in quanto il porto ed il golfo di Napoli e province furono dichiarati "obiettivi" bellici, divenne un pregiato alimento molto venduto e consumato da molto torresi.
Il baccalà fritto, con contorno di scarole anch'esse fritte, è un piatto tipico nostrano, in special modo nelle festività natalizie; è un rito culinario alquanto "venerato" dai torresi; il baccalà (la cui pesca viene esercitata soprattutto nell'Atlantico settentrionale, lungo le coste della Francia, delle isole Lafoten (Norvegia, dell'Islanda, Groenlandia e Nord America) viene scipito in acqua tiepida e dopo qualche giorno è pronto per essere cucinato e servito sulle tavole alle vigilia di Natale, risultando sempre più gustoso e saporito.

Da rimembrare altri "baccalaiuoli" torresi: i compianti Antonino Magliulo ("'Ndulino"), grande tifoso della Turris, Salvatore Anno, bravo calciatore nel ruolo di portiere nel glorioso De Nicola ed altri dislocati un po' ovunque nella nostra storica, pittoresca e folcloristica Torre del Greco.