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Mast'Antonio, marmularo 
`i coppa `u Scupio


di Peppe D'Urzo
 
 

Un'altra figura leggendaria nel panorama dei ricordi della nostra città. Un figlio di Torre che sin da ragazzo imparò il mestiere di marmularo (marmista). Tale attività gli entrò nel sangue e col passar del tempo divenne un artista del marmo. Le cronache cittadine lo hanno a memoria come Antonio Izzo  (Ercolano 1901 - Torre del Greco, 1964), e i più lo ricordano come "Mast'Antonio 'u marmularo 'i coppa 'u Scupio" (via Episcopia). In giovanissima età, proveniente dalla vicina Resina (attuale Ercolano), lavorava presso i vecchi maestri d'epoca (Terrone e Russo) rilevando tutte le capacità e qualità lavorative. Conobbe in seguito la sua futura compagna Gemma Cacace (1901-1990) da cui ebbe i figli Ciro (1930, marmista), Antonio (1934 Marmista), Elena (1938, casalinga) e Franco (1947, professore di musica).
Nel primo grande conflitto mondiale (1915/18), Antonio serve la Patria in Esercito; viene fatto prigioniero  e la nave su cui si trovava come 'nemico' affondò a causa di bombardamenti. Fra peripezie e pericoli vari riuscì a salvarsi e a far ritorno a casa. Qui lavorò ancora sotto i "masti" e verso gli anni 25-26 aprì un piccolo locale (sempre per la lavorazione dei marmo) in via Piscopia - angolo 2° vico Trotti.
Lavorò, aiutato da qualche operaio, in proprio, iniziando così quella che doveva essere la sua primaria attività. Lasciate le scuole elementari si acculturò da solo in maniera autodidatta; si legò alla dottrina politica di regime, provandone totale ammirazione; ben volentieri partecipò alle manifestazioni ed esercitazioni dell'epoca. Nel 1940 per problemi di circolazione agli arti inferiori, gli fu amputata una gamba e nel 1943 gli fu asportata l'altra per un banale incidente (gli cadde una mazzola sul ditone dei piede). Si trovò in convalescenza presso l'ospedale degli Incurabili a Napoli e tale struttura fu bombardata da aerei tedeschi, ci furono morti  con notevoli danni alla costruzione ospedaliera.
Gemma e il figlio Antonio, saputo della notizia, si recarono subito sul posto in cerca del proprio caro. Fu loro detto che i morti erano stati trasportati al cimitero napoletano ed i feriti in un altro Ospedale a Santa Maria Capua Vetere. Non si ebbero più notizie. Dopo più di tre mesi come un raggio di sole illuminante comparve all'inizio del 2°Vico Trotti un soldato dell'Esercito Italiano, si seppe poi che era di Avellino che portava in spalla un uomo senza gambe. Sulle prime la gente del civettuolo vicoletto era incredula, ma poi riconobbe nell'uomo senza gambe il caro e sempre in gamba Antonio che fu consegnato ai familiari in un'atmosfera di commozione e gioia come in quella "Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo che ritorna a casa dalla lunga prigionia.
Ci furono, inoltre, i rastrellamenti dei tedeschi in città; si recarono anche al 2° vico Trotti in cerca dì uomini da inviare nel campi di prigionia in Germania. Molti abitanti del luogo erano nascosti nei ricoveri del palazzo Belvedere detto: “Belleverè") e nel vicolo attiguo, detto "'o vico 'i San Lione," Arrivati quasi a metà della stretta stradina i militi furono "accolti" da Antonio che seduto in terra sui monconi delle gambe, gridando a squarciagola e dimenandosi per quello che poteva, fece loro capire, aiutandosi a gesti e parole, che in quel posto non v'erano uomini nascosti e che i ricoveri erano vuoti.
I tedeschi sorpresi da quell'accoglienza, dopo essersi consultati, gridando ed imprecando andarono via. Fu salvata così la pelle a molti giovani che erano  rintanati nei ricoveri.
Vennero gli alleati in piazza Luigi Palomba fra due ali di popolazione festante; la vita cominciò a sorridere a quanti avevano sofferto.
Si riprese a "vivere" guardando con molta fiducia al futuro. Antonio continuò a lavorare nella sua 'fucina' nonostante la mancanza degli arti inferiori. Seduto per terra scolpiva con maestria il marmo, incidendo artistiche immagini e figure. Sono suoi molti monumenti e cappelle al cimitero cittadino cui


sovraintendeva alla loro messa in opera nei cantieri. Collaborò con l'ingegnere Pappalardo mettendogli a disposizione la propria esperienza. Fra le sue realizzazioni si ricorda lo scalone, per  l'accesso in galleria, dei cine-teatro "Metropolitan", attualmente chiuso. Casa e lavoro, lavoro e casa, ben riuscì a crescere ed educare i figli che lo hanno sempre circondato di affetto. Era un tipo abbastanza scherzoso e ben riusciva a sdrammatizzare lo "status" in cui si trovava. L'onorevole Crescenza Mazza gli fece omaggio di una carrozzella con maniglia, uno dei primi esemplari per invalidi privi di arti inferiori. Era solito quando andava in carrozzella, portare con sé un mazzo di carte napoletane e all'occorrenza le tirava fuori per una partitella; ma le "storiche"  sfide a carte le faceva con i suoi anici fidati coi quali era solito intrattenersi Mastu Pietro e Mastu Tore(piastrellisti, alias "liggiurali"). "Caccaviello", "Masto Aniello" e "Paraviso" (muratori, alias "fravacaturi"). Era uno spettacolo vederli giocare, scenette d'altri tempi come in quei vicoli o stradine del "ventre" di Napoli.
In gioventù se l'era abbastanza "spassata", dopo il lavoro si concedeva qualche piccolo 'sfizio', non disdegnava di correre dietro qualche "gonnella": non v'erano a volte, ostacoli del tipo cancelli, muri, lastricati solari  per raggiungere le sue adorate "puelle", era provvisto di ardente fiamma giovanile.
A distanza di tempo, qualche sua vecchia "fiamma" nel vederlo seduto in carrozzella, molto scherzosamente e simpaticamente, a ricordo dei bei tempi e delle galanti e rocambolesche avventure, gli ripeteva: "Hai fatto chiaggnere 'astiche e lavatore 'e 'mmò te chiaggne 'u c... 'ddu cufunaturo".
In seguito, dallo storico sito, l'attività fu trasferita alla quinta traversa Teatro (cui si riferisce la foto, del 1958, con la lastra di marmo nella quale si riconoscono un certo Pasquale  "quattro mazze", Peppe 'u stagnaro, e i figli di Antonio), e da lì in Via Circonvallazione 116 (dal 1964, "Izzo Marmi 3G-lavorazione artigianale). Antonio   attualmente in pensione,  coordina il   lavoro nel laboratorio di via Circonvallazione e si dedica a lavori artistici. I suoi commoventi ricordi, vanno al primo locale del padre, in esso arrivava il marmo, proveniente da Torre Annunziata, trasportato su di un carretto e poi depositato, con cautela, a mano. In seguito da Napoli e da Carrara. I suoi occhi "rileggono" quella triste pagine di storia locale relativa a quel terribile bombardamento del 13 settembre 1943 che causò la morte a molti cittadini di Torre del Greco: numerose carrette e carrettini transitarono per via Piscopia, erano cariche di cadaveri che venivano portati al cimitero.
In precedenza, alla caduta del regime (fine luglio 1943), assistette in villa comunale (ove si trovava la Casa dei Fascio, poi ospedale "A. Maresca” ed Istituto Nautico) ad un grosso falò di quadri, libri e quanto ricordasse il ventennio.  
In quelle Fiamme si "bruciava" il passato, un passato che non ritorna più ed archiviato dalla storia a memoria futura.