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Ristorante Stefano

di Peppe D'Urzo

Di questo famoso ristorante che aprì i suoi battenti nel lontano 1887, terminando l'attività il 30.04.2004, se n'è già tanto parlato e scritto in quanto ha composto pagine di storia culinaria non solo a Torre del Greco. Si sono succeduti alla conduzione del celebre locale Stefano Palomba e la moglie Colomba Di Luca ("Peppinella 'a vecchia"). Allora era una trattoria lungo via Circonvallazione in direzione del mercato ortofrutticolo: un buon sorso di vino e un po' di formaggio non si negavano a nessuno. In seguito, dal dopoguerra, il figlio Giuseppe ("Don Peppe 'a vecchia"), nato a Torre del Greco il 22.10.1911 ed ivi deceduto il 10.01.1993 e la moglie Augusta Di Luca ("donna Augusta"), nata a Torre del Greco il 04.04.1917, da Augusto e Gelsomina Serpe, tuttora vivente e presente ai fornelli nel suo ristorante fino a qualche anno fa.
I loro figli: Costantino, Stefano, Annamaria (residente a Montesilvano - PE), Germana (impiegata all'Alenia di Pomigliano d'Arco) e Vincenzo, hanno continuato l'attività di ristoratori sino alla "closing" (attuale "Vincy", ristorante pizzeria ed in precedenza i f.lli Apparenza).
Stefano (classe 1940) è un grosso appassionato ed "entendeur" di calcio. Ex calciatore dei Falchi Rossi, militare in marina, ha giocato nella Rappresentativa militare a La Spezia; dirigente e presidente del Club Napoli TorreGreco, allenatore, educatore e talent-scout di molte giovani promesse calcistiche torresi fra cui il compianto Rosario Aquino quando militava nelle file del Livorno. Vincenzo ("Enzo", classe 1955, dipendente dell'Alenia) calcisticamente nasce nella N.A.G.C. (Nucleo Addestramento Giovani Calciatori) della Turris Boys (all.: Franco Pennino, alias "Chiummino"), poi Libertas Torre del Greco, Alba Turris (settore giovanile e promozione), in una squadra di II ctg. di Ercolano ed allenatore nella Libertas (Allievi).
Il ristorante "Da Stefano" (o, "'Ncopp 'addu Stefano") durante le numerose incursioni aeree della II guerra mondiale aveva un ricovero sottostante ove la gente del posto vi si rifugiava. Caddero delle bombe che causarono danni al palazzo degli Onzo in via V. Veneto. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 ci fu la ritirata dei soldati tedeschi che si trasferirono sul fronte di Cassino e la venuta degli alleati che transitarono in via Circonvallazione ("vianova"). L'esercizio commerciale fu ristrutturato nel 1953/54 circa col nome "da Stefano - Giardino delle Acacie". Fra le specialità della casa vogliamo menzionare il rinomato "ragù borbonico", storica prelibatezza sin dai tempi dei Borbone, in cui la salsa col ragù si faceva "pappiare rint' 'u tiano" (tiano tegame di terracotta; etim. dal greco "teganion"). E come ci ricorda il carissimo Costantino, degno ed esperto erede della Palomba "dinasty", tale "sauce" si preparava accuratamente in tre recipienti: il primo per il fondo, il secondo per rosolare la carne, le braciole, le tracchie, le polpette, le cotiche, ecc., ed il terzo per amalgamare il tutto che, ovviamente veniva cucinato a fuoco lento. Il ragù, nel corso del tempo, è sempre stato un rito culinario nella cucina napoletana e torrese, rappresentando un'antica e storica usanza delle nostre tradizioni.
L'arte culinaria (arte del cucinare, gastronomia, riguardante la preparazione dei cibi) - continua a raccontare l'affabile Costantino in modo arguto e facèto - è uno storico francesismo ("culinarie") che, come si narra, sia nato dalla viva voce del re francese Luigi XVI, 1754/1793, il quale, appassionato di fornelli, in una delle sue tante visite, scese nelle regie cucine. Nel mentre osservava quei locali che emanavano deliziosi ed aromatici odori, fu attratto dalla posizione prona di una avvenente e piacente cuoca dalle belle e prominenti natiche. Al che, senza alcun indugio, affermò: "Oh che bel c. . .". E da qui il termine di questa nobile arte, in voga fino ad oggi... Altri prodotti tipici: pesci (i migliori del golfo di Napoli), frutti di mare, zuppa di pesce con linguine e vermicelli, stocco e patate, "pollo alla Stefano", spaghetti al nero di seppia, ecc. ed ottimo vino. Negli anni cinquanta venivano serviti a tavola vini di "Villarosa" (spremuti dall'uva del Vesuvio, dal sapore misterioso, dall'odore della lava che ha sepolto Pompei), in fiaschi: Orvieto Spalletti, Chianti Serristori, Moscato Canelli, e vini di Lettere imbattibili.
Fra la vasta clientela si rimembrano i vari: Walter Chiari, Carlo Giuffrè, Regina Bianchi, Peter O'Toole, Peppe e Concetta Barra, Vittorio Sgarbi, Marisa del Frate, "Geppy" Glejsess, vari calciatori della Turris e del Napoli, fra cui Damiani, Criscimanni, Gnni Improta, Louis Vinicio (all.), politici locali e non, artisti la compagnia dei f.lli Maggio, Debora Caprioglio, Tony May, corallari ed altri. Arnaldo Foà, rimasto particolarmente colpito da alcune specialità della casa, volle conoscere da vicino la cuoca di allora, "donna Augusta", moglie dì Giuseppe. "Signora - le disse - saper cucinare è facile, ma saper cucinare bene è poesia. E lei stasera ha recitato davvero una bella poesia".
Giuseppe Palomba, "don Peppino" così chiamato da tutti quelli che lo conoscevano, divenne balilla nel periodo fascista, poi avanguardista diventando campione campano e vice campione d'Italia nella lotta greco-romana. Con lo scoppio della II guerra mondiale fu richiamato sotto le armi; divenne sergente presso la 157^ sezione Forni "Com.te Rubini Amedeo - Sezione Panettieri" per il vettovagliamento di vari reparti a Tolone (Francia) in località Forcalquiret che era anche presidio militare con 4/5 Ufficiali, una decina di sottufficiali e circa 300 uomini di truppa. Gli Ufficiali nel complesso erano buoni, ma non godevano di popolarità fra i soldati che, in quel periodo avevano il morale alquanto basso per l'esito e lo svolgimento delle operazioni belliche.
L'8 settembre 1943 lo vede partire unitamente ad altri due sergenti e metà dei soldati, con un convoglio ferroviario, composto da una ventina di vagoni, con destinazione Narzole in Piemonte. Il convoglio, dopo la comunicazione della resa incondizionata degli italiani alle preponderanti forze anglo-americane, fu fermato in una stazione che pare si chiamasse "Carmenel" nel Varesotto. Arrivò l'ordine di raggiungere la frontiera italiana al più presto con il carico di cibo ed alimenti. Ci fu un primo tentativo da parte di civili di saccheggiare i vagoni che non riuscì grazie all'intervento di "don Peppino" ed altri militari. Al secondo "assalto" ci fu anche una violenta sparatoria che non riuscì a frenare la rivolta. Al terzo la maggior parte dei soldati abbandonarono le armi; i rimanenti, compreso Giuseppe, il giorno dopo l'armistizio, anche in vista dell'imminente arrivo dei reparti corazzati tedeschi, si dispersero nelle campagne adiacenti in gruppi; per quasi tre mesi vissero alla macchia  ed ospitati in vari cascinali francesi, in cui consumavano la buona scorta di viveri che erano riusciti a recuperare.
Nel gennaio del '44 all'estremo delle forze fu rastrellato e catturato da reparti armati della Todt di Brignoles; evase a febbraio e ad aprile dello stesso anno fu sorpreso in posizione irregolare da un reparto della Wermhacht ed affidato ad un improvvisato campo di internati e successivamente passato ad un reparto germanico, in qualità di prigioniero veterinario senza però essere rinchiuso.

 

 

Nel giugno del '44 riuscì di nuovo ad evadere; arrivò a Mentone ove rimase alla macchia fino all'arrivo degli alleati. In agosto fu aiutato da oriundi italiani che lo sfamarono, lo vestirono e lo nascosero nelle proprie abitazioni. Finalmente nel giugno del '45 si trasferì da Mentone su di un autocarro a "stelle e strisce", e, successivamente con mezzi di fortuna, giunse a Milano, semidistrutta dalla tremenda guerra, in cui stette per un periodo a casa di una sorella.
Giuseppe poté far ritorno a casa per abbracciare i suoi cari che non vedeva da molto tempo, e che abitavano in via G. Marconi n. 6 (trasferiti, in seguito, in via Circonvallazione n. 67).
Rimboccatesi le classiche maniche, si dedicò all'attività di ristoratore; nel 1957 prese in gestione a Casamicciola Ischia un ristorante denominato "Il Vaporetto Azzurro", aperto solo d'estate. Qui organizzò magnifiche serate danzanti, vari concorsi di bellezza con i più famosi cantanti dell'epoca, come: Nicola Arigliano, Marisa Del Frate, Aurelio Fierro ed altri. Dopo alcuni anni tornò a Torre per occuparsi del ristorante "da Stefano".
Era una persona stimata e conosciuta da tutti per la sua bontà e generosità. Era solito scendere al mercato ("piazzetta") per comprare quei prodotti di prima scelta che per tanto tempo hanno allettato i palati dei torresi (di quelli provenienti da luoghi limitrofi. Appassionato di calcio e tifoso della grande e vincente Turris del presidente Gianni Di Maio ("'u presidente"), i calciatori mangiavano nel suo ristorante (in seguito anche altri tesserati "corallini"). Un episodio eclatante fu quando di ritorno da Battipaglia (SA), dopo una sonora sconfitta per tre a zero (Campionato Nazionale Serie D, "G"; stagione calcistica 1969/ 70), al rientro a Torre la squadra fu aspramente contestata; volarono pietre all'indirizzo del pullman; al che il buon Peppino fece rifugiare all'interno del suo locale tutti i calciatori, compreso l'allenatore Eugenio Salar, uno di quei sergenti di ferro razza "Piave", mettendo a repentaglio l'incolumità del proprio ristorante. "Don Peppino" lasciò la vita terrena a causa di un ictus che lo tenne paralizzato a letto per circa tre mesi.
Tre giorni prima della sua morte, alla presenza dei figli Germana e Vincenzo nell'ospedale Nuovo Pellegrini in quel di Napoli, dettò ad essi la compilazione del proprio manifesto di morte: "Così come visse è cessato di battere il cuore nobile e generoso di Giuseppe Palomba". Ancora oggi si parla di lui. Lo ricorderemo sempre con stima ed affetto nel suo aspetto elegante, fiero ed orgoglioso. In quanti lo conobbero, ha sicuramente e senza ombra di dubbio, lasciato una traccia indelebile.
E' la storia dei nostri concittadini, quella storia diafana e cristallina che appartiene, per un verso o per un altro, a tutti coloro che, loro malgrado, sono diventati personaggi della nostra città.