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Giuseppe Visciano
Peppino 'u barbiere

di Peppe D'Urzo

Peppino era solito frequentare l'angolo di Capo Torre, via Roma con via Vittorio Veneto, per intrattenersi a parlare con i soliti amici. Opinioni a confronto, ma quando si parlava di Turris il suo cuore si riempiva di gioiosi ricordi, alquanto improponibili con i tempi attuali. Il suo disappunto riguardava i conti enormi di gestione che non trovavano riscontro con quelli di una volta. Parliamo di una nota figura sportiva che ha fatto parte della storia della Turris: Giuseppe Visciano (detto "Peppino 'u barbiere"), nato a Torre del Greco nel 1921, deceduto nel 1998.
Titolare di un salone all'americana con caratteristica insegna al neon a strisce oblique, al corso Umberto I; il "Barber shop" era frequentato dai giocatori corallini che spesso serviva di "barba e capelli" gratis. Si era verso la fine degli anni '40 e la fraterna amicizia con gli "eroici" calciatori (in special modo con Leonetti, Pedrocchi e Gualtieri) gli rafforzò una passione sportiva, che in seguito divenne un vero e proprio hobby: quello di "manager" (organizzatore di squadre e partite).  E infatti anche quando era marittimo organizzava incontri per tornei in ogni parte del mondo, finanche al Polo Sud, nella "Terra del Fuoco". A giusta ragione fu definito il "barbiere della Turris".
Uomo pacato e tranquillo, provvisto di serenità interiore e di poche ma sagge parole, segnato, però, da una terribile esperienza vissuta nei campi di prigionia durante l'ultima guerra mondiale. Il lungo viaggio di trasferimento dall'Italia meridionale in Germania con i prigionieri stipati sui treni in un groviglio di gambe e di braccia, dove a malapena si riusciva a respirare. Gli addetti alla sorveglianza erano militari nazisti che si comportavano sempre con ferocia. Poi le sofferenze del lavoro forzato, del rigore dell'inverno affrontato con abiti diventati ormai cenci, con fame e varie malattie.
In queste circostanze l'uomo tende a perdere i suoi connotati e sarebbe pronto a compiere ogni bassezza pur di sopravvivere se non lo sostenessero risorse che, talvolta a sua insaputa, proprio davanti alla brutalità più prepotente, sorgono in lui a formare quei sentimenti di speranza e di libertà. Il nostro "coiffeur" ha ripercorso il suo passato con estrema acutezza e grande efficacia. Impresa ardua è analizzare la situazione di generale sbandamento nel fatidico giorno dell'8 settembre 1943 (giorno dell'armistizio), dovuto al collasso delle Forze armate italiane e dello Stato.
Il tutto era aggravato dalla minacciosa presenza dei tedeschi. Questi ultimi avevano ricevuto chiare disposizioni: distruzione dei centri abitati, con il massacro dei civili, se i presidi militari non si fossero arresi. La falsa assicurazione agli ufficiali e ai soldati di essere liberati e di tornare alle proprie famiglie fu un semplice artificio del momento, la parola d'onore non aveva senso con i "traditori". Nei giorni seguenti l'8 settembre, i tedeschi fecero prigionieri oltre seicentomila militari italiani, convincendo molti di loro ad arrendersi. Questi, quasi sempre ammassati nei campi sportivi delle città o nei cortili delle caserme, venivano caricati, poi, su carri bestiame.
Dopo i tragici eventi bellici della resa agli alleati, l'aviere Visciano "fugge" da Foligno, in provincia

  

 

di Perugia (in precedenza si trovava a Capo Terra/CA ed era il barbiere di fiducia di tanti piloti di squadriglia), e, dopo un lungo ed estenuante cammino, attraversando rovinosi percorsi, giunse a Torre del Greco.  Finalmente a casa? Assolutamente, no! E qui, nella natia città, che il 23 settembre del 1943, durante uno dei rastrellamenti, viene preso all'angolo del campanile, fra via Salvator Noto e piazza Santa Croce, dai militi germanici e caricato su di un camion pieno di prigionieri. Come stabilito nel "programma", gli vengono promesse due ore di lavoro e poi a casa.
Le ultime parole famose! Viene, invece, portato in un fabbricato in via Nazionale, denominato "'U palazzo 'dde spiriti", e poi da lì a Maddaloni e Sparanise nel casertano. Infine a Emberodi (ex Prussia orientale): qui Giuseppe ha conosciuto la sua esperienza di internato in campo di concentramento. Altri campi: Coninberg, Elinberg, Pillau e Rubinen, confine Prussia-Russia, preso prigioniero dai russi. "Le condizioni di vita nei campi erano tali che ragazzi sani, quasi tutti giovani vennero falcidiati dalle malattie e dalla debilitazione per scarsità di cibo", sono le parole di don Peppino, di professione barbiere, che, grazie alla sua arte riuscì a sopravvivere a quel allucinante dramma, vissuto fino al suo rimpatrio, avvenuto nel mese di ottobre del 1945, Non si conoscerà mai la cifra precisa dei caduti, anche perchè molti sopravvissuti tornati a casa, non si sono mai più ripresi, cedendo definitivamente alla prostrazione cui erano stati ridotti.
Le cronache sportive della gara Turris-Giulianova, finita 2-1 (serie C/I girone B, stagione 1997/98) di domenica 22 marzo 1998, così riportano: "Prima dell'inizio dell'incontro, un anziano tifoso, Giuseppe Visclano, 77 anni, di vico Fontana (storico tifoso, della Turris) si è accascialo al suolo privo di sensi, ancor prima di varcare il cancello d'ingresso al campo. Trasportato al pronto soccorso, vi è giunto già morto".
La F.C. Turris lo volle ricordare con un manifesto commemorativo che recitava "I dirigenti, i collaboratori, i tecnici e gli atleti tutti si inchinano davanti alla salma del caro Visciano il cui cuore ha sempre palpitato per la Turris". Grazie don Peppino per tutto quello che hai fatto e dato per il glorioso vessillo corallino. Non sei riuscito a varcare la soglia d'ingresso dello stadio "A. Liguori", ma quella della vita eterna sì.