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J’ accuse
Sappi il Sindaco che noi, almeno io di
sicuro, non desisteremo, fino all’ultimo, a lottare per
difendere quello che per noi è un vero e proprio luogo
dell’anima al quale sono legati i ricordi della nostra
infanzia ed adolescenza, e sotto ne riporto alcuni tratti
dal mio libro di recente pubblicazione “IL Sole negli
occhi”. Non posso mollare, a costo di tutto,non posso
permettere quest’ulteriore sfregio alla bellezza della mia
città.
Certo la scala della Ripa non è stata ideata dal Bernini, ma
ha comunque una sua piacevolezza, e poi vista da giù, da via
Libertà mostra tutta la sua armonia nel contesto scenico.
E poi c’è la parte che riguarda la sicurezza, e a tal
proposito ci si chiede se sia stato fatto un esame accurato
del sottosuolo da geologi esperti. Nel progetto stilato
dall’arch. Maria Sollo non c’è ne alcuna traccia .
Il tutto comunque tradisce una cultura rabberciata, una non
conoscenza del nostro territorio e delle sue potenzialità.
La cavità in questione è ricca infatti di reperti della
Torre barocca del seicento, casa, strade… Essa, con
un’amministrazione meno provinciale di sicuro verrebbe
valorizzata piuttosto che distrutta, creando così le
premesse di nuovi posti di lavoro ed invece….
“….Al calar del sole, cantando qualche
canzonetta in voga e celiando con gli amici, iniziava il
ritorno dalle pinete, per noi ambiente inconsueto, al mare,
a noi molto più familiare.
E a sera inoltrata si addiveniva al largo baronale.
Dall’alto scorgevamo le nostre case, quasi lambite dal mare.
Scendevamo, con il cuore leggero le scale. Senza saperlo
avevamo vissuto una giornata irripetibile, una giornata
immersa nella Bellezza, che poi è la vita stessa. Sì, la
Bellezza, che quando non c’è, come oggi, si avverte una
privazione tale che il cuore sembra quasi che cessi di
battere.”
“Il cinese con passo svelto scendeva per via
Salvator Noto. Agile e dinoccolato sembrava non avvertire il
peso dei colli che gli pendevano davanti e di dietro,
sorretti dallo spago doppio, che gli segava le spalle.
Cosi’, da piccoli, di sera tardi, io e mio fratello più
grande vedevamo arrivare nostro padre, con il tram e senza,
almeno cosi’ sembrava, avvertire quei pesi, senza alcuna
smorfia di dolore.
Giungeva da Napoli, ci si recava ogni giorno per rifornire
il negozio, , ed ogni giorno quella fatica immane, quasi
come Sisifo, ogni giorno punto e a capo.
Nella bella piazza, di allora, di Santa Croce, quasi come
una scena di un film neorealista, ci precipitavamo verso di
lui, nel vano tentativo di alleviargli il dolore, ma con il
braccio, quasi a scacciarci, lui proseguiva, imperterrito, a
scendere giù per la discesa fino a via Libertà, dove era il
nostro emporio.
Eravamo cosi’ allora, quasi come i cinesi di oggi, Eravamo,
si, migliori di oggi! Cosa ci sia poi successo è una lunga,
lunghissima storia.”
Vita in
bilico
Era una sera di maggio di alcuni anni fa, lo ricorda
benissimo come se il tutto fosse accaduto avant’ieri.
Vittorio l’aveva lasciata così senza che la cena fosse
terminata. Si era alzato di scatto e senza proferire alcun
parola si era diretto verso l’uscio. Usci, come di consueto
in questi casi, sbattendo la porta. Era cambiato, si rendeva
benissimo conto che non era più lo stesso, guascone ed
irruente.
Negli ultimi tempi si era indebolito, una stanchezza
pervicace gli pervadeva l’anima ed il corpo. Le rampe di
scale che era solito salire, d’impeto, a due a due, adesso
invece gli procuravano affanno già al primo piano. Così
sostava un po’ sul pianerottolo, simulando chissà che cosa
per non darlo a vedere ai vicini, e con una certa
indifferenza riprendeva a salire.
Il medico era stato un po’ brutale, senza girarci affatto
attorno. Cancro alla prostata, aveva proferito, evitando di
guardarlo negli occhi. Era rimasto impassibile, come se la
faccenda riguardasse altri e non lui. Ma poi, uscendo dallo
studio, lo sconforto lo prese ed in un angolo appartato
diede sfogo ad un pianto irrefrenabile. In quel momento si
rese conto che non sarebbe stato più quello di prima. La
malattia lo avrebbe consumato giorno dopo giorno. Se tutto
andava bene, sarebbe divenuto una larva vivente.
Inizio così , quella sera, a girovagare per il paese senza
alcuna meta, solo la mente in subbuglio ed un solo pensiero
fisso: farla finita.
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Ripercorreva le strade della sua memoria, qui il primo
bacio, più avanti la scuola elementare , poi la “vesuviana”
dove tanti anni fa aveva incontrato lei, l’amore della sua
vita.
Era quasi scappato di casa per non tormentarla, per farle
respirare una boccata d’aria. E poi non sopportava la
compassione. Lo sminuiva ai suoi occhi. Dannato cancro! Gli
si era infiltrato dentro, quatto, quatto, senza che se
avvedesse affatto. Un nemico invincibile, ostinato, di
quelli che se pure li vinci, ti distruggono comunque.
Girava e rigirava Torre, ma, cazzo, non trovava un posto
idoneo, che so, un’altura, un precipizio da cui fare il
salto micidiale, tipo Thelma e Louise. Appunto com’è che non
ci aveva pensato?Cavolo, l’auto! Sì, occorreva l’auto per
lanciarsi a tutta birra, sulla scarpetta e affogare così
lentamente .Ma mentre si recava a prenderla gli balenò in
mente il pensiero dei figli, ne aveva due, uno di dodici,
l’altro dieci.
Da grandi, cosa avrebbero pensato di lui, del suo gesto
inconsulto? Poteva mai lasciare loro in eredità la sua
sconfitta esistenziale? No, doveva combattere fino allo
stremo, non doveva soccombere, doveva vincere, per loro.
Così anche se fosse morto, avrebbe vinto comunque. Avrebbe
vinto perche nella vita non è importante vincere bensì
rialzarsi sempre dopo essere caduto, più o meno
rovinosamente.
Così, rinfrancato, entrò in una pasticceria comprò dei dolci
e con il cartoccio in mano fece ritorno a casa.
Ritorno
al passato
Seduto sul gradino di pietra lavica del terrazzo da cui si
poteva mirare il mare da ogni lato, io mi
immergevo,dimentico di tutto, nella lettura dei fumetti.
Mentre al largo nella distesa azzurra i velieri correvano
via veloci lasciando dietro una scia di schiuma bianca, io
sognavo vite impossibili.
Tra i tanti eroi delle strisce amavo seguire le avventure di
Nembo Kid, quello che poi sarebbe divenuto Superman. Il
primo albo lo comprai nel 64 nella bella edicola in stile
liberty in piazza Santa Croce. La copertina, lo ricordo
benissimo, raffigurava Luce Lane, l’eterna fidanzata
dell’uomo d’acciaio, con la testa racchiusa in una scatola
per nascondere la testa trasformata, dall’eterno nemico di
Superman, in quella di una gatta.
Dopo di questo ne vennero tanti altri. Nel tempo ne feci una
discreta collezione, ed amavo così tanto questo fumetto che
a volte immaginavo, come Icaro, di poter spiccare il volo ,
e sempre, cascavo rovinosamente a terra come una pera
matura. Che disdetta!.
E ricordo ancora che a volte, disteso nella fresca penombra
pomeridiana, mentre nella strada la calura stendeva un velo
di silenzio, io sognavo che da un futuro ipertecnologico
venisse a farmi visita un me stesso ormai quasi vecchio.
E come se io adesso partissi per un ritorno al passato a
rivedermi ragazzino, ad osservarmi dall’alto nello scorrere
di un tempo ormai caduto nell’oblio. Avendo cura di
tacitarmi circa i danni procuratemi dallo scorrere del tempo
ed anche di un futuro, immaginato in quel tempo come luogo
di delizie, ed invece, come sappiamo, un tempo agro, io
potrei vedermi girare, da ragazzino, per una Torre ancora,
sebbene povera, intatta nella sua Bellezza. E così,
risalendo per via Cesare Battisti, dopo le Cento Fontane
brulicanti di donne e bambini con fiaschi e catini, con
sulla destra il verde della Castelluccia, ancora intatto nel
suo splendore,io perverrei dove adesso c’e’ una giungla di
cemento. E qui troverei un incanto, una distesa verde con
alberi ed odorosa di gelsomini e fresie…..Lasciamo adesso
che quest’uomo, che poi sarei io stesso, alla vigilia della
vecchiaia, prosegua, con il ragazzino che fu, a percorrere
con stupore quel mondo lontano, che riveda i suoi luoghi
dell’anima ancora non feriti. Sappiamo comunque, al di là
della retorica del bel tempo andato, che non tutto era un
gaio luccichio allora, e sarebbe stupido omettere gli stenti
che uomini e donne, i nostri genitori, hanno patito. Ma e’
stato comunque criminale aver infranto un’ armonia
paradisiaca perchè in fondo se fossimo stati veramente furbi
avremmo potuto senz’altro coniugare la Bellezza con la
Modernità. Ed invece… |