La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta


L'INFANZIA ONIRICA

Pag. 50

J’ accuse

Sappi il Sindaco che noi, almeno io di sicuro, non desisteremo, fino all’ultimo, a lottare per difendere quello che per noi è un vero e proprio luogo dell’anima al quale sono legati i ricordi della nostra infanzia ed adolescenza, e sotto ne riporto alcuni tratti dal mio libro di recente pubblicazione “IL Sole negli occhi”. Non posso mollare, a costo di tutto,non posso permettere quest’ulteriore sfregio alla bellezza della mia città.
Certo la scala della Ripa non è stata ideata dal Bernini, ma ha comunque una sua piacevolezza, e poi vista da giù, da via Libertà mostra tutta la sua armonia nel contesto scenico.
E poi c’è la parte che riguarda la sicurezza, e a tal proposito ci si chiede se sia stato fatto un esame accurato del sottosuolo da geologi esperti. Nel progetto stilato dall’arch. Maria Sollo non c’è ne alcuna traccia .
Il tutto comunque tradisce una cultura rabberciata, una non conoscenza del nostro territorio e delle sue potenzialità. La cavità in questione è ricca infatti di reperti della Torre barocca del seicento, casa, strade… Essa, con un’amministrazione meno provinciale di sicuro verrebbe valorizzata piuttosto che distrutta, creando così le premesse di nuovi posti di lavoro ed invece….

“….Al calar del sole, cantando qualche canzonetta in voga e celiando con gli amici, iniziava il ritorno dalle pinete, per noi ambiente inconsueto, al mare, a noi molto più familiare.
E a sera inoltrata si addiveniva al largo baronale. Dall’alto scorgevamo le nostre case, quasi lambite dal mare. Scendevamo, con il cuore leggero le scale. Senza saperlo avevamo vissuto una giornata irripetibile, una giornata immersa nella Bellezza, che poi è la vita stessa. Sì, la Bellezza, che quando non c’è, come oggi, si avverte una privazione tale che il cuore sembra quasi che cessi di battere.”

“Il cinese con passo svelto scendeva per via Salvator Noto. Agile e dinoccolato sembrava non avvertire il peso dei colli che gli pendevano davanti e di dietro, sorretti dallo spago doppio, che gli segava le spalle.
Cosi’, da piccoli, di sera tardi, io e mio fratello più grande vedevamo arrivare nostro padre, con il tram e senza, almeno cosi’ sembrava, avvertire quei pesi, senza alcuna smorfia di dolore.
Giungeva da Napoli, ci si recava ogni giorno per rifornire il negozio, , ed ogni giorno quella fatica immane, quasi come Sisifo, ogni giorno punto e a capo.
Nella bella piazza, di allora, di Santa Croce, quasi come una scena di un film neorealista, ci precipitavamo verso di lui, nel vano tentativo di alleviargli il dolore, ma con il braccio, quasi a scacciarci, lui proseguiva, imperterrito, a scendere giù per la discesa fino a via Libertà, dove era il nostro emporio.
Eravamo cosi’ allora, quasi come i cinesi di oggi, Eravamo, si, migliori di oggi! Cosa ci sia poi successo è una lunga, lunghissima storia.”

Vita in bilico

Era una sera di maggio di alcuni anni fa, lo ricorda benissimo come se il tutto fosse accaduto avant’ieri. Vittorio l’aveva lasciata così senza che la cena fosse terminata. Si era alzato di scatto e senza proferire alcun parola si era diretto verso l’uscio. Usci, come di consueto in questi casi, sbattendo la porta. Era cambiato, si rendeva benissimo conto che non era più lo stesso, guascone ed irruente.
Negli ultimi tempi si era indebolito, una stanchezza pervicace gli pervadeva l’anima ed il corpo. Le rampe di scale che era solito salire, d’impeto, a due a due, adesso invece gli procuravano affanno già al primo piano. Così sostava un po’ sul pianerottolo, simulando chissà che cosa per non darlo a vedere ai vicini, e con una certa indifferenza riprendeva a salire.
Il medico era stato un po’ brutale, senza girarci affatto attorno. Cancro alla prostata, aveva proferito, evitando di guardarlo negli occhi. Era rimasto impassibile, come se la faccenda riguardasse altri e non lui. Ma poi, uscendo dallo studio, lo sconforto lo prese ed in un angolo appartato diede sfogo ad un pianto irrefrenabile. In quel momento si rese conto che non sarebbe stato più quello di prima. La malattia lo avrebbe consumato giorno dopo giorno. Se tutto andava bene, sarebbe divenuto una larva vivente.
Inizio così , quella sera, a girovagare per il paese senza alcuna meta, solo la mente in subbuglio ed un solo pensiero fisso: farla finita.

  

Pag. 50

 

Ripercorreva le strade della sua memoria, qui il primo bacio, più avanti la scuola elementare , poi la “vesuviana” dove tanti anni fa aveva incontrato lei, l’amore della sua vita.
Era quasi scappato di casa per non tormentarla, per farle respirare una boccata d’aria. E poi non sopportava la compassione. Lo sminuiva ai suoi occhi. Dannato cancro! Gli si era infiltrato dentro, quatto, quatto, senza che se avvedesse affatto. Un nemico invincibile, ostinato, di quelli che se pure li vinci, ti distruggono comunque.
Girava e rigirava Torre, ma, cazzo, non trovava un posto idoneo, che so, un’altura, un precipizio da cui fare il salto micidiale, tipo Thelma e Louise. Appunto com’è che non ci aveva pensato?Cavolo, l’auto! Sì, occorreva l’auto per lanciarsi a tutta birra, sulla scarpetta e affogare così lentamente .Ma mentre si recava a prenderla gli balenò in mente il pensiero dei figli, ne aveva due, uno di dodici, l’altro dieci.
Da grandi, cosa avrebbero pensato di lui, del suo gesto inconsulto? Poteva mai lasciare loro in eredità la sua sconfitta esistenziale? No, doveva combattere fino allo stremo, non doveva soccombere, doveva vincere, per loro. Così anche se fosse morto, avrebbe vinto comunque. Avrebbe vinto perche nella vita non è importante vincere bensì rialzarsi sempre dopo essere caduto, più o meno rovinosamente.
Così, rinfrancato, entrò in una pasticceria comprò dei dolci e con il cartoccio in mano fece ritorno a casa.

Ritorno al passato

Seduto sul gradino di pietra lavica del terrazzo da cui si poteva mirare il mare da ogni lato, io mi immergevo,dimentico di tutto, nella lettura dei fumetti. Mentre al largo nella distesa azzurra i velieri correvano via veloci lasciando dietro una scia di schiuma bianca, io sognavo vite impossibili.

Tra i tanti eroi delle strisce amavo seguire le avventure di Nembo Kid, quello che poi sarebbe divenuto Superman. Il primo albo lo comprai nel 64 nella bella edicola in stile liberty in piazza Santa Croce. La copertina, lo ricordo benissimo, raffigurava Luce Lane, l’eterna fidanzata dell’uomo d’acciaio, con la testa racchiusa in una scatola per nascondere la testa trasformata, dall’eterno nemico di Superman, in quella di una gatta.
Dopo di questo ne vennero tanti altri. Nel tempo ne feci una discreta collezione, ed amavo così tanto questo fumetto che a volte immaginavo, come Icaro, di poter spiccare il volo , e sempre, cascavo rovinosamente a terra come una pera matura. Che disdetta!.
E ricordo ancora che a volte, disteso nella fresca penombra pomeridiana, mentre nella strada la calura stendeva un velo di silenzio, io sognavo che da un futuro ipertecnologico venisse a farmi visita un me stesso ormai quasi vecchio.
E come se io adesso partissi per un ritorno al passato a rivedermi ragazzino, ad osservarmi dall’alto nello scorrere di un tempo ormai caduto nell’oblio. Avendo cura di tacitarmi circa i danni procuratemi dallo scorrere del tempo ed anche di un futuro, immaginato in quel tempo come luogo di delizie, ed invece, come sappiamo, un tempo agro, io potrei vedermi girare, da ragazzino, per una Torre ancora, sebbene povera, intatta nella sua Bellezza. E così, risalendo per via Cesare Battisti, dopo le Cento Fontane brulicanti di donne e bambini con fiaschi e catini, con sulla destra il verde della Castelluccia, ancora intatto nel suo splendore,io perverrei dove adesso c’e’ una giungla di cemento. E qui troverei un incanto, una distesa verde con alberi ed odorosa di gelsomini e fresie…..Lasciamo adesso che quest’uomo, che poi sarei io stesso, alla vigilia della vecchiaia, prosegua, con il ragazzino che fu, a percorrere con stupore quel mondo lontano, che riveda i suoi luoghi dell’anima ancora non feriti. Sappiamo comunque, al di là della retorica del bel tempo andato, che non tutto era un gaio luccichio allora, e sarebbe stupido omettere gli stenti che uomini e donne, i nostri genitori, hanno patito. Ma e’ stato comunque criminale aver infranto un’ armonia paradisiaca perchè in fondo se fossimo stati veramente furbi avremmo potuto senz’altro coniugare la Bellezza con la Modernità. Ed invece…