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Il tesoro
Giù a mare,
negli anni 50, la scuola elementare del quartiere era
ubicata in un palazzo del primo novecento sul corso
Garibaldi. L’edificio, fatiscente fino a poco tempo fa, è
stato recentemente restaurato e, a dire il vero, mantiene,
sebbene essenziale nelle linee architettoniche, una sua
grazia, una certa eleganza, sebbene austera. Noi, ragazzini
d’allora, a scuola si andava rigorosamente a piedi e non
poteva essere diversamente, non esistevano auto. Voglio dire
che solo pochi, i più agiati, ne possedevano qualcuna, per
il resto non era infrequente imbattersi in carrette trainati
da asini ed anche cavalli. I maestri, e qui per carità
cristiana non faccio nomi, sebbene siano da non molto tempo
morti, conservavano un atteggiamento alquanto autoritario,
retaggio del farsesco regime fascista da pochi anni
tracollato. I metodi di insegnamento erano alquanto spicci,
ed era la bacchettata la loro arma prediletta. Allo scopo si
utilizzava una verga di legno duro, qualcuno con un certo
sadismo addirittura di ferro, che veniva sferrata con una
certa virulenza sulla mano del malcapitato che, quasi come
un vezzo, cercava di ritrarla. Inutilmente, un dolore
lancinante lo piegava in due fin quasi a togliergli il
respiro.
Ma, fortunatamente, era a fine lezione, nella tarda
mattinata, che arrivava ciò che fin dalla mattina, si
desiderava ardentemente, tale da inficiare la dovuta
concentrazione. Il tesoro lo portavo un bidello in un sacco
di juta. Cosi’, all’improvviso, i battiti, all’unisono,
acceleravano, il respiro si faceva pesante, gli occhi tutti
concentrati sull’oggetto agognato, ed un silenzio irreale
calava così sull’aula.
Era in quel preciso momento che il maestro diveniva un deus
ex macchina: poteva disporre come voleva, nella più assoluta
discrezionalità, a chi distribuire o meno il tesoro. Con una
certa sacralità scioglieva lo spago ed ecco fuoruscire il
prezioso contenuto: erano panini, sì, panini, con
marmellata, con mortadella e a volte, per me, con la tanto
desiderata carne in scatola.
Iniziava a chiamare chi, secondo lui, per motivi di
indigenza, ne potesse avere più bisogno. E cosi’ man mano
che i panini diminuivano tanto più scemavano le mie
speranze. Niente, mai avuto uno. Il maestro, sapendo che mio
padre era commerciante mi considerava appartenente ad una
categoria non sull’orlo della fame. Il mio stomaco, però di
tutto questo non ne sapeva alcunchè e bofonchiava.
In definitiva tornavo a casa incavolato e con una fame da
lupi e che fino all’ora di pranzo non sapevo affatto come
lenire.
Baci rubati
Certo che i
ragazzi, oggi, non si baciano più sotto i portoni e neanche
più si vedono innamorati scambiarsi tenere carezze sotto la
fioca luce di un lampione. Un po’ di tempo fa non era così.
Ricordo che da ragazzo io stesso ho baciato qualche
ragazzetta in qualche androne deserto per poi subito
scappare via, a gambe levate, al rumore di passi sulle
scale. Era tutto cosi tremendamente difficile, allora!
Trovare una ragazza era infatti un’impresa ardua e si
rimaneva basiti, con la bocca aperta, quando i più scafati
raccontavano le loro prodezze in fatto di amore. C’era da
rodersi il fegato poi nel vedere l’amico scorazzare in coupè
con la più bella di tutte, il miraggio irraggiungibile,
l’oggetto di un desiderio irrefrenabile.
Allora l’amore sembrava essere negato, ed esso infatti era
solo sognato, vagheggiato poichè nella realtà era quasi
introvabile.
Ricordo una domenica di allora, con amici i giro per la
città, alla ricerca vana di qualche bella ragazza. Si
tornava scorati, quelle che si incontravano non erano come
desideravamo. Perché in fondo noi si vagheggiava di
incontrare una tipo Marilyn cosi come l’avevamo vista al
cinema, bellissima, con il vestito bianco svolazzante sopra
la grata del metrò.
Ma gli attimi, i baci furtivi , le timide carezze che quasi
abbiamo rubato, hanno lasciato una traccia indelebile nella
nostra anima. |
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Abbiamo, in
fondo, assaporato, perchè rari, quei momenti di
inconfessabile piacere fino all’ultima stilla.
In fondo, a pensarci adesso, abbiamo attraversato, senza
averne pienamente coscienza, un mondo nel quale aleggiava
ancora un candore, quasi a rasentare la Poesia.
Oggi non più, essa è svanita o perlomeno non la vediamo più.
In fondo siamo divenuti tutti un po’ciechi. Un’epidemia!
I ragazzi di oggi sciamano a frotte, gridando e
gesticolando. E sono in strada fino a tardi, anche le
ragazze. Essi non hanno segreti, sanno tutto del’amore, ma
hanno perso il mistero, la poesia delle cose rubate e dei
baci furtivi.
I colori
rubati
E, se per
incanto, un giorno scomparissero i colori che ne sarebbe
della nostra vita? Senza di essi,non ci sarebbero più le
rose rosse da regalare al proprio amore, ne il mare più ci
rallegrerebbe con i suoi colori struggenti. E il cielo, non
più di un azzurro commovente, calerebbe sui nostri cuori
come un coltre lattiginosa. A che servirà allora avere mille
cose moderne, sfrecciare su bolidi ipertecnologici se il
verde dei campi non ci sorriderà più, a che servirà più
vivere in un mondo dove gli uccelli non canteranno più.
Ecco, come stamane, noi si dà per scontato che, aprendo la
finestra, il cielo ci inebri con i suoi mille colori, che il
sole con i suoi raggi ravvivi le cose tutte traendole
dall’ombra della notte. Ma un giorno potrebbe più non essere
cosi. Il nostro mondo potrebbe precipitare in un buio
siderale, in una notte eterna senza più alcun arcobaleno.
E allora non ci facciamo rubare i colori, essi sono la
nostra vita. Mettiamo dei fiori ai balconi,non imbrattiamo
il blu cobalto del mare, ne vomitiamo cemento sul verde
rimasto… Riprendiamoci la Bellezza perché senza di essa la
nostra vita non ha ragione di esistere.
Attimi
smarriti
Mentre stamane
vangavo nell’orto,riflettevo sugli attimi di vita rubati, su
quegli spazi di tempo precipitati nel pozzo profondo
dell’oblio: ricordi di noi stessi, fotogrammi del nostro
vissuto dei quali la coscienza più non porta alcuna traccia.
Non serbandone più il ricordo, è un po’ come se non li
avessimo mai vissuti, e solo riemergono quando un vecchio
amico ci narra di questo o di quell’episodio nel quale
eravamo anche noi.
E così ,
immemori, si finge di ricordare ma, in cuor nostro, permane
il dolore, lo smarrimento, come se ci fosse stato rubato un
po' della nostra vita.
In fondo, a
ben rifletterci, chi ha vissuto con noi porta in sé una
parte di quel che siamo e così quando un amico se ne va
porta via quegli attimi di noi stessi che nessun altro ci
potrà mai più restituire. Scrive Proust:
"Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel
ricordo, l'attimo antico che l'attrazione d'un attimo
identico è venuta così di lontano a richiamare, a
commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso? Non
so."
E, a volte, come la madeleine, può essere una cosa, un
oggetto a farci precipitare nel passato, in un tempo
dimenticato.
E così se per puro caso dovessimo scivolare in quel mondo
ormai perso e ci vedessimo vivere scopriremo cose della
nostra vita che mai pesavamo di aver vissuto. A ben guardare
i ricordi non svaniscono mai del tutto, ma sono sopiti in
fondo a noi stessi pronti a riemergere, come dice Proust, se
solo si presenta un attimo identico. |