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La nonna che non ho mai conosciuto
Le aveva detto ti voglio bene, lei non aveva
risposto. Solo uno sguardo come a dire pure io. Poi si erano
baciati.
Era il 1928, Mussolini si era già fatto premura di abolire
ogni forma di libertà e ci si avviava verso un regime sempre
più repressivo. Loro, i miei nonni, essendo analfabeti, non
leggevano alcun giornale e quindi non sapevano niente di
niente. Lui a stento sapeva scrivere il suo nome, lei
neanche quello. Quella sera, la sera del bacio, lui era
appena tornato dal lavoro, se lavoro da cristiano si poteva
dire quello di segare tutto il giorno tronchi stando o sopra
o sotto a spezzarsi le reni.
Cosi inizia la loro storia d’amore, una sera all’angolo di
un palazzo di un quartiere vicino al mare, solo la fioca
luce di un lampione a far loro da testimone. Nella penombra
carezzevole si baciano intensamente fino a che lei non corre
via. Ha il viso avvampato, una sensazione mista di vergogna
e di voluttà le serra la gola.
A letto non dorme:un’agitazione di cuore la prende, il
sudore, la smania. Un sentimento cosi non l’aveva mai
provato. Era stata la sua una vita costellata di dolore :il
padre morto giovane e solo lei e la sorella con la mamma a
barcamenarsi per sopravvivere. Aveva imparato a cucire
presto: pantaloni, giacche, gilet. Ricamava anche, lavoro
che le stancava gli occhi e le intorpidiva le mani. A notte
fonda, ormai libera dalle incombenze, valeva men che niente.
Quella notte comunque non dormì. L’alba la trovò che,
insonne, con gli occhi sbarrati fissava il soffitto forse
alla ricerca di qualche risposta. Ma dall’ alto risposte non
ne vennero.
Questa giovane donna, presa dal tumulto della passione è mia
nonna Anna.Di cognome porta Intoccia ed è nata agli albori
del novecento e precisamente nel 1905. La sua sarà una vita
tragica e purtroppo breve. Appena adolescente, come già
detto, le muore il padre, a dire il vero non so come, e per
lei, che l’adorava, sarà un vuoto incolmabile. La mamma si
risposa con un sarto ormai maturo, vedovo con due figlie. È
un uomo già avanti negli anni che da piccoli chiamavano, noi
nipoti, “u nonno cusitore”. Di lui non ho un buon ricordo.
Su una vecchia foto lo si vede brandire una fiasca di vino
in un interno di famiglia dove oltre a mio padre,
giovanissimo, ci sono io e mio fratello Ciro, bambini,
accovacciati tra le gambe dei grandi. Ha un’aria alquanto
allegra, il nonno, forse perchè era un po’ alticcio. Per il
vino appunto.
La nonna non andrà mai d’accordo con le sorellastre. Io le
ho conosciute, une delle due è morta quasi centenaria, e
posso dire che effettivamente non brillavano in simpatia, al
contrario erano invidiose e livorose. In definitiva, a mia
nonna non le rimaneva che la sorella Vincenza, che poi sarà
l’unica confidente delle sue ansie e paure.
Ma quella sera qualcosa si è acceso in lei: è l’amore, ma
lei non è cosciente. L’amore lei non l’aveva visto neanche
al cinema. Infatti lei al cinema non c’era mai andata anche
se le sarebbe piaciuto tanto, ma in casa non c’erano soldi
da spendere, se non per le cose assolutamente necessarie. Ci
restava male quando vedeva le amiche andarci ma, comunque,
alla fine se ne faceva una ragione.
I miei nonni, Ciro lui e Anna lei, si sposarono tre mesi
dopo con una cerimonia asciutta e con pochi testimoni: il
patrigno, la mamma. le sorelle e qualche amica. Vanno ad
abitare in un’unica stanza che attualmente è un deposito.
Precisamente in traversa Liberta, una stradina angusta e
quasi sempre in penombra a pochi passi dal mare. Come
viaggio di nozze non partono certamente per Parigi, o per le
Bahamas o qualche altra località più o meno esotica.
Rimangono a casa poichè allora non esisteva affatto la luna
di miele...... |
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Nonno Ruotolo Ciro
Così una sera, a letto, le disse: domani
parto con i miei fratelli, andiamo in America e purtroppo
penso che non sarà un’assenza breve. Lei pianse, la bocca
asciutta le impediva di parlare: si accarezzarono, si
baciarono e fecero l’amore. L’alba arrivò presto, lui parti
ancora con il sapore di lei sulle labbra. Piangeva dentro,
aveva la sensazione che sarebbe potuto non tornare mai più.
Ci sono foto che lo ritraggono sulla tolda della nave:non
sorride, ha uno sguardo carico di angoscia. Sfido io, appena
sposato veniva brutalmente sradicato dal suo mondo, per
essere catapultato chissà dove.
Adesso
purtroppo devo andare un po’ per immaginazione visto che non
c’è alcuna documentazione riguardante tale viaggio, che so,
lettere, diario o altro. Abbiamo già detto che essi erano
analfabeti.
Si
imbarcarono nel porto di Napoli, non so dire in che giorno,
su un bastimento diretto negli Stati Uniti.
I cosiddetti
bastimenti non erano certo dei transatlantici, possiamo dire
anzi che erano quasi come navi negriere: affollate, sporche,
cibo scadente e nessun tipo di assistenza. La traversata,
che senz’altro sarà durata parecchio, mesi?, li avrà
certamente più che provati.
Quando
finalmente entrarono nel porto di New York, la vista della
statua della Liberta sancì per loro la fine delle
tribolazione, o almeno loro cosi avranno creduto. Dopo il
controllo sanitario ed il relativo periodo di quarantena ad
Ellis Island, l’isola del diavolo, finalmente poterono
toccare il suolo americano. Nella loro fantasia il paese
della cuccagna.
Con i
fratelli trova lavoro in una segheria vicino New York, un
lavoro durissimo per pochi dollari. È abbastanza facile
immaginare il dolore, la nostalgia di questo povero diavolo
che poi era mio nonno. Ma il tutto dura poco. Un chiodo gli
si conficca in un piede, non curato è il tetano:è la fine.
Muore tra terribili spasmi invocando il nome della sua amata
moglie.
I fratelli lo fanno seppellire in una fossa
comune ed essendo clandestini non riescono ad ottenere il
certificato di morte.
Tratto da un
mio racconto
....Non c’era ricchezza, si mangiava poco. Il
sogno era un panino con la frittata oppure con il corned
beef ovvero la carne in scatola. Ci si accontentava, si fa
per dire, della marmellata di cotogna, del pane con il
pomodoro oppure con i fichi quando era periodo. Il pollo era
un lusso, cibo dei ricchi allora. Oggi invece un piatto
banale. La carne quasi come estrema unzione quando si era
ammalati oppure solo di domenica. E poi le banane
irraggiungibili, l’ananas non c’era ancora. C’era, invece,
il calamaro ripieno alla maniera di mia madre. Sublime! Non
vorrei fare un paragone improprio ma era per me come la
madeleine per Proust. Che poi in fondo è solo un dolcetto
burroso a forma di conchiglia.
La sera era poi un teatro all’aperto. Pochi avevano la tv in
casa. Quindi tutti a sedersi fuori ai bar ad assistere a
Lascia o raddoppia. Il bar all’inizio di via Fontana era
sempre gremito, i tavoli occupavano tutto lo spazio
antistante e c’era tanta vita che, senza voler essere
retorici, in quei momenti, era un pò difficile, anche
volendo, rimanere da soli....
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