ARCOBALENO MULTICOLORE CORALLINO


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui raconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa se lo so..."
               
  Giuseppe Marotta

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La nonna che non ho mai conosciuto

Le aveva detto ti voglio bene, lei non aveva risposto. Solo uno sguardo come a dire pure io. Poi si erano baciati.
Era il 1928, Mussolini si era già fatto premura di abolire ogni forma di libertà e ci si avviava verso un regime sempre più repressivo. Loro, i miei nonni, essendo analfabeti, non leggevano alcun giornale e quindi non sapevano niente di niente. Lui a stento sapeva scrivere il suo nome, lei neanche quello. Quella sera, la sera del bacio, lui era appena tornato dal lavoro, se lavoro da cristiano si poteva dire quello di segare tutto il giorno tronchi stando o sopra o sotto a spezzarsi le reni.
Cosi inizia la loro storia d’amore, una sera all’angolo di un palazzo di un quartiere vicino al mare, solo la fioca luce di un lampione a far loro da testimone. Nella penombra carezzevole si baciano intensamente fino a che lei non corre via. Ha il viso avvampato, una sensazione mista di vergogna e di voluttà le serra la gola.
A letto non dorme:un’agitazione di cuore la prende, il sudore, la smania. Un sentimento cosi non l’aveva mai provato. Era stata la sua una vita costellata di dolore :il padre morto giovane e solo lei e la sorella con la mamma a barcamenarsi per sopravvivere. Aveva imparato a cucire presto: pantaloni, giacche, gilet. Ricamava anche, lavoro che le stancava gli occhi e le intorpidiva le mani. A notte fonda, ormai libera dalle incombenze, valeva men che niente. Quella notte comunque non dormì. L’alba la trovò che, insonne, con gli occhi sbarrati fissava il soffitto forse alla ricerca di qualche risposta. Ma dall’ alto risposte non ne vennero.
Questa giovane donna, presa dal tumulto della passione è mia nonna Anna.Di cognome porta Intoccia ed è nata agli albori del novecento e precisamente nel 1905. La sua sarà una vita tragica e purtroppo breve. Appena adolescente, come già detto, le muore il padre, a dire il vero non so come, e per lei, che l’adorava, sarà un vuoto incolmabile. La mamma si risposa con un sarto ormai maturo, vedovo con due figlie. È un uomo già avanti negli anni che da piccoli chiamavano, noi nipoti, “u nonno cusitore”. Di lui non ho un buon ricordo. Su una vecchia foto lo si vede brandire una fiasca di vino in un interno di famiglia dove oltre a mio padre, giovanissimo, ci sono io e mio fratello Ciro, bambini, accovacciati tra le gambe dei grandi. Ha un’aria alquanto allegra, il nonno, forse perchè era un po’ alticcio. Per il vino appunto.
La nonna non andrà mai d’accordo con le sorellastre. Io le ho conosciute, une delle due è morta quasi centenaria, e posso dire che effettivamente non brillavano in simpatia, al contrario erano invidiose e livorose. In definitiva, a mia nonna non le rimaneva che la sorella Vincenza, che poi sarà l’unica confidente delle sue ansie e paure.
Ma quella sera qualcosa si è acceso in lei: è l’amore, ma lei non è cosciente. L’amore lei non l’aveva visto neanche al cinema. Infatti lei al cinema non c’era mai andata anche se le sarebbe piaciuto tanto, ma in casa non c’erano soldi da spendere, se non per le cose assolutamente necessarie. Ci restava male quando vedeva le amiche andarci ma, comunque, alla fine se ne faceva una ragione. 
I miei nonni, Ciro lui e Anna lei, si sposarono tre mesi dopo con una cerimonia asciutta e con pochi testimoni: il patrigno, la mamma. le sorelle e qualche amica. Vanno ad abitare in un’unica stanza che attualmente è un deposito. Precisamente in traversa Liberta, una stradina angusta e quasi sempre in penombra a pochi passi dal mare. Come viaggio di nozze non partono certamente per Parigi, o per le Bahamas o qualche altra località più o meno esotica. Rimangono a casa poichè allora non esisteva affatto la luna di miele......

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Nonno Ruotolo Ciro

Così una sera, a letto, le disse: domani parto con i miei fratelli, andiamo in America e purtroppo penso che non sarà un’assenza breve. Lei pianse, la bocca asciutta le impediva di parlare: si accarezzarono, si baciarono e fecero l’amore. L’alba arrivò presto, lui parti ancora con il sapore di lei sulle labbra. Piangeva dentro, aveva la sensazione che sarebbe potuto non tornare mai più.
Ci sono foto che lo ritraggono sulla tolda della nave:non sorride, ha uno sguardo carico di angoscia. Sfido io, appena sposato veniva brutalmente sradicato dal suo mondo, per essere catapultato chissà dove.
Adesso purtroppo devo andare un po’ per immaginazione visto che non c’è alcuna documentazione riguardante tale viaggio, che so, lettere, diario o altro. Abbiamo già detto che essi erano analfabeti. 
Si imbarcarono nel porto di Napoli, non so dire in che giorno, su un bastimento diretto negli Stati Uniti.
I cosiddetti bastimenti non erano certo dei transatlantici, possiamo dire anzi che erano quasi come navi negriere: affollate, sporche, cibo scadente e nessun tipo di assistenza. La traversata, che senz’altro sarà durata parecchio, mesi?, li avrà certamente più che provati. 
Quando finalmente entrarono nel porto di New York, la vista della statua della Liberta sancì per loro la fine delle tribolazione, o almeno loro cosi avranno creduto. Dopo il controllo sanitario ed il relativo periodo di quarantena ad Ellis Island, l’isola del diavolo, finalmente poterono toccare il suolo americano. Nella loro fantasia il paese della cuccagna. 
Con i fratelli trova lavoro in una segheria vicino New York, un lavoro durissimo per pochi dollari. È abbastanza facile immaginare il dolore, la nostalgia di questo povero diavolo che poi era mio nonno. Ma il tutto dura poco. Un chiodo gli si conficca in un piede, non curato è il tetano:è la fine. Muore tra terribili spasmi invocando il nome della sua amata moglie.
I fratelli lo fanno seppellire in una fossa comune ed essendo clandestini non riescono ad ottenere il certificato di morte.


Tratto da un
mio racconto

....Non c’era ricchezza, si mangiava poco. Il sogno era un panino con la frittata oppure con il corned beef ovvero la carne in scatola. Ci si accontentava, si fa per dire, della marmellata di cotogna, del pane con il pomodoro oppure con i fichi quando era periodo. Il pollo era un lusso, cibo dei ricchi allora. Oggi invece un piatto banale. La carne quasi come estrema unzione quando si era ammalati oppure solo di domenica. E poi le banane irraggiungibili, l’ananas non c’era ancora. C’era, invece, il calamaro ripieno alla maniera di mia madre. Sublime! Non vorrei fare un paragone improprio ma era per me come la madeleine per Proust. Che poi in fondo è solo un dolcetto burroso a forma di conchiglia. 
La sera era poi un teatro all’aperto. Pochi avevano la tv in casa. Quindi tutti a sedersi fuori ai bar ad assistere a Lascia o raddoppia. Il bar all’inizio di via Fontana era sempre gremito, i tavoli occupavano tutto lo spazio antistante e c’era tanta vita che, senza voler essere retorici, in quei momenti, era un pò difficile, anche volendo, rimanere da soli....