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Un incontro fugace
Il camion militare arrivò ad Occhiobello, nei
pressi di Rovigo, di mattina presto. Avevamo viaggiato di
notte partendo da Udine, dov’era la nostra caserma. Il
viaggio non era stato molto agevole, solo un telone come
difesa al freddo intenso di quell’inizio primavera del 1970.
In quell’anno ero militare ad Udine ed eravamo stati mandati
in quel paesino del profondo Veneto a svolgere il presidio
elettorale in una scuola.
Scendemmo nella piazza principale del paese nei pressi della
chiesa:c’era un’atmosfera ferma, silenziosa
che solo il nostro vociare aveva interrotto. In giro non
c’era nessuno. Il tenente che ci comandava ci mise in
libertà, e noi iniziammo a scambiarci impressioni e a fare
programmi su come trovare qualche ragazza.
Intanto iniziammo a girovagare per le viuzze prospicienti la
piazza: tutte deserte. C’erano dei bellissimi portici che la
delimitavano e la chiesa aveva dei rosoni stupendi. In
quell’anno nella provincia italiana si respirava ancora
un’aria, una quiete che pochi anni più tardi verrà
completamente stravolta.
Lei era li con la sua bicicletta di campagna assieme al
fratello più piccolo di qualche anno:aveva un’aria triste
come di chi sente passare il tempo senza cogliere un pizzico
di felicità.
In quel periodo ero molto timido ed ero a disagio quando i
miei compagni vantavano le loro conquiste in fatto di donne:
fino ad allora, anche cercando, non ero riuscito a trovare
niente che si potesse definire un’ avventura amorosa.
Quando la vidi cercai di nascondere la mia ritrosia con un
atteggiamento diciamo un po’ sfrontato, lei mi vide e mi
sorrise. Mi avvicinai ma eravamo entrambi molto a disagio,
non riuscivamo a fare alcunchè.
Fu lei allora a prendere l’iniziativa : mandò via il
fratello con una scusa, accostò la bicicletta alla colonna
di un portico e mi diede la mano. Mi sembrava tutto cosi
irreale: quella piazza, la ragazza e i nostri sguardi come
incantati.
Era molto bella con i suoi occhi azzurri che riflettevano
un’innocenza che difficilmente avrei rivisto negli anni a
venire. Mi prese per mano e mi condusse in una chiesa
alquanto piccola. Da un lato c’era una sagrestia appartata
ed immersa nell’oscurità, completamente deserta. Ci sedemmo
su uno scanno e ci guardammo:allora una tempesta di pensieri
attraversò la mia mente, non sapevo che iniziativa prendere,
volevo baciare le sue labbra ma non potevo, la mia
educazione faceva da freno. Che fare?
Probabilmente anche lei avrà avuto i miei stessi scrupoli.
Allora era così. Ma intanto il tempo passava
e l’incanto poteva scemare. Fu un lampo nel cielo, un
attimo. Fui preso quasi di sorpresa: si alzò di scatto e mi
diede un bacio sulla bocca veloce ma intenso. Corse via
mentre io, attonito, rimasi bloccato nella mia posizione:era
stato un bacio fugace ma aveva un sapore come di aria di
primavera.
Mi ripresi e la rincorsi più in fretta che potei, ma quando
giunsi fuori sul portico lei aveva già inforcato la
bicicletta . Andò via e non l’avrei più rivista.
Allora non avrei mai immaginato, pur avendo avuto altre
storie, che quel bacio mi sarebbe rimasto nell’anima e che,
a distanza di tanti anni, non e’ mai andato via
Il Tempo
Se doveste chiedere ad un vecchio di cento anni, se la sua
vita è stata abbastanza lunga, siatene certi che vi
risponderà che essa è stata come un battito d’ali. Ed è
vero, la nostra vita è drammaticamente breve. Il tempo corre
inesorabile senza una benchè minima tregua. E come vidi in
un film, le albe velocemente volgono al tramonto così come
tanti bagliori che improvvisamente incupiscono. E così di
giorno in giorno noi si addiviene a traguardi che ritenevamo
lontanissimi e che invece sono già il nostro presente.
Quando eravamo bambini già noi eravamo portati a considerare
un quarantenne già un vecchio, e adesso che quell’età
l’abbiamo superata da un pezzo, ci rendiamo conto di come il
tempo si sia bruciato senza che noi ce ne accorgessimo. Le
giornate sono brevissime, le ore corrono impazzite, e non si
fa in tempo a mettere i piedi giù dal letto che già il
crepuscolo avanza. E così si ha l’impressione di non avere
tempo. Lo cerchiamo come l’ossigeno, ma esso corre, corre,
corre, a perdifiato. E le nostre cose, tutto ciò che ci
piacerebbe fare, vengono demandate più in là, in un futuro
che potrebbe anche non esserci più. Ci sentiamo defraudati,
traditi da quei battiti che non si fermano mai e che solo la
noia, a volte, ha il potere di rallentare. E così, come in
quei meriggi estivi, esso di botto sembra cessare la sua
fuga, si avvertono i secondi che scivolano lentissimi e le
lancette dei minuti quasi sembrano ferme tale che ci
assopisce in un incanto fuori dl mondo. Anche l’attesa di un
appuntamento d’amore cessa il tempo. Noi si vorrebbe che le
lancette corressero a perdifiato fino al momento
dell’incontro, ma esse sembrano incollate ed un minuto ha il
sentore dell’eternità . Ma poi nient’alto lo rallenta. La
ripetitività , i giorni che si susseguono tutti uguali gli
danno vigore e così la sera, per tutti noi, arriva
inesorabile ed inaspettata.
Incanto a Capri
Stava li’ riversa sugli scogli , la pelle ambrata,un corpo
perfetto. Vittorio nel vederla, dal mare,ne rimase colpito.
Era talmente bella che smise di nuotare,si aggrappo ad uno
scoglio e, cercando di non darlo a vedere, la osservo’ da
lontano. |
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Lei non si muoveva, sembrava dormire, e i
suoi capelli color miele le coprivano parte del viso.
Era da poco tornato da Torino dove aveva prestato servizio
militare,e con un amico ,Ciro, aveva deciso di trascorrere
quella calda giornata di inizio agosto a Capri. Giunti nella
magnifica insenatura di Marina piccola, non aveva resistito
e si era tuffato in quelle acque cristalline.
Usci’ dal mare e, lentamente, le si avvicino’e le si
accovaccio’ accanto. Lei continuava a dormire, o almeno a
lui cosi’ sembrava. Stette li,in quella posizione un po’,poi
,come un istinto irrefrenabile,accosto’le sue labbra a
quelle di lei,e la bacio’.Solo allora lei apri gli occhi. e
che occhi,stupendi,di un verde intenso.
Gli sorrise,fu un incanto,quasi un ritrovarsi,eppure era la
prima volta che si vedevano. Questo era un dono della vita,
doni che difficilmente vengono concessi. Si chiamava
Margareth ed era australiana,la sua citta’ era Brisbane.
Sii alzo’,era statuaria e anche un po piu’ alta di Vittorio,
ma lui non se ne ebbe a male. Era bellissima!
Si tuffarono assieme,nuotarono al largo. Oggi, a distanza di
tanto tempo,rimane in Vittorio il rammarico di non aver
assaporato ,fino all’ultima stilla, quei momenti che nella
vita possono essere irripetibili, Ma al momento non si sa, e
s vive come se questo fosse un dono fra tanti.
Dalla spiaggia giungevano le note di una canzone che
Vittorio ha sempre amato,” Tous les garçons et les filLES”
di Francouse Hardy.
Il tempo come se si fosse fermato, i cuori battevano quasi
all’unisono,il cielo era di uno splendido azzurro venato da
qualche nube. Si fece ora di pranzo, si rivestirono ed
iniziarono a girovagare tra le viuzze dell’isola. Si
ritrovarono, ad un tratto, in una radura ,tra macchie
odorose di oleandro e gigantesche agave con i loro falli
possenti rivolti al cielo.
Distesi sull’erba, si baciarono ardentemente….fino
all’estasi finale. Ad un tratto qualche goccia d’acqua poi
addirittura uno scroscio. Ridendo come pazzi,che dico, si,
va bene ,pazzi di felicita’, era si’ quella la felicita’,
corsero a perdifiato verso una casa colonica di un bianco
accecante. Si sedettero sui gradini del portico, al riparo
della pioggia.
Lei gli racconto’ della sua vita, del padre violento che,
ubriaco, spesso la picchiava. Lui le carezzo’ gli occhi e la
bacio teneramente. La proprietaria della casa, invece di
mandarli via, si avvicino’ con un involto in mano. Erano due
bei panini al salame. Glieli diede con un sorriso. Forse
dentro di lei aveva rivisto in loro la sua gioventu’ ormai
svanita.
Mangiarono avidamente. Mai cibo fu piu’ buono! Si guardavano
e non smettevano di sorridersi. Intanto un cane abbaiava e
le cicale stordivano con il loro canto insistente.
Era ormai giunta per lei l’ora di tornare. Partiva assieme
ad altri connazionali con un pullman turistico.
Sulla piazzetta assolata, si salutarono malinconicamente. Le
mani si lasciarono lentamente. Non si sarebbero rivisti piu’.
Vittorio la guardo’ partire con una stretta al cuore e
intanto quella manina continuava a salutare… bye bye
Giovinezza
Negli anni della mia giovinezza, la stazione ferroviaria era
un luogo pieno di vita. In estate c’era il bar con i
tavolini all’aperto, e qui, la sera, con amici, si
discorreva di viaggi e di amori nuovi o perduti, nel mentre
le note di” azzurro” riempivano l’aria tiepida . C’era un
viavai di gente, un brusio allegro come di chi parte per le
vacanze. E nell’ombra dei giardinetti, allora ben curati
coppiette di innamorati impudicamente si abbandonavano a
tenere carezze.
All’arrivo del treno
era tutto una concitazione, un richiamarsi. E poi, dopo un
po’, si avvertiva il tonfo delle porte dei vagoni che
sbattevano.
Come un deus ex macchina, ecco il capostazione, che
come un attore, entrava in scena con il berretto rosso in
testa ed il fischietto alla bocca. Tutto sembrava per un
attimo fermarsi, come in un fermo immagine,poi ad un tratto
il fischio….ed il treno partiva.
Se ci si va adesso alla stazione, essa sembra un
teatro vuoto abbandonato in tutta fretta. Non c’è un’anima
viva. Di sera poi c‘è quasi da aver paura, tutto è buio e
riecheggiano solo i propri passi.
Ecco,se questo è il progresso io ne faccio volentieri
a meno, per un tozzo di pane stiamo trasformando le nostre
città in un deserto abitato da fantasmi.
A te
Forse
sei tu quel puntino luminoso nel cielo. Di notte, amo
osservarti ed, in cuor mio, pensare che sei tu che da lassù
mi guardi, che mi segui e che ancora, dopo tanti anni che te
ne sei andata, mi regali una briciola del tuo cuore . Oggi
che ho quasi gli stessi anni di quando, in una calda sera di
maggio, te ne sei andata , io amo illudermi di avere, come
candidamente pensavo da bambino, un angelo custode. E quello
sei tu! La sera, affacciato alla terrazza , sai,
io ti osservo fin quasi a perdermi nella vastità del cielo
luminoso ed il mio cuore turbolento sembra in quegli attimi
acquietarsi. Mi manchi molto invece quando più non ti vedo,
quando una coltre di nubi ti adombra. Lo so che non sono mai
venuto a trovarti là dove ancora giaci. Lo so che ti ho
deluso per quel poco o niente che ti ho dato mentre tu ti
sei lacerata per me. Ancora ti vedo nella penombra della tua
piccola casa, inginocchiata davanti alla Madonna del
Carmine, a pregare per i tuoi cari. Ancora ti vedo, con il
tuo passo celere, venire a cercarci spersi come eravamo
nelle nostre scorribande….
Sì, mi consola pensarti aleggiare
nell’universo infinito piuttosto che a marcire nella terra
nuda. Quel puntino di luce lassù sei tu! Sei tu che ancora
non ti sei stancata ti seguirmi e questo , nei tormenti
della vita, un po’ mi dà pace… ciao nonna.
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