BOCCIOLI  VESUVIANI


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui raconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa se lo so..."
               
  Giuseppe Marotta

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Dedicato a mio fratello Ciro.

Il sogno infranto
Si erano alzati presto e dalla finestra Nicola guardava il lampione sulla strada che ancora fendeva con il suo chiarore il buio livido di quella fredda mattina di un fine gennaio . Appena il padre l’aveva chiamato, sommessamente per non svegliare i fratelli piu’ piccoli, lui in un battibaleno,malgrado il gelo della casa, era saltato giu’ dal letto. Nicola aveva appena sei anni e in quella grigia alba invernale finalmente il padre si era deciso a portarlo con se’ a Napoli. E per lui si realizzava cosi’un sogno per tanto tempo vagheggiato. Immaginava, nel suo candore, che il padre a Napoli conducesse una vita brillante fatta di trattorie trasbordanti di polli arrosti e di piatti stracolmi di fettuccine stillanti sugo, e non vedeva dunque l’ora di entrare in quel mondo incantato
Siamo nel 53 e la realta’, a dispetto dei sogni del ragazzino, era ben piu’ amara. E’ il dopoguerra,la fame e la miseria imperversano e cosi ognuno per barcamenarsi si industria per racimolare quel poco che possa dare la possibilita’ di sopravvivere. E cosi’ anche il papa’ di Nicola si arrangiava. Il suo lavoro, se tale si puo’ dire , era vendere sigarette di contrabbando negli uffici , banche ed altro.
Giunsero a Napoli con un tram,il cui sferragliare fendeva il silenzio di quelle ore antelucane. Rimase subito colpito dalla folla, quasi una fiumana umana. Le strade erano gia’ gremitissime, gente di ogni tipo sciamava dappertutto e le voci dei venditori di pizze ed altro riempivano l’aria.
Aveva una fame da lupi e cosi’ il papa si fermo’ presso una pizzeria. Compro’ una pizza fritta ripiena di ricotta e la divise in due. A pensarci adesso, dopo tantissimi anni, l’atmosfera sembrava essere quella di un film neorealistico. Ed anche i ricordi gli pervengono in bianco nero,senza alcun colore.
Dopo che avevano camminato un bel po’, giunsero in una galleria grandissima e che in alto, a volta, era coperta da un enorme vetrata. Era la bella galleria Umberto, in via Roma. Qui il padre si fermo’, trasse da un borsone di juta che portava con se’ tanti, tantissimi pacchetti di sigarette, di tanti colori. Una parte di essi,in un angolo un pò nascosto, li ficco’ nelle tasche e sotto il maglione di Nicola. L’altra parte la tenne per se’.
“Nicola senti, papa’ adesso va in quella banca. Vedi, vado a cercare di vendere un po’ di questa roba,tu stai fermo qui che torno subito. Per nessun motivo non voglio che tu ti muova da qui”. Detto cio’, velocemente si allontano’.
Rimasto solo, Nicola si senti,piccolo piccolo in quell’ ambiente immenso. Avverti’ un angoscia,un terrore di perdersi ed anche l’amarezza di un sogno che si era dissolto come neve al Sole: capi’ che quella del padre non erra affatto una vita brillante, ma piuttosto quella di un povero diavolo che, con mille espedienti, cercava di sbarcare il lunario. .
Era imbarazzato, era gia’ un’ ora che stava li’ e non riusciva darsi alcun contegno. Andava su’ e giu’. Ogni tanto si fermava a sbirciare qualche vetrina. Ma alla fine , stanco, si accovaccio’ in un angolo. La presenza di quel ragazzino smunto, vestito alla ben meglio e con rigonfi sospetti sotto il maglione e nelle tasche del pantalone non passo’ inosservata. Due carabinieri, insospettiti, gli si avvicinarono e gli chiesero cosa facesse li’ tutto solo. Lui, candidamente rispose che aspettava il papa’ che era andato a vendere le sigarette.
A questo punto non resto’ ai militi, dopo aver indagato cosa nascondesse Nicola sotto gli indumenti, che condurre il ragazzo in questura.
Qui il maresciallo, un omaccione dall’aria bonaria, visto il ragazzino preso dalla disperazione, cerco’ di rassicurarlo e gli fece portare pure qualche dolce. Ecco che, dopo un po’,trafelato, giunse il padre condotto da un giovane carabiniere.
Tutta la merce era stata sequestrata ma il maresciallo,preso in simpatia il ragazzino, non commino’ alcuna multa e cosi alla fine li lascio’ andare via.
Con un po’ di malinconia e con gli occhi leggermente velati Nicola ricorda adesso, come una scena vista da fuori, il padre affranto che presolo per mano, lo porta via dalla questura. E cosi’ la prima cocente delusione inizio’ ad incrinare il modo fatato della sua infanzia.

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Ritorno al passato

Seduto sul gradino di pietra lavica del terrazzo da cui si poteva mirare il mare da ogni lato, io mi immergevo,dimentico di tutto, nella lettura dei fumetti. Mentre al largo nella distesa azzurra i velieri correvano via veloci lasciando dietro una scia di schiuma bianca, io sognavo vite impossibili.
Tra i tanti eroi delle strisce amavo seguire le avventure di Nembo Kid, quello che poi sarebbe divenuto Superman. Il primo albo lo comprai nel 64 nella bella edicola in stile liberty in piazza Santa Croce. La copertina, lo ricordo benissimo, raffigurava Louis Lane, l’eterna fidanzata dell’uomo d’acciaio, con la testa racchiusa in una scatola per nascondere la testa trasformata, dall’eterno nemico di Superman, in quella di una gatta.
Dopo di questo ne vennero tanti altri. Nel tempo ne feci una discreta collezione, ed amavo cosi’ tanto questo fumetto che a volte immaginavo, come Icaro, di poter spiccare il volo , e sempre, cascavo rovinosamente a terra come una pera matura. Che disdetta!.
E ricordo ancora che a volte, disteso nella fresca penombra pomeridiana, mentre nella strada la calura stendeva un velo di silenzio, io sognavo che da un futuro ipertecnologico venisse a farmi visita un me stesso ormai quasi vecchio.
E come se io adesso partissi per un ritorno al passato a rivedermi ragazzino, ad osservarmi dall’alto nello scorrere di un tempo ormai caduto nell’oblio. Avendo cura di tacitarmi circa i danni procuratemi dallo scorrere del tempo ed anche di un futuro, immaginato in quel tempo come luogo di delizie, ed invece, come sappiamo, un tempo agro, io potrei vedermi girare, da ragazzino, per una Torre ancora, sebbene povera, intatta nella sua Bellezza. E cosi’, risalendo per via Cesare Battisti, dopo le Cento Fontane brulicanti di donne e bambini con fiaschi e catini, con sulla destra il verde della Castelluccia, ancora intatto nel suo splendore,io perverrei dove adesso c’e’ una giungla di cemento. E qui troverei un incanto, una distesa verde con alberi ed odorosa di gelsomini e fresie…..Lasciamo adesso che quest’uomo, che poi sarei io stesso, alla vigilia della vecchiaia, prosegua, con il ragazzino che fu, a percorrere con stupore quel mondo lontano, che riveda i suoi luoghi dell’anima ancora non feriti. 
Sappiamo comunque, al di la’ della retorica del bel tempo andato, che non tutto era un gaio luccichio allora, e sarebbe stupido omettere gli stenti che uomini e donne, i nostri genitori, hanno patito. Ma e’ stato comunque criminale aver infranto un’ armonia paradisiaca perche’ in fondo se fossimo stati veramente furbi avremmo potuto senz’altro coniugare la Bellezza con la Modernita’. Ed invece…

Un tempo

Negli anni della mia giovinezza, la stazione ferroviaria era un luogo pieno di vita. In estate c’era il bar con i tavolini all’aperto, e qui, la sera, con amici, si discorreva di viaggi e di amori nuovi o perduti, nel mentre le note di” azzurro” riempivano l’aria tiepida . C’era un viavai di gente, un brusio allegro come di chi parte per le vacanze. E nell’ombra dei giardinetti, allora ben curati coppiette di innamorati impudicamente si abbandonavano a tenere carezze.
All’arrivo del treno era tutto una concitazione, un richiamarsi. E poi, dopo un po’, si avvertiva il tonfo delle porte dei vagoni che sbattevano.
Come un deus ex macchina, ecco il capostazione, che come un attore, entrava in scena con il berretto rosso in testa ed il fischietto alla bocca. Tutto sembrava per un attimo fermarsi, come in un fermo immagine,poi ad un tratto il fischio….ed il treno partiva.
Se ci si va adesso alla stazione, essa sembra un teatro vuoto abbandonato in tutta fretta. Non c’è un’anima viva. Di sera poi c‘è quasi da aver paura, tutto è buio e riecheggiano solo i propri passi.
Ecco,se questo è il progresso io ne faccio volentieri a meno, per un tozzo di pane stiamo trasformando le nostre città in un deserto abitato da fantasmi.