AUTUNNO CORALLINO


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui raconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa se lo so..."
               
  Giuseppe Marotta

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Amerika

Fino a notte fonda il juke box del bar del Caporale, sotto la Ripa, vomitava musica rock, a tutto volume. E cosi, per tutta via Libertà e per i vicoli adiacenti si diffondeva la musica inebriante di Elvis e di Jerry Lee Lewis. Essa entrava negli antri a piano terra ma anche si inerpicava fin sui tetti a botte dai quali sembrava, nelle notti estive, poter abbracciare tutto il firmamento luminoso.
Era la fine degli anni cinquanta, e dopo il grigiore del dopo guerra, ecco esplodere in mille colori il sogno americano. Esso tracimava dappertutto, la musica, i film , i jeans, le t shirt bianche. Si cercava, per quanto fosse possibile di emulare i divi del momento. Disperatamente , guardandoci allo specchio, si sperava che esso , pietoso, ci rimandasse un’ immagine che un pò rassomigliasse a James Dean o a Marlon Brando.
Ma i più erano scorati. I nostri miti sembravano essere irraggiungibili. Sullo schermo essi apparivano alti, belli e con lo sguardo sfrontato e noi al confronto ci sentivamo inadeguati. Per lo più eravamo bassini e con certe faccine smunte ed anemiche. Era il frutto della nostra dieta frugale, essi divoravano bistecche e cosciotti di agnello e noi invece pasta al pomodoro e alici fritte. E poi vestivamo come in “Ladri di biciclette”, con indumenti logori e dai colori crepuscolari. Occorreva dunque una metamorfosi.
Disperatamente dovevamo vestire all’americana con jeans e t shirt. Ma i jeans originali erano carissimi e quasi introvabili per cui ci dovevamo accontentare di quelli fatti in Italia. Ma essi erano informi, la stoffa era granulosa e poi, quantunque sottoposti a reiterati lavaggi, non scolorivano mai. E così si andava a Resina.
Al mercato di Pugliano, meta di nostri continui pellegrinaggi, ci tuffavamo a capofitto nei mucchi di stracci provenienti dall’ America alla disperata ricerca del tesoro: Jeans originali e già consunti. E i fortunati che riuscivano a scovarne uno lo esibivano poi come se neanche fosse stato il vello d’oro.
E quando al cinema Iris si dava un film di Elvis, la sala era gremitissima. Ricordo in “ Acapulco”il boato che segui la fine del tuffo, da un’altezza vertiginosa, del nostro idolo. All’uscita ci sentivamo tutti un pò Elvis. Che tempi!
Ricordo in quel periodo che invidiavo un mio amico che avendo parenti negli USA spesso riceveva pacchi di indumenti dismessi ma originali americani, certe magliette colorate, costumi da bagno…..C’era, per noi affamati atavici, il profumo dell’opulenza, il sentore di un mono lontanissimo.
Si incrinò il tutto nel 64. Il mito iniziò a frantumarsi con la guerra nel Vietnam e con i Beatles. Essi furono come una bomba atomica. Il primo 45 giri che comprai fu” she loves you” con sul retro” come on come on”. Rimanemmo letteralmente folgorati da questa nuova musica al punto ch vacillò finanche il mito di Elvis the pelvis. Fu un nuovo amore, anzi le loro stupende melodie hanno fatto da colonna sonora agli attimi più belli della nostra adolescenza. Comunque evviva tutti , viva Elvis, viva gli Scarafaggi per tutto quello che ci hanno regalato negli anni più belli della nostra vita.
 

A mio padre

Il cinese con passo svelto scendeva per via Salvator Noto. Agile e dinoccolato sembrava non avvertire il peso dei colli che gli pendevano davanti e di dietro,sorretti dallo spago doppio, che gli segava le spalle.
Cosi’, da piccoli, di sera tardi, io e mio fratello piu’ grande vedevamo arrivare nostro padre, con il tram e senza, almeno cosi’ sembrava, avvertire quei pesi, senza alcuna smorfia di dolore.
Giungeva da Napoli , ci si recava ogni giorno per rifornire il negozio,, ed ogni giorno quella fatica immane, quasi come Sisifo, ogni giorno punto e a capo.
Nella bella piazza, di allora, di Santa Croce, quasi come una scena di un film neorealista, ci precipitavamo verso di lui, nel vano tentativo di alleviargli il dolore, ma con il braccio, quasi a scacciarci, lui proseguiva , imperterrito, a scendere giu’per la discesa fino a via Liberta’, dove era il nostro emporio.
Eravamo cosi’ allora, quasi come i cinesi di oggi, Eravamo,si, migliori di oggi! Cosa ci sia poi successo e’ una lunga, lunghissima storia

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La crisi

Dal punto di vista economico quell’anno , il 1928,fu terribile. Di lavoro ce n’era sempre meno, quindi pur di portare qualcosa a casa, almeno l’essenziale,pur di non morire di fame, mio nonno Ciro, con i suoi due fratelli ,si diede alla pesca. Uscivano con una barchetta, a notte fonda ,anche quando il mare era increspato e quindi nel volgere di poco tempo poteva incazzarsi di brutto. Ma anche il mare era divenuto avaro. Le uscite in mare davano scarsi risultati e sembrava sempre piu’ vicino lo spettro della fame. La situazione era tragica, bisognava fare qualcosa pur di uscirne fuori. L’ultima chance era emigrare all’estero alla ricerca di un lavoro, di un qualsiasi lavoro.
Cosi’ una sera ,a letto,le disse-Domani parto con i miei fratelli,andiamo in America e purtroppo penso che non sara’ un’assenza breve-. Lei pianse,la bocca asciutta le impediva di parlare: si accarezzarono,si baciarono e fecero l’amore. L’alba arrivo’ presto,lui parti ancora con il sapore di lei sulle labbra. Piangeva dentro, aveva la sensazione che sarebbe potuto non tornare mai piu’.
Ci sono foto che lo ritraggono sulla tolda della nave:non sorride, ha uno sguardo carico di angoscia. Sfido io, appena sposato veniva brutalmente sradicato dal suo mondo, per essere catapultato chissa’ dove.
Adesso purtroppo devo andare un po’ per immaginazione visto che non c’e’ alcuna documentazione riguardante tale viaggio ,che so, lettere ,diario o altro. Abbiamo gia’ detto che essi erano analfabeti. 
Si imbarcarono nel porto di Napoli ,non so dire in che giorno, su un bastimento diretto negli Stati Uniti.
I cosiddetti bastimenti non erano certo dei transatlantici, possiamo dire anzi che erano quasi come navi negriere: affollate,sporche,cibo scadente e nessun tipo di assistenza. La traversata, che senz’altro sara’ durata parecchio, mesi?, li avra’ certamente piu’ che provati. 
Quando finalmente entrarono nel porto di New york,la vista della statua della Liberta sanci’ per loro la fine delle tribolazione, o almeno loro cosi avranno creduto. Dopo il controllo sanitario ed il relativo periodo di quarantena ad Ellis Island, l’isola del diavolo, finalmente poterono toccare il suolo americano. Nella loro fantasia il paese della cuccagna. 
Con i fratelli trova lavoro in una segheria vicino New York , un lavoro durissimo per pochi dollari. E’abbastanza facile immaginare il dolore ,la nostalgia di questo povero diavolo che poi era mio nonno. Ma il tutto dura poco. Un chiodo gli si conficca in un piede ,non curato e’ il tetano:e’la fine. Muore tra terribili spasmi invocando il nome della sua amata moglie.
I fratelli lo fanno seppellire in una fossa comune ed essendo clandestini non riescono ad ottenere il certificato di morte.
Chissa’ poi come avranno comunicato ....

Negli anni della mia giovinezza, la stazione ferroviaria era un luogo pieno di vita. In estate c’era il bar con i tavolini all’aperto. E qui la sera, con amici, si discorreva di viaggi e di amori nuovi o perduti, nel mentre le note di” azzurro” riempivano l’aria tiepida . C’era un viavai di gente, un brusio allegro come di chi parte per le vacanze. E nell’ombra dei giardinetti, allora ben curati coppiette di innamorati impudicamente si abbandonavano a tenere carezze.
All’arrivo del treno era tutto una concitazione, un richiamarsi. E poi, dopo un po’, si avvertiva il tonfo delle porte dei vagoni che sbattevano.
Come un deus ex macchina, ecco il capostazione, che come un attore, entrava in scena con il berretto rosso in testa ed il fischietto alla bocca. Tutto sembrava per un attimo fermarsi, come in un fermo immagine,poi ad un tratto il fischio….ed il treno partiva.
Se ci si va adesso alla stazione, essa sembra un teatro vuoto abbandonato in tutta fretta. Non c’è un’anima viva. Di sera poi c‘è quasi da aver paura, tutto è buio e riecheggiano solo i propri passi.
Ecco,se questo è il progresso io ne faccio volentieri a meno, per un tozzo di pane stiamo trasformando le nostre città in un deserto abitato da fantasmi.