Spegni la fiamma


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui raconto
e
 
altre non ne conosco perché solo
di me so qualcosa se lo so..."
Da "L'oro di Napoli" Giuseppe Marotta

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Attacco di panico

La prima volta che gli capitò fu a Firenze nella galleria degli Uffizi, davanti al Cristo di Cimabue. Era con la moglie, ed erano sposati appena da un anno. Vittorio allora non aveva ancora trent’anni, e davanti a quel Crocifisso, avverti un mancamento, quasi un venir meno. Dovette sedersi perchè le gambe non lo reggevano ed un custode del museo, visto la scena, chiese se volevano che chiamasse un autoambulanza. Lui niente, e con l’aiuto della moglie riuscì a trascinarsi fuori. E stette lì, seduto, finchè piano piano non gli tornarono le forze. Oggi si direbbe che in fondo non era stato altro che un malessere procurato dalla cosiddetta sindrome di Stendhal. Essa si scatenerebbe, dicono, quando la mente non regge più davanti ad un eccesso di Bellezza. Ma, allora, a Vittorio, per la prima volta, era sembrato di essere stato ad un passo dalla morte . Da quel momento in poi, iniziò per lui un vero e proprio calvario: paura degli spazi chiusi ma anche di quelli troppo aperti, dei luoghi affollati ma anche degli ascensori. Quando usciva di casa poi faceva sempre lo stesso percorso tale da non allontanarsi troppo da casa sua, l’unico luogo che gli infondeva sicurezza. Causa tali malesseri, il lavoro ne risentì. Egli cercava per quanto possibile di rimandare gli impegni che lo costringevano a recarsi in posti lontani. Ma non poteva sempre demandare e cosi, ricorda, che proprio in una torrida giornata di agosto, sarà oramai più di dieci anni fa, che fu costretto ad andare a Roma per un incontro di lavoro. Nel treno fu dilaniato dalle extrasistole, e spesso era costretto a fare lunghi sbadigli perchè avvertiva come se gli mancasse l’aria e poi lo attanagliava l’angoscia di svenire tra estranei.
Giunto nella capitale, nel taxi, una spossatezza mai avvertita fino ad allora, lo prese così tanto che non aveva neanche la forza di ribattere alle domande che il tassista gli rivolgeva. Tutta la giornata fu un calvario al punto che non capì un tubo di quel che si discusse nell’incontro di lavoro. Ma finalmente giunse l’ora di tornarsene a casa, di rientrare in quel porto che lui riteneva essere il luogo più sicuro al mondo.
E fu proprio allora che quel demone infido che quatto quatto si era infiltrato dentro di lui, lo prese a tradimento. Lungo il percorso che lo conduceva alla stazione Termini, il cuore iniziò a correre all’impazzata al punto che non riusciva a contarne i battiti. Nella stazione, lo ricorda come un incubo, trafelato, il suo sguardo passava vertiginosamente da un viso all’altro di chi gli si parava davanti, come a cercare di chiedere aiuto. Salgo sul treno e cosi starò al sicuro, pensò. Ma non fu cosi! Le gambe , senza che ne avesse sentore, vennero meno e a stento riuscì a portarsi al presidio di pronto soccorso delle ferrovie. Il medico di turno, avvezzo a tali malesseri, lo fece sdraiare e poi gli fece trangugiare un bicchiere d’acqua nel quale aveva sciolto una decina di gocce di valium. Poi cercò di rassicurarlo, lei ha avuto un attacco di panico, stia tranquillo che adesso tutto le passerà. Come per incanto, nel volgere di pochi minuti, il cuore si acquietò,e l’anima si rasserenò. Nel treno che poi prese gli tornarono appieno le forze, come se il tutto non fosse stato che un brutto sogno.
Vittorio, nel tempo, con pazienza ha condotto una strenua battaglia per far recedere questo male che sembra essere figlio dei tempi moderni. E un pò l’ha sopito al punto che riesce anche a viaggiar in aereo senza che, in volo, il panico lo induca ad aprire lo sportellone e buttarsi dabbasso e così precipitare…. nel blu dipinto di blu.

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Un velo di tristezza

mi ha adombrato l’anima ieri quando, con l’amico Pasquale D’orsi, mi sono recato nella strada dove sono nato, via Libertà. Eppure la giornata era bella, luminosa, ed il mare, visto dalle scale della Ripa era di un azzurro intenso. Eravamo li’ per fare delle foto,per rivisitare i miei luoghi d’infanzia.

Ma la via Liberta’ di oggi io non la riconosco piu’ . Essa non e’ piu’ il palcoscenico di un’umanita’ cordiale e solidale che io ricordo. Non e’ piu’ rallegrata dalle grida dei bambini ma solo, ho trovato, auto e visi ostili e diffidenti. I portoni, poi, dei bei palazzi di fine ottocento erano tristemente chiusi da cancelli di ferro e le finestre per lo piu’ sbarrate. Anche il mio portone era chiuso e solo grazie ad una mia lontana parente siamo riusciti ad entrare. Ed e’ stato solamente quando siamo saliti sul terrazzo a botte che un soffio di vita ha rallegrato la mia anima .La vista spaziava da Capri ad Ischia mentre leggere nuvole aleggiavano nell’azzurro del cielo. Dall’altro lato ci si immergeva in una visuale inusitata di Largo baronale e piazza Santa Croce,. E cosi’ mentre giu’ tutto era suburra la Bellezza sembrava essersi nascosta piu’ in alto quasi a toccare il Paradiso. E io, estasiato, a mirarla con il cuore finalmente acquietato.
(…)

Pensiero nero seppia

E se per un macabro scherzo un giorno la Morte facesse sciopero, secondo voi, sarebbe un bene o piuttosto una catastrofe per l'umanità? Non abbiate a rallegrarvene, essa sarebbe una ben triste felicità. Immaginatevi in un letto, moribondi, con gli umori nauseabondi che vi colano dal corpo, intrisi di dolori, quale miglior balsamo per lenire queste atroci sofferenze se non l'abbraccio funereo e gelido della morte. Rimanere sospesi, tra mille spasmi, a un flebile filo con la vita e non poter morire. Corsie di ospedali stracolmi di moribondi che non possono esalare l'ultimo respiro, famiglie alle prese con malati terminali che non riescono a terminare quel briciolo di vita che loro rimane. E su tutto un atroce odore di putrescenza. La Sanità e lo Stato stesso allo sfascio, alla bancarotta per le spese atte a sostenere questo esercito di zombi. Quindi un plauso alla Morte, questo convitato di pietra che prima non si aveva timore di mostrare e che oggi si occulta come se fosse un qualcosa di cui vergognarsi. Come se essa, la Morte, non fosse essa stessa fonte di vita.

Mia cugina,

in via Libertà a vent'anni durante una mia rara e breve licenza militare. Dietro si scorge il chiosco dei Cipale così come narro nel mio racconto "Via Libertà e dintorni", pubblicato sul ultimo numero della Tofa, ancora in edicola.
.......Eccoci finalmente all’inizio di via Libertà. Scendendo, all’angolo attiguo alla macelleria, campeggia il mitico chiosco dei Cipale. Essi, d’estate, lenivano la nostra arsura con i cazzabocchi, ghiaccio grattato c’a machinetta, un arnese di metallo, ed irrorato con variopinti sciroppi, il tricolore di orzata, amarena e menta. Invece d’inverno bollivano, dopo averle mondate, cumuli di pannocchie, i ppullanghelle, u spichetto. Erano buonissime. I Cipale erano, in fatto di economia del vicolo, molto fantasiosi ed eclettici. Abitavano a piano terra in via Traversa Libertà e qui vendevano caramelle ed altre piccole cose tra cui gli aquiloni, i ccumete, fatti con la carta velina. Io, diamine, non sono mai riuscito a farne volare uno. Sempre si schiantavano miseramente al suolo battendo violentemente su una recchia.