Pag. 37
Attacco di panico
La prima volta che gli capitò fu a Firenze nella galleria
degli Uffizi, davanti al Cristo di Cimabue. Era con la
moglie, ed erano sposati appena da un anno. Vittorio allora
non aveva ancora trent’anni, e davanti a quel Crocifisso,
avverti un mancamento, quasi un venir meno. Dovette sedersi
perchè le gambe non lo reggevano ed un custode del museo,
visto la scena, chiese se volevano che chiamasse un
autoambulanza. Lui niente, e con l’aiuto della moglie riuscì
a trascinarsi fuori. E stette lì, seduto, finchè piano piano
non gli tornarono le forze. Oggi si direbbe che in fondo non
era stato altro che un malessere procurato dalla cosiddetta
sindrome di Stendhal. Essa si scatenerebbe, dicono, quando
la mente non regge più davanti ad un eccesso di Bellezza.
Ma, allora, a Vittorio, per la prima volta, era sembrato di
essere stato ad un passo dalla morte . Da quel momento in
poi, iniziò per lui un vero e proprio calvario: paura degli
spazi chiusi ma anche di quelli troppo aperti, dei luoghi
affollati ma anche degli ascensori. Quando usciva di casa
poi faceva sempre lo stesso percorso tale da non
allontanarsi troppo da casa sua, l’unico luogo che gli
infondeva sicurezza. Causa tali malesseri, il lavoro ne
risentì. Egli cercava per quanto possibile di rimandare gli
impegni che lo costringevano a recarsi in posti lontani. Ma
non poteva sempre demandare e cosi, ricorda, che proprio in
una torrida giornata di agosto, sarà oramai più di dieci
anni fa, che fu costretto ad andare a Roma per un incontro
di lavoro. Nel treno fu dilaniato dalle extrasistole, e
spesso era costretto a fare lunghi sbadigli perchè avvertiva
come se gli mancasse l’aria e poi lo attanagliava l’angoscia
di svenire tra estranei.
Giunto nella capitale, nel taxi, una spossatezza mai
avvertita fino ad allora, lo prese così tanto che non aveva
neanche la forza di ribattere alle domande che il tassista
gli rivolgeva. Tutta la giornata fu un calvario al punto che
non capì un tubo di quel che si discusse nell’incontro di
lavoro. Ma finalmente giunse l’ora di tornarsene a casa, di
rientrare in quel porto che lui riteneva essere il luogo più
sicuro al mondo.
E fu proprio allora che quel demone infido che quatto quatto
si era infiltrato dentro di lui, lo prese a tradimento.
Lungo il percorso che lo conduceva alla stazione Termini, il
cuore iniziò a correre all’impazzata al punto che non
riusciva a contarne i battiti. Nella stazione, lo ricorda
come un incubo, trafelato, il suo sguardo passava
vertiginosamente da un viso all’altro di chi gli si parava
davanti, come a cercare di chiedere aiuto. Salgo sul treno e
cosi starò al sicuro, pensò. Ma non fu cosi! Le gambe ,
senza che ne avesse sentore, vennero meno e a stento riuscì
a portarsi al presidio di pronto soccorso delle ferrovie. Il
medico di turno, avvezzo a tali malesseri, lo fece sdraiare
e poi gli fece trangugiare un bicchiere d’acqua nel quale
aveva sciolto una decina di gocce di valium. Poi cercò di
rassicurarlo, lei ha avuto un attacco di panico, stia
tranquillo che adesso tutto le passerà. Come per incanto,
nel volgere di pochi minuti, il cuore si acquietò,e l’anima
si rasserenò. Nel treno che poi prese gli tornarono appieno
le forze, come se il tutto non fosse stato che un brutto
sogno.
Vittorio, nel tempo, con pazienza ha condotto una strenua
battaglia per far recedere questo male che sembra essere
figlio dei tempi moderni. E un pò l’ha sopito al punto che
riesce anche a viaggiar in aereo senza che, in volo, il
panico lo induca ad aprire lo sportellone e buttarsi
dabbasso e così precipitare…. nel blu dipinto di blu. |
Pag. 37
Un velo di tristezza
mi ha adombrato l’anima ieri quando, con l’amico Pasquale
D’orsi, mi sono recato nella strada dove sono nato, via
Libertà. Eppure la giornata era bella, luminosa, ed il mare,
visto dalle scale della Ripa era di un azzurro intenso.
Eravamo li’ per fare delle foto,per rivisitare i miei luoghi
d’infanzia.
Ma la via Liberta’ di oggi
io non la riconosco piu’ . Essa non e’ piu’ il palcoscenico
di un’umanita’ cordiale e solidale che io ricordo. Non e’
piu’ rallegrata dalle grida dei bambini ma solo, ho
trovato, auto e visi ostili e diffidenti. I portoni, poi,
dei bei palazzi di fine ottocento erano tristemente chiusi
da cancelli di ferro e le finestre per lo piu’ sbarrate.
Anche il mio portone era chiuso e solo grazie ad una mia
lontana parente siamo riusciti ad entrare. Ed e’ stato
solamente quando siamo saliti sul terrazzo a botte che un
soffio di vita ha rallegrato la mia anima .La vista spaziava
da Capri ad Ischia mentre leggere nuvole aleggiavano
nell’azzurro del cielo. Dall’altro lato ci si immergeva in
una visuale inusitata di Largo baronale e piazza Santa
Croce,. E cosi’ mentre giu’ tutto era suburra la Bellezza
sembrava essersi nascosta piu’ in alto quasi a toccare il
Paradiso. E io, estasiato, a mirarla con il cuore finalmente
acquietato.
(…)
Pensiero nero seppia
E se per un macabro scherzo un giorno la
Morte facesse sciopero, secondo voi, sarebbe un bene o
piuttosto una catastrofe per l'umanità? Non abbiate a
rallegrarvene, essa sarebbe una ben triste felicità.
Immaginatevi in un letto, moribondi, con gli umori
nauseabondi che vi colano dal corpo, intrisi di dolori,
quale miglior balsamo per lenire queste atroci sofferenze se
non l'abbraccio funereo e gelido della morte. Rimanere
sospesi, tra mille spasmi, a un flebile filo con la vita e
non poter morire. Corsie di ospedali stracolmi di moribondi
che non possono esalare l'ultimo respiro, famiglie alle
prese con malati terminali che non riescono a terminare quel
briciolo di vita che loro rimane. E su tutto un atroce odore
di putrescenza. La Sanità e lo Stato stesso allo sfascio,
alla bancarotta per le spese atte a sostenere questo
esercito di zombi. Quindi un plauso alla Morte, questo
convitato di pietra che prima non si aveva timore di
mostrare e che oggi si occulta come se fosse un qualcosa di
cui vergognarsi. Come se essa, la Morte, non fosse essa
stessa fonte di vita.
Mia cugina,
in via Libertà a vent'anni durante una mia rara e breve
licenza militare. Dietro si scorge il chiosco dei Cipale
così come narro nel mio racconto "Via Libertà e dintorni",
pubblicato sul ultimo numero della Tofa, ancora in edicola.
.......Eccoci finalmente all’inizio di via Libertà.
Scendendo, all’angolo attiguo alla macelleria, campeggia il
mitico chiosco dei Cipale. Essi, d’estate, lenivano la
nostra arsura con i cazzabocchi, ghiaccio grattato c’a
machinetta, un arnese di metallo, ed irrorato con variopinti
sciroppi, il tricolore di orzata, amarena e menta. Invece
d’inverno bollivano, dopo averle mondate, cumuli di
pannocchie, i ppullanghelle, u spichetto. Erano buonissime.
I Cipale erano, in fatto di economia del vicolo, molto
fantasiosi ed eclettici. Abitavano a piano terra in via
Traversa Libertà e qui vendevano caramelle ed altre piccole
cose tra cui gli aquiloni, i ccumete, fatti con la carta
velina. Io, diamine, non sono mai riuscito a farne volare
uno. Sempre si schiantavano miseramente al suolo battendo
violentemente su una recchia.
|