TORRE L'AMORE DA SALVARE



La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta

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Villa De Ruggiero

Il territorio vesuviano è originato dal sistema urbano tracciato dalle ville inscindibili dai loro giardini mai realizzati in maniera casuale, fatti pendere dalle colline fino a degradare sul mare, esitati in un immenso progetto architettonico dentro il quale riuscirono a trovare armonia le ultime forme plastiche di fare abitazione in villa ed in funzioni delle dimensioni degli spazi da occupare; le forme dei giardini erano sinuose con costante presenza degli aromi e delle fragranze che ne hanno connotato un malizioso e godibile tocco di sensualita’.
Tra le tante ville vesuviane piu’ o meno note e’ da annoverare, sebbene tra le minori, Villa De Ruggiero. Essa insiste sul territorio di Torre del greco sulla via che conduce alla Litoranea ed e’ forse uno dei pochi tratti sfuggiti alla furia distruttrice delle orde dei palazzinari che in pochi decenni sconvolsero il territorio vesuviano depredando ed abbattendo edifici dalle linee armoniose per far sorgere al loro posto manufatti orripilanti.
Tale villa di campagna attira lo sguardo del passante per la sua bellezza nonche’ per l’esteso podere che, in origine, lambiva la spiaggia sottostante  ed e’ delimitato dai bei muri a secco sul lato della strada.
La costruzione sembra risalire addirittura al cinquecento  e fungeva come stazione di posta per chi si conduceva sulla via regia delle Calabrie. Nel Settecento tale via da Napoli a Torre del Greco, per la bellezza del paesaggio ma anche per una natura che suscitava stupore ed ammirazione entusiasmava i viaggiatori del Gran Tour. Soprattutto nell’inedito contrasto tra la minacciosa mole del Vesuvio, simbolo della natura primordiale ed ostile e la pacata quiete delle acque del golfo.
Il portone  di ingresso di villa De Ruggiero e’maestoso. Esso e’ di legno massiccio ,e di un azzurro scolorito dal tempo ed al centro presenta un battimano in ferro. E’ in alto sormontato da una lunetta, anch’essa in legno.
Una vaga impressione di ritorno al passato assale chi per la prima volta vi entra. E’ come immergersi in uno scenario antico, di quelli  cosi’ ben descritti dalla scrittrice oplontina Maria Orsini Natale nel suo bel romanzo “ La terrazza rosa”. E cosi’, appena varcato l’ingresso, vi  si para davanti un ampio cortile  immerso nella frescura di alberi frondosi e rallegrato da mille fiori che fanno capolino dai vasi di coccio. Piu’ addietro, come sentinelle, una fila di vasi d’aspidistria dalle ampie foglie di un verde brillante.
La villa o se vogliamo l’antica masseria appartiene da tempo immemore alla famiglia De Ruggiero, aristocratici napoletani di antica ascendenza nobiliare. Essa fungeva da dimora di villeggiatura nei periodi piu’ caldi dell’anno. Ma e’ da un bel po’ che essi non vi dimorano piu’.  Attualmente  e’ abitata da una famiglia di coloni che amorevolmente si prende cura del vasto podere, coltivato prevalentemente a fiori, quantunque una porzione sia interessata alla coltivazione di ortaggi rigorosamente di stagione. Negli spazi liberi non e’ difficile imbattersi in  frotte di galline che razzolano liberamente al di fuori dell’aia posta all’ingresso, all’ombra di un imponente albero di limone.
Entrati nel cortile non si puo’ non ammirare la facciata della villa con le sue imposte verdi e dal colore di un rosa antico. Su di essa si inerpica, impreziosendola, un enorme glicine con i suoi odorosi grappoli color lavanda.
In origine qui era il rimessaggio delle carrozze ed il ricovero dei cavalli, poi la trasformazione una volta venuto meno la funzione di posta.
Sul lato destro un’antica cisterna per la raccolta dell’ acqua piovana con le finestre ad arco oltre le quali si scorge una parte del podere. Da tempo essa non svolge piu’ la sua funzione e permane unicamente per la sua grazia architettonica.
Non vi parra’ vero, anzi sembra quasi che si possa divenire vittime  della sindrome di Stendhal, ma un lieve capogiro vi puo’ prendere,oltrepassata la cisterna,alla vista di un lungo colonnato sormontato da una vite rigogliosa avvinghiata a vecchi pali in legno. Fra la vite compaiano anche limoni e sul muretto alla base delle colonne, oggi spoglie ma un tempo maiolicate, piante di gerani di un rosso acceso fanno da belletto al muretto che delimita il vasto orto. Sullo sfondo poi ecco il mare che brilla sotto i raggi del sole. E’ un incanto, quasi un ricordo di un’armonia perduta,comunque uno spicchio di paradiso degno di rivaleggiare con gli angoli piu’ belli della costiera amalfitana.
Il bel colonnato conduce al belvedere posto al di la’ di una graziosa porta con i battenti in legno. E qui lo scenario e’ da mozzafiato, con Capri ed Ischia proprio di fronte e sulla sinistra la penisola sorrentina che termina con Capo Minerva. Poco piu’ in la’ ecco la torre di Bassano purtroppo banalizzata da un rifacimento dal gusto alquanto dubbio. Di sotto,circa una ventina di metri, i binari della ferrovia che separano la villa dal mare, al quale si accede tramite un cancelletto in ferro. E pensare che in origine dalla villa ci si conduceva al bel mare di allora direttamente, attraverso l’odorosa macchia mediterranea. Purtroppo tempi andati!
Sul belvedere si trovano anche due sedili in pietra, uno che guarda a sud,l’altro a nord. Gli antichi proprietari se ne servivano, nelle notti  stellate, per meditare ed affogare i dubbi esistenziali nel firmamento luminoso. La visita oramai volge al termine senza che noi, per una questione di riservatezza, si possa mirare la parte piu’interessante: le cantine ed i locali sottostanti il bell’edificio
Ma non fa niente poiche’ a cio’ ci soccorre la descrizione fatta da un mio vecchio professore che molti anni addietro ebbe modo di visitare quegli ambienti. Ecco la sua narrazione:” Per accedere alle cantine scendemmo per una scaletta in legno e terra battuta fino ad addivenire ad una sala con un’ampia volta.  Qui si trova tutto il vecchio armamentario per trasformare i preziosi grappoli d’uva in vino.
Tale ambiente e’ detto il cellaio ed in esso si raccoglievano nei tini  il frutto della spremitura dell’uva. Ma quello che piu’ mi ha destato immenso stupore e’ lo strettoio. Il locale, molto angusto, e’ adibito a contenere il torchio sommerso impiegato per la premitura delle vinacce. Qui la trave principale del torchio e’ costituita dal fusto di un imponente guercia

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comprensiva di quel che resta dell’apparato radicale e lungo la bellezza di circa quindici metri per piu’ uno di diametro. Sul piano sovrastante si trovano vecchi botti di rovere per custodire il vino”.
Il professore avanza, considerato che la masseria e’ a un tiro di schioppo da villa Sora, l’ipotesi che sotto di essa possano giacere da secoli,sepolti dall’eruzione del 79 dopo Cristo, vestigia di epoca romana e a tal proposito cita lo storico Strabone. Il quale asseriva che
da Capo Miseno fino a Punta Campanella vi era un tale addensamento di costruzioni, da dare l’impressione, a chi osservava dal mare, che si trattasse di un’unica città. Ma per quanto cerchi, il professore non riesce a scovare alcun cunicolo o pertugio  dal quale ci si possa calare in qualche sala misteriosa.

Per noi la visita e’ finita,salutiamo l’ospite che ci ha accompagnato nella bella escursione ed uscendo fuori e’ come fare un salto di secoli, tale che subito veniamo presi dalla furia  e dal fracasso della vita moderna.

Vita in bilico

Era una sera di maggio di alcuni anni fa,lo ricorda benissimo come se il tutto fosse accaduto avant’ieri. Vittorio l’aveva lasciata cosi’ senza che la cena fosse terminata. Si era alzato di scatto e senza proferire alcun parola si era diretto verso l’uscio. Usci,come di consueto in questi casi,sbattendo la porta. Era cambiato,si rendeva benissimo conto  che non era piu’ lo stesso, guascone ed irruente.
Negli ultimi tempi si era indebolito,una stanchezza pervicace gli pervadeva l’anima ed il corpo. Le rampe di  scale che era solito salire,d’impeto, a due a due,adesso invece gli procuravano affanno gia’ al primo piano. Cosi’ sostava un po’ sul pianerottolo, simulando chissa’ che cosa per non darlo a vedere ai vicini, e con una certa indifferenza riprendeva a salir.
Il medico era stato un po’ brutale,senza girarci affatto attorno. Cancro alla prostata,aveva proferito,evitando di guardarlo negli occhi. Era rimasto impassibile,come se la faccenda riguardasse altri e non lui. Ma poi,uscendo dallo studio,lo sconforto lo prese ed in un angolo appartato diede sfogo ad un pianto irrefrenabile. In quel momento si rese conto che non sarebbe stato piu’ quello di prima. La malattia lo avrebbe consumato giorno dopo giorno. Se tutto andava bene,sarebbe divenuto una larva vivente.
Inizio cosi’ ,quella sera, a girovagare per il paese senza alcuna meta, solo la mente in subbuglio ed un solo pensiero fisso: farla finita.
Ripercorreva le strade della sua memoria,qui il primo bacio,piu’ avanti la scuola elementare  , poi  la “vesuviana” dove tanti anni fa  aveva incontrato lei,l’amore della sua vita.
Era quasi scappato  di casa per non tormentarla,per farle respirare una boccata d’aria. E poi non sopportava la compassione. Lo sminuiva ai suoi occhi. Dannato cancro! Gli si era infiltrato dentro, quatto, quatto, senza che se avvedesse affatto. Un nemico invincibile,ostinato,di quelli che se pure li vinci,ti distruggono comunque.
Girava e rigirava Torre,ma,cazzo,non trovava un posto idoneo,che so,un’altura,un precipizio da cui fare il salto micidiale,tipo Thelma e Louise.Appunto com’e’ che non ci aveva pensato?Cavolo,l’auto! Si’.occorreva l’auto per lanciarsi a tutta birra,sulla scarpetta e affogare cosi’ lentamente .Ma mentre si recava a prenderla gli baleno’ in mente il pensiero dei figli,ne aveva due,uno di dodici,l’altro dieci.
Da grandi,cosa avrebbero pensato di lui,del suo gesto inconsulto? Poteva mai lasciare loro in eredita’ la sua sconfitta esistenziale?No,doveva combattere fino allo stremo,non doveva soccombere,doveva vincere,per loro. Cosi’ anche se fosse morto,avrebbe vinto comunque. Avrebbe vinto perche nella vita non e’ importante vincere bensi’rialzarsi sempre dopo essere caduto,piu’ o meno rovinosamente.
Cosi’,rinfrancato,entro’ in una pasticceria compro’dei dolci e con il cartoccio in mano fece ritorno a casa.

Villa Sora 

Tra i tanti tesori nascosti, a Torre, non si puo’ non enumerare Villa Sora.Essa si trova a ridosso del cimitero e vi si accede attraverso un fondo privato. Stamane ho deciso di visitarla anche perche’ la prima domenica di ogni mese i giovani del gruppo archeologico organizzano visite guidate al sito.
Non ricordando bene dove fosse l’ingresso ho chiesto indicazioni a qualche residente ma,meraviglie delle meraviglie, quasi tutti cascavano dalle nuvole,non sapevano neanche cosa fosse. Un’ignoranza spaventosa!
Come dicevo, si accede da un ingresso privato e la strada che conduce agli scavi della Villa e’ un pessimo biglietto da visita . Essa e’ in cattivo  stato,sporca ed invasa da sterpaglie,ma la cosa piu’ incredibile e’ che manca  qualsiasi indicazione circa la presenza dell’importante sito archeologico.
Comunque scendendo l’impervio sentiero che degrada verso il mare,ad un certo punto mi si para davanti agli occhi la bella dimora imperiale che si dice addirittura che sia appartenuta ad Agrippina,la madre di Nerone. Non entro,per non dilungarmi,nel merito della bellezza del luogo e della villa stessa di cui si possono ancora ammirare dei bellissimi affreschi. Quello che ci tengo invece a sottolineare e’ lo stato di abbandono in cui versa,esposta com’e’ alle intemperie ed alla merce’ di tutti.
In un altro Paese essa sarebbe stata valorizzata e quindi avrebbe rappresentato un polo attrattivo e quindi di sviluppo economico. Invece da noi marcisce in un letamaio tra l’ignoranza dei piu’.
Insomma Villa Sora e’ solo un esempio dei tanti tesori che avrebbero potuto rendere ricca la nostra citta’,ma causa la sciatteria e la mancanza di cultura siamo e saremo costretti  ad essere un luogo periferico e sottosviluppato.  Che dire infine? Siamo dei barbari che per puro caso hanno ereditato un patrimonio storico  ed ambientale immenso e che per insipienza,l’ha vanificato,distrutto,coperto di sterco. Noi,artefici del nostro destino, non possiamo e non dobbiamo lamentarci. Abbiamo bruciato le carte buone ,non ne abbiamo altre. Intanto,stoltamente ci beiamo nei ricordi ed in una visione stereotipata di una Torre che non esiste piu’.