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Villa De
Ruggiero
Il territorio vesuviano è originato dal
sistema urbano tracciato dalle ville inscindibili dai loro
giardini mai realizzati in maniera casuale, fatti pendere
dalle colline fino a degradare sul mare, esitati in un
immenso progetto architettonico dentro il quale riuscirono a
trovare armonia le ultime forme plastiche di fare abitazione
in villa ed in funzioni delle dimensioni degli spazi da
occupare; le forme dei giardini erano sinuose con costante
presenza degli aromi e delle fragranze che ne hanno
connotato un malizioso e godibile tocco di sensualita’.
Tra le tante ville vesuviane piu’ o meno note e’ da
annoverare, sebbene tra le minori, Villa De Ruggiero. Essa
insiste sul territorio di Torre del greco sulla via che
conduce alla Litoranea ed e’ forse uno dei pochi tratti
sfuggiti alla furia distruttrice delle orde dei palazzinari
che in pochi decenni sconvolsero il territorio vesuviano
depredando ed abbattendo edifici dalle linee armoniose per
far sorgere al loro posto manufatti orripilanti.
Tale villa di campagna attira lo sguardo del passante per la
sua bellezza nonche’ per l’esteso podere che, in origine,
lambiva la spiaggia sottostante ed e’ delimitato dai bei
muri a secco sul lato della strada.
La costruzione sembra risalire addirittura al cinquecento e
fungeva come stazione di posta per chi si conduceva sulla
via regia delle Calabrie. Nel Settecento tale via da Napoli
a Torre del Greco, per la bellezza del paesaggio ma anche
per una natura che suscitava stupore ed ammirazione
entusiasmava i viaggiatori del Gran Tour. Soprattutto
nell’inedito contrasto tra la minacciosa mole del Vesuvio,
simbolo della natura primordiale ed ostile e la pacata
quiete delle acque del golfo.
Il portone di ingresso di villa De Ruggiero e’maestoso.
Esso e’ di legno massiccio ,e di un azzurro scolorito dal
tempo ed al centro presenta un battimano in ferro. E’ in
alto sormontato da una lunetta, anch’essa in legno.
Una vaga impressione di ritorno al passato assale chi per la
prima volta vi entra. E’ come immergersi in uno scenario
antico, di quelli cosi’ ben descritti dalla scrittrice
oplontina Maria Orsini Natale nel suo bel romanzo “ La
terrazza rosa”. E cosi’, appena varcato l’ingresso, vi si
para davanti un ampio cortile immerso nella frescura di
alberi frondosi e rallegrato da mille fiori che fanno
capolino dai vasi di coccio. Piu’ addietro, come sentinelle,
una fila di vasi d’aspidistria dalle ampie foglie di un
verde brillante.
La villa o se vogliamo l’antica masseria appartiene da tempo
immemore alla famiglia De Ruggiero, aristocratici napoletani
di antica ascendenza nobiliare. Essa fungeva da dimora di
villeggiatura nei periodi piu’ caldi dell’anno. Ma e’ da un
bel po’ che essi non vi dimorano piu’. Attualmente e’
abitata da una famiglia di coloni che amorevolmente si
prende cura del vasto podere, coltivato prevalentemente a
fiori, quantunque una porzione sia interessata alla
coltivazione di ortaggi rigorosamente di stagione. Negli
spazi liberi non e’ difficile imbattersi in frotte di
galline che razzolano liberamente al di fuori dell’aia posta
all’ingresso, all’ombra di un imponente albero di limone.
Entrati nel cortile non si puo’ non ammirare la facciata
della villa con le sue imposte verdi e dal colore di un rosa
antico. Su di essa si inerpica, impreziosendola, un enorme
glicine con i suoi odorosi grappoli color lavanda.
In origine qui era il rimessaggio delle carrozze ed il
ricovero dei cavalli, poi la trasformazione una volta venuto
meno la funzione di posta.
Sul lato destro un’antica cisterna per la raccolta dell’
acqua piovana con le finestre ad arco oltre le quali si
scorge una parte del podere. Da tempo essa non svolge piu’
la sua funzione e permane unicamente per la sua grazia
architettonica.
Non vi parra’ vero, anzi sembra quasi che si possa divenire
vittime della sindrome di Stendhal, ma un lieve capogiro vi
puo’ prendere,oltrepassata la cisterna,alla vista di un
lungo colonnato sormontato da una vite rigogliosa
avvinghiata a vecchi pali in legno. Fra la vite compaiano
anche limoni e sul muretto alla base delle colonne, oggi
spoglie ma un tempo maiolicate, piante di gerani di un rosso
acceso fanno da belletto al muretto che delimita il vasto
orto. Sullo sfondo poi ecco il mare che brilla sotto i raggi
del sole. E’ un incanto, quasi un ricordo di un’armonia
perduta,comunque uno spicchio di paradiso degno di
rivaleggiare con gli angoli piu’ belli della costiera
amalfitana.
Il bel colonnato conduce al belvedere posto al di la’ di una
graziosa porta con i battenti in legno. E qui lo scenario e’
da mozzafiato, con Capri ed Ischia proprio di fronte e sulla
sinistra la penisola sorrentina che termina con Capo
Minerva. Poco piu’ in la’ ecco la torre di Bassano purtroppo
banalizzata da un rifacimento dal gusto alquanto dubbio. Di
sotto,circa una ventina di metri, i binari della ferrovia
che separano la villa dal mare, al quale si accede tramite
un cancelletto in ferro. E pensare che in origine dalla
villa ci si conduceva al bel mare di allora direttamente,
attraverso l’odorosa macchia mediterranea. Purtroppo tempi
andati!
Sul belvedere si trovano anche due sedili in pietra, uno che
guarda a sud,l’altro a nord. Gli antichi proprietari se ne
servivano, nelle notti stellate, per meditare ed affogare i
dubbi esistenziali nel firmamento luminoso. La visita oramai
volge al termine senza che noi, per una questione di
riservatezza, si possa mirare la parte piu’interessante: le
cantine ed i locali sottostanti il bell’edificio
Ma non fa niente poiche’ a cio’ ci soccorre la descrizione
fatta da un mio vecchio professore che molti anni addietro
ebbe modo di visitare quegli ambienti. Ecco la sua
narrazione:” Per accedere alle cantine scendemmo per una
scaletta in legno e terra battuta fino ad addivenire ad una
sala con un’ampia volta. Qui si trova tutto il vecchio
armamentario per trasformare i preziosi grappoli d’uva in
vino.
Tale ambiente e’ detto il cellaio ed in esso si
raccoglievano nei tini il frutto della spremitura dell’uva.
Ma quello che piu’ mi ha destato immenso stupore e’ lo
strettoio. Il locale, molto angusto, e’ adibito a contenere
il torchio sommerso impiegato per la premitura delle
vinacce. Qui la trave principale del torchio e’ costituita
dal fusto di un imponente guercia |
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comprensiva di quel che resta dell’apparato
radicale e lungo la bellezza di circa quindici metri per
piu’ uno di diametro. Sul piano sovrastante si trovano
vecchi botti di rovere per custodire il vino”.
Il professore avanza, considerato che la masseria e’ a un
tiro di schioppo da villa Sora, l’ipotesi che sotto di essa
possano giacere da secoli,sepolti dall’eruzione del 79 dopo
Cristo, vestigia di epoca romana e a tal proposito cita lo
storico Strabone. Il quale asseriva che
da Capo Miseno fino a Punta Campanella vi era un tale
addensamento di costruzioni, da dare l’impressione, a chi
osservava dal mare, che si trattasse di un’unica città.
Ma per quanto cerchi, il professore non riesce a scovare
alcun cunicolo o pertugio dal quale ci si possa calare in
qualche sala misteriosa.
Per noi la visita e’ finita,salutiamo l’ospite che ci ha
accompagnato nella bella escursione ed uscendo fuori e’ come
fare un salto di secoli, tale che subito veniamo presi dalla
furia e dal fracasso della vita moderna.
Vita in
bilico
Era una sera
di maggio di alcuni anni fa,lo ricorda benissimo come se il
tutto fosse accaduto avant’ieri. Vittorio l’aveva lasciata
cosi’ senza che la cena fosse terminata. Si era alzato di
scatto e senza proferire alcun parola si era diretto verso
l’uscio. Usci,come di consueto in questi casi,sbattendo la
porta. Era cambiato,si rendeva benissimo conto che non era
piu’ lo stesso, guascone ed irruente.
Negli ultimi tempi si era indebolito,una stanchezza
pervicace gli pervadeva l’anima ed il corpo. Le rampe di
scale che era solito salire,d’impeto, a due a due,adesso
invece gli procuravano affanno gia’ al primo piano. Cosi’
sostava un po’ sul pianerottolo, simulando chissa’ che cosa
per non darlo a vedere ai vicini, e con una certa
indifferenza riprendeva a salir.
Il medico era stato un po’ brutale,senza girarci affatto
attorno. Cancro alla prostata,aveva proferito,evitando di
guardarlo negli occhi. Era rimasto impassibile,come se la
faccenda riguardasse altri e non lui. Ma poi,uscendo dallo
studio,lo sconforto lo prese ed in un angolo appartato diede
sfogo ad un pianto irrefrenabile. In quel momento si rese
conto che non sarebbe stato piu’ quello di prima. La
malattia lo avrebbe consumato giorno dopo giorno. Se tutto
andava bene,sarebbe divenuto una larva vivente.
Inizio cosi’ ,quella sera, a girovagare per il paese senza
alcuna meta, solo la mente in subbuglio ed un solo pensiero
fisso: farla finita.
Ripercorreva le strade della sua memoria,qui il primo bacio,piu’
avanti la scuola elementare , poi la “vesuviana” dove
tanti anni fa aveva incontrato lei,l’amore della sua vita.
Era quasi scappato di casa per non tormentarla,per farle
respirare una boccata d’aria. E poi non sopportava la
compassione. Lo sminuiva ai suoi occhi. Dannato cancro! Gli
si era infiltrato dentro, quatto, quatto, senza che se
avvedesse affatto. Un nemico invincibile,ostinato,di quelli
che se pure li vinci,ti distruggono comunque.
Girava e rigirava Torre,ma,cazzo,non trovava un posto
idoneo,che so,un’altura,un precipizio da cui fare il salto
micidiale,tipo Thelma e Louise.Appunto com’e’ che non ci
aveva pensato?Cavolo,l’auto! Si’.occorreva l’auto per
lanciarsi a tutta birra,sulla scarpetta e affogare cosi’
lentamente .Ma mentre si recava a prenderla gli baleno’ in
mente il pensiero dei figli,ne aveva due,uno di
dodici,l’altro dieci.
Da grandi,cosa avrebbero pensato di lui,del suo gesto
inconsulto? Poteva mai lasciare loro in eredita’ la sua
sconfitta esistenziale?No,doveva combattere fino allo
stremo,non doveva soccombere,doveva vincere,per loro. Cosi’
anche se fosse morto,avrebbe vinto comunque. Avrebbe vinto
perche nella vita non e’ importante vincere bensi’rialzarsi
sempre dopo essere caduto,piu’ o meno rovinosamente.
Cosi’,rinfrancato,entro’ in una pasticceria compro’dei dolci
e con il cartoccio in mano fece ritorno a casa.
Villa Sora
Tra i tanti
tesori nascosti, a Torre, non si puo’ non enumerare Villa
Sora.Essa si trova a ridosso del cimitero e vi si accede
attraverso un fondo privato. Stamane ho deciso di visitarla
anche perche’ la prima domenica di ogni mese i giovani del
gruppo archeologico organizzano visite guidate al sito.
Non ricordando bene dove fosse l’ingresso ho chiesto
indicazioni a qualche residente ma,meraviglie delle
meraviglie, quasi tutti cascavano dalle nuvole,non sapevano
neanche cosa fosse. Un’ignoranza spaventosa!
Come dicevo, si accede da un ingresso privato e la strada
che conduce agli scavi della Villa e’ un pessimo biglietto
da visita . Essa e’ in cattivo stato,sporca ed invasa da
sterpaglie,ma la cosa piu’ incredibile e’ che manca
qualsiasi indicazione circa la presenza dell’importante sito
archeologico.
Comunque scendendo l’impervio sentiero che degrada verso il
mare,ad un certo punto mi si para davanti agli occhi la
bella dimora imperiale che si dice addirittura che sia
appartenuta ad Agrippina,la madre di Nerone. Non entro,per
non dilungarmi,nel merito della bellezza del luogo e della
villa stessa di cui si possono ancora ammirare dei
bellissimi affreschi. Quello che ci tengo invece a
sottolineare e’ lo stato di abbandono in cui versa,esposta
com’e’ alle intemperie ed alla merce’ di tutti.
In un altro Paese essa sarebbe stata valorizzata e quindi
avrebbe rappresentato un polo attrattivo e quindi di
sviluppo economico. Invece da noi marcisce in un letamaio
tra l’ignoranza dei piu’.
Insomma Villa Sora e’ solo un esempio dei tanti tesori che
avrebbero potuto rendere ricca la nostra citta’,ma causa la
sciatteria e la mancanza di cultura siamo e saremo
costretti ad essere un luogo periferico e sottosviluppato.
Che dire infine? Siamo dei barbari che per puro caso hanno
ereditato un patrimonio storico ed ambientale immenso e che
per insipienza,l’ha vanificato,distrutto,coperto di sterco.
Noi,artefici del nostro destino, non possiamo e non dobbiamo
lamentarci. Abbiamo bruciato le carte buone ,non ne abbiamo
altre. Intanto,stoltamente ci beiamo nei ricordi ed in una
visione stereotipata di una Torre che non esiste piu’.
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