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Viaggio nella
terra dei briganti
Avevamo trascorso buona parte
della notte sotto i portici a fare , come si suol dire,
mille progetti.La data della partenza era oramai imminente.
Mancava ancora da definire qualche dettaglio:le provviste
sarebbero bastate?E la tenda comprata a Pugliano,a dire il
vero un po’ rabberciata, ci avrebbe protetto anche dalla
pioggia?Il fondo cassa messo assieme con i nostri sparuti
risparmi ci avrebbe permesso di non morire di fame?
Comunque a quell’eta’,si era nel 1967 ed eravamo tutti
adolescenti,un po’ di incoscienza non guastava .Si era
organizzato un viaggio ai laghi di Monticchio, in Lucania.
Oggi la parola viaggio, per un tragitto cosi breve ,potrebbe
far sorridere. Oggi , che per andare a Parigi, New
York,Madrid, il viaggio comporta appena la durata di poche
ore,il nostro era come girare appena dietro l’angolo di
casa.
Ma in quegli anni, per noi appena diciasettenni e con pochi
mezzi ,era un viaggio .Si’, era proprio un viaggio!
Eravamo in cinque ,che ricordi: Giovanni, come me, che dopo
di allora non avrei mai piu’rivisto. Parti’ carabiniere per
Carbonia un anno dopo. Tramite un amico comune ho poi saputo
che ha avuto una vita sentimentale alquanto travagliata.
Oggi e’ in pensione e vive solo.
C’era poi Giorgio, oggi e’ medico. L’ho incontrato
recentemente a una gita nelle Marche. Soffre di cuore e l’ho
trovato molto depresso. Anche lui vive solo.
Vincenzo,cuoco provetto e bravissimo fotografo l’ho perso di
vista alcuni anni dopo.Ho saputo della sua morte prematura
una quindicina di anni fa’. Degli altri due ,Peppe e Roberto
invece non ho saputo piu’nulla.
Il giorno stabilito ,una splendida giornata di meta’
luglio, prendemmo il treno alla stazione centrale di
Napoli.Esso ci avrebbe condotto fino a Rionero in Vulture.
Salire sul treno, che poi era una vecchia locomotiva del
periodo bellico, non fu moto agevole. Gli zaini, voluminosi,
erano pesanti ed ingombravano i corridoi. Comunque riuscimmo
a trovare posto a sedere.
Non so dire i nomi dei posti che attraversammo. Era campagna
libera con covoni ,mare di spighe di grano ondeggianti al
vento,casette con cortili , giardini ed orti. Mucche al
pascolo,libere di scorazzare nei prati, greggi di pecore e
tanti uccelli,nugoli di uccelli a disegnare geometrie nel
cielo azzurro.
Era ancora l’italia contadina, la stessa che in quegli anni
Mario Soldati percorreva in lungo e in largo per documentare
un mondo che lui stesso sapeva morente, al declino. L’Italietta
rurale di Pier Paolo Pasolini che nel suo saggio “Lucciole,
voci e pale d’altare”
cerca di mostrare come l’integrita’ del paesaggio rurale ed
artistico rifletta anche l’integrita’ morale delle persone
che vi ci abitano.
Ville
vesuviane tra
splendori e nefandezze
Ecco, muovendo
da Ercolano il bel Palazzo Durante di cui ho ritratto il
bell’ingresso con la chiesetta in fondo e l’immancabile San
Gennaro che,torvo,guarda il Vesuvio come ad intimorirlo.
Poco piu’ avanti la splendida Villa Favorita,restaurata
recentemente ma solo nella facciata, e ad essa annessa fa
pessima mostra di se’un manufatto ancora in condizioni
pietose. Proseguendo ,sul lato opposto la bellissima villa
dalle linee esotiche ( villa Battista?) della quale ho
fotografato lo stupendo ingresso. Ah,dimenticavo la fontana
o vasca da poco eretta,a ridosso delle scuderie della
Favorita. Sono stati spesi per il restauro non so quanti
milioni di euro e gia’ entrambe versano,inutilizzate,in uno
stato d’abbandono. Poi,c’e quel maestoso portale in piperno
che e’ ingabbiato tristemente non so da quando. Verso
Torre,la deliziosa chiesetta del Pilar voluta,come tante
altre chiese,dalla devotissima Regina Amalia,reale consorte
di Carlo III. Poi una chicca,un orribile manufatto a
guastare quello che sarebbe potuto essere un mirabile
paesaggio. In fondo,verso zona Calastro quel che rimane di
una villa colonica. Alla fine non mi sono potuto
trattenere,e cosi’ ho ritratto un angolino dimenticato,di
lato alla Banca di Credito Popolare. Notate il bel muro di
pietra lavica e tufo a vista e su di esso l’invadente
campanula blu. Alla prossima.
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Il sogno
infranto
Si erano alzati presto e dalla finestra Nicola guardava il
lampione sulla strada che ancora fendeva con il suo
chiarore il buio livido di quella fredda mattina di un fine
gennaio. Appena il padre l’aveva chiamato, sommessamente
per non svegliare i fratelli piu’ piccoli, lui in un
battibaleno,malgrado il gelo della casa, era saltato giu’
dal letto. Nicola aveva appena sei anni e in quella grigia
alba invernale finalmente il padre si era deciso a portarlo
con se’ a Napoli. E per lui si realizzava cosi’un sogno
per tanto tempo vagheggiato. Immaginava, nel suo candore,
che il padre a Napoli conducesse una vita brillante fatta di
trattorie trasbordanti di polli arrosti e di piatti
stracolmi di fettuccine stillanti sugo, e non vedeva dunque
l’ora di entrare in quel mondo incantato
Siamo nel 53 e la realta’, a dispetto dei sogni del
ragazzino, era ben piu’ amara. E’ il dopoguerra,la fame e
la miseria imperversano e cosi ognuno per barcamenarsi si
industria per racimolare quel poco che possa dare la
possibilita’ di sopravvivere. E cosi’ anche il papa’ di
Nicola si arrangiava. Il suo lavoro, se tale si puo’ dire ,
era vendere sigarette di contrabbando negli uffici , banche
ed altro.
Giunsero a Napoli con un tram,il cui sferragliare fendeva il
silenzio di quelle ore antelucane. Rimase subito colpito
dalla folla, quasi una fiumana umana. Le strade erano gia’
gremitissime, gente di ogni tipo sciamava dappertutto e le
voci dei venditori di pizze ed altro riempivano l’aria.
Aveva una fame da lupi e cosi’ il papa si fermo’ presso una
pizzeria. Compro’ una pizza fritta ripiena di ricotta e la
divise in due. A pensarci adesso, dopo tantissimi anni,
l’atmosfera sembrava essere quella di un film neorealistico.
Ed anche i ricordi gli pervengono in bianco nero,senza
alcun colore.
Dopo che avevano camminato un bel po’, giunsero in una
galleria grandissima e che in alto, a volta, era coperta da
un enorme vetrata. Era la bella galleria Umberto, in via
Roma. Qui il padre si fermo’, trasse da un borsone di juta
che portava con se’ tanti, tantissimi pacchetti di
sigarette, di tanti colori. Una parte di essi,in un angolo
un pò nascosto, li ficco’ nelle tasche e sotto il maglione
di Nicola. L’altra parte la tenne per se’.
“Nicola senti, papa’ adesso va in quella banca. Vedi, vado
a cercare di vendere un po’ di questa roba,tu stai fermo
qui che torno subito. Per nessun motivo non voglio che tu
ti muova da qui”. Detto cio’, velocemente si allontano’.
Rimasto solo, Nicola si senti,piccolo piccolo in quell’
ambiente immenso. Avverti’ un angoscia,un terrore di
perdersi ed anche l’amarezza di un sogno che si era dissolto
come neve al Sole: capi’ che quella del padre non erra
affatto una vita brillante, ma piuttosto quella di un povero
diavolo che, con mille espedienti, cercava di sbarcare il
lunario.
Era imbarazzato, era gia’ un’ ora che stava li’ e non
riusciva darsi alcun contegno. Andava su’ e giu’. Ogni
tanto si fermava a sbirciare qualche vetrina. Ma alla fine ,
stanco, si accovaccio’ in un angolo. La presenza di quel
ragazzino smunto, vestito alla ben meglio e con rigonfi
sospetti sotto il maglione e nelle tasche del pantalone
non passo’ inosservata. Due carabinieri, insospettiti, gli
si avvicinarono e gli chiesero cosa facesse li’ tutto solo.
Lui, candidamente rispose che aspettava il papa’ che era
andato a vendere le sigarette.
A questo punto non resto’ ai militi, dopo aver indagato cosa
nascondesse Nicola sotto gli indumenti, che condurre il
ragazzo in questura.
Qui il maresciallo, un omaccione dall’aria bonaria, visto il
ragazzino preso dalla disperazione, cerco’ di rassicurarlo e
gli fece portare pure qualche dolce. Ecco che, dopo un
po’,trafelato, giunse il padre condotto da un giovane
carabiniere.
Tutta la merce era stata sequestrata ma il maresciallo,preso
in simpatia il ragazzino, non commino’ alcuna multa e cosi
alla fine li lascio’ andare via.
Con un po’ di malinconia e con gli occhi leggermente velati
Nicola ricorda adesso, come una scena vista da fuori, il
padre affranto che presolo per mano, lo porta via dalla
questura. E cosi’ la prima cocente delusione inizio’ ad
incrinare il modo fatato della sua infanzia. |