DICHIARAZIONE MODERNA CORALLINA



La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta

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Villa Annina 

Villa Annina  e’ ubicata nella cosiddetta piazzetta vecchia. E’uno splendido  gioiello di architettura di stile liberty. Un bellissimo glicine con i suoi rami nodosi si inerpica lungo la splendida facciata rosata impreziosendola con i suoi numerosi grappoli color lavanda. Essa  termina in alto con un torrione merlato ed una bella meridiana sembra affacciarsi sull’ampia terrazza. Un piccolo giardino di palme la circonda quasi a proteggerla dalle auto e dalle orde vocianti e sguaiate. E’ un’ oasi di mesta bellezza che la gente, incurante, sfiora e neanche alza lo sguardo a mirarla.
Stamane , ultima  domenica di giugno, mi  sono recato a visitarla accompagnato dall’amico Carlo Moscariello, il quale conosce molto bene Bartolo Villano, attuale proprietario dell’antica dimora . Egli attualmente gestisce un antico negozio di ferramenta in via Beato Vincenzo Romano in prossimità del ex cinema IRIS.
Il caso ha voluto che lo incontrassimo in piazza Santa Croce e, pur non avendo concordato alcun appuntamento, si e’ prestato gentilmente a  farcela visitare. Nel mentre ci si recava alla bella villa, Bartolo, che e’ un distinto signore ultrasettantenne, ci ha raccontato un po’ la storia della sua famiglia e dell’antica dimora.
La Villa fu eretta nel  1861 da un certo Gagliardi, di antica famiglia napoletana, industriale nel ramo del corallo, in un’area che allora era il cuore pulsante della citta ’, mentre oggi risulta essere marginale e degradata. Essa nacque come sede della prima banca torrese, la “Compagnia Anonima Credito Torrese” che in seguito diventera’ “Banca di Credito Popolare di Torre del Greco”.
 La famiglia Gagliardi, come propria residenza, occupava un edificio sul lato destro dell’attuale villa, anch’esso in stile liberty ed immerso in uno splendido agrumeto. Negli anni 60 fu buttato criminosamente giu’ dalla solita orda di bucanieri del cemento  per edificare un palazzaccio sgraziato e dalle linee architettoniche orripilanti. Qualcheduno narra che durante i lavori furono rinvenuti resti di abitazioni risalenti al settecento  probabilmente sommersi dalla lava dell’imponente eruzione del 1794. Si favoleggia  che furono ritrovate damigiane di vino con tappi formate da torsi di mais ed anche antiche mattonelle, queste ultime probabilmente trafugate.
Di fronte alla villa c’era la fabbrica per la lavorazione del corallo,essendo i Gagliardi industriali del settore. L’edificio, anch’esso in stile Liberty,  attualmente si presenta cadente e fatiscente.
Nel tempo la villa passo’ alla famiglia Villano. Il padre di Bartolo  era Michele,
 medico dermatologo  dell'ospedale "A. Maresca.  La madre era  Anna Mazza, ultima di tredici figli del cav. del lavoro   Bartolomeo Mazza fu Crescenzo, commerciante di corallo . I suoi discendenti nel 1935, in occasione dell'apertura dell' Autostrada Napoli-Salemo, inaugurarono "La pineta", centro di esposizione e vendita di coralli e cammei. Bartolomeo fu anche Sindaco per ben due volte della nostra citta’ agli inizi del novecento.
Giunti presso l’ingresso, un bel portone in legno posto sul lato destro del bell’edificio, Bartolo ci ha invitato ad entrare.
Entrati nel vasto salone, l’atmosfera che vi si respira mi ha fatto balzare alla mente  un passo della Recherche  nel quale Proust ricorda con nostalgia struggente la casa delle sue care zie, con tanti ninnoli ed altre  cose del tempo andato.
Usciti in terrazza, si viene accolti dal sottile ed inebriante odore del glicine che ancora presenta grappoli azzurri. Esso insieme ad un vite ombreggia  la terrazza lastricata da un bel cotto. Lamenta il nostro ospite che la balaustra tempo addietro era abbellita da busti in terracotta dei grandi poeti  quali Dante,Petrarca,… poi un giorno essi furono trafugati da ignoti. Altri ignoti, continua, adombrandosi, recentemente si sono introdotti furtivamente nel giardino e, alle prime luci dell’alba, hanno tagliato di netto alcune palme. E’ sbigottito  Bartolo, teme che qualcheduno  abbia posto gli occhi su quel piccolo  pezzo di verde. E scorato mi fa: non voglio credere che qualcheduno abbia intenzione di fargli fare la stessa  fine dello spazio dove insisteva il teatro Garibaldi: un miserabile suk.
Verso ora di pranzo, salutiamo Bartolo e  lasciamo la bella casa tinteggiata di rosa antico non senza voltarci per l’ultima volta a mirare le sue armoniose linee architettoniche. Ci stringe un po’il cuore vederla ancora cosi’ bella immersa in un mare di brutture.

 

Una morte precoce

La vedevo ogni tanto a passeggio con la mamma.  Avra’ avuto circa quaranta anni. Sempre sorridente, apparentemente serena a dispetto del male terribile che l’aveva colpita. Io la conoscevo solo di vista ma comunque l’ammiravo per la forza e la tenacia che

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opponeva al destino avverso. Disinvolta, sempre con la mamma, non  aveva alcun timore di mostrare i segni della malattia.
Solo celava la caduta dei capelli, nei momenti piu’ strenui del male, con un foulard colorato. Oggi pomeriggio passando vicino casa sua, di fronte all’ex cinema Oriente,ecco affisso il manifesto mortuario con il suo nome. Un colpo al cuore! Una donna cosi’ giovane che se va , senza aver assaporato appieno cio’ che di bello la vita avrebbe ancora potuto offrirle.  E cosi’ sovviene la confusione, i pensieri si adombrano e la vita stessa sembra che smarrisca il suo senso.

Universo lontano

Stasera,immersi in un buio non violato da alcuna luce,e sotto un cielo stellato,distesi sulla sabbia ancora tiepida,siamo rimasti in pochi,noi vecchi amici,da una vita assieme. Siamo stati per lo piu’ in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri,nella propria vita. Da poco distante giungeva il dolce rumore della risacca,quel dolce cullare che di tanto in tanto ci faceva sprofondare nel sogno tale che il confine tra il reale e l’immaginari  diveniva sempre piu’ rarefatto.
E mentre noi si viveva di emozioni lontane, la Luna rendeva, con i suoi riflessi, il mare tutta un distesa d’argento, e  le stelle ,incuranti, mandavano flebili bagliori dall’universo remoto.

Vago sentore 

Il giorno prima,  Vittorio era partito con la moglie e la bambina per Sulmona. Con lui c’era il suo collega Enzo  con la moglie in cinta. I due erano amici di lunga data,anzi era tale l’empatia che  si era stabilita tra di loro che sembravano quasi essere due fratelli. Era l’inizio degli anni ottanta e , nel ricordare quel tempo, non poteva non trattenere un lieve sorriso. Si era inerpicato su per l’Appennino con una vecchia  Renault 4 di colore azzurro, che nei tratti piu’ ripidi, sembrava quasi sbuffare per lo sforzo titanico. Pertanto ,in un silenzio tombale, si rimaneva in apprensione: ce la fara’ o  il bottiglione di vetro, contenente il liquido di raffreddamento, scoppiera’?  Ma essa, indomita,mai l’aveva deluso: sempre ce l’aveva fatta.
E cosi la sera ,Vittorio, con tutti gli altri, stanco, sedette sui gradini di una chiesa che dava sul corso principale. Esso era gremito e molto animato. Ad un tratto sopravvenne  un vociare concitato: erano  soldati di leva in libera uscita. Ad alta voce celiavano tra loro, simpaticamente si prendevano un po’ in giro, cosi’ tanto per lenire la nostalgia di casa e zittire i morsi della solitudine.
Su Vittorio calo’ ad un tratto un’aria malinconica. Senti’ all’improvviso tutto il peso degli anni.  Ebbe la vaga sensazione di come la giovinezza fosse  definitivamente andata via.   Eppure non aveva che trentadue anni. Ma allora gli sembrarono tanti . Ebbe un vago sentore di come il tempo fosse velocemente volato via da quando, come quei ragazzi, in divisa militare , oziava per le vie di Udine.
 E adesso , a distanza di tanti anni,alle soglie quasi della vecchiaia, considerando quella triste sensazione di allora, non poteva non considerare come tutto nella vita sia  relativo, al punto di sentirsi vecchi all’eta’ che adesso hanno le sue figlie e che lui considera ancora come se fossero adolescenti.

Il Vesuvio

Nel leggere queste pagine di Ciro di Cristo sovviene l’orrore, l’angoscia per un futuro che potrebbe anche non esserci. Noi tutti, ed intendo coloro che abitano la fascia vesuviana, inconsapevolmente, siamo portati a rimuovere finanche l’idea  della tragedia nella quale potremmo incappare. E quindi non ne parliamo, anzi facciamo finta che  esso, il Vesuvio, quasi non esista.
Ma vengono notti in cui il pensiero di questo gigante spaventoso si fa tangibile, ossessivo al punto da renderci insonne. E si immagina l’inimmaginabile. Si avverte quasi un odore acre,ed anche, nel dormiveglia, si intravedono fiumi di fuochi nell’atto di travolgerci. Tale paura ancestrale e’ impressa nel nostro sangue, ed alche il carattere di noi tutti e’ influenzato da questo terribile moloch. E cosi’  risultiamo essere mutevoli,ed un senso di precarieta’ ci avvolge fino a farci star male. Alla fine ogni cosa che facciamo sappiamo, in cuor nostro, che potrebbe avere, in un certo tempo, un fine straziane. E cosi’, pur di vivere on ne parliamo e facciamo finta di niente…..