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Villa Annina
Villa Annina e’ ubicata nella cosiddetta piazzetta vecchia.
E’uno splendido gioiello di architettura di stile liberty.
Un bellissimo glicine con i suoi rami nodosi si inerpica
lungo la splendida facciata rosata impreziosendola con i
suoi numerosi grappoli color lavanda. Essa termina in alto
con un torrione merlato ed una bella meridiana sembra
affacciarsi sull’ampia terrazza. Un piccolo giardino di
palme la circonda quasi a proteggerla dalle auto e dalle
orde vocianti e sguaiate. E’ un’ oasi di mesta bellezza che
la gente, incurante, sfiora e neanche alza lo sguardo a
mirarla.
Stamane , ultima domenica di giugno, mi sono recato a
visitarla accompagnato dall’amico Carlo Moscariello, il
quale conosce molto bene Bartolo Villano, attuale
proprietario dell’antica dimora . Egli attualmente gestisce
un antico negozio di ferramenta in via Beato Vincenzo Romano
in prossimità del ex cinema IRIS.
Il caso ha voluto che lo incontrassimo in piazza Santa Croce
e, pur non avendo concordato alcun appuntamento, si e’
prestato gentilmente a farcela visitare. Nel mentre ci si
recava alla bella villa, Bartolo, che e’ un distinto signore
ultrasettantenne, ci ha raccontato un po’ la storia della
sua famiglia e dell’antica dimora.
La Villa fu eretta nel 1861 da un certo Gagliardi, di
antica famiglia napoletana, industriale nel ramo del
corallo, in un’area che allora era il cuore pulsante della
citta ’, mentre oggi risulta essere marginale e degradata.
Essa nacque come sede della prima banca torrese, la
“Compagnia Anonima Credito Torrese” che in seguito
diventera’ “Banca di Credito Popolare di Torre del Greco”.
La famiglia Gagliardi, come propria residenza, occupava un
edificio sul lato destro dell’attuale villa, anch’esso in
stile liberty ed immerso in uno splendido agrumeto. Negli
anni 60 fu buttato criminosamente giu’ dalla solita orda di
bucanieri del cemento per edificare un palazzaccio
sgraziato e dalle linee architettoniche orripilanti.
Qualcheduno narra che durante i lavori furono rinvenuti
resti di abitazioni risalenti al settecento probabilmente
sommersi dalla lava dell’imponente eruzione del 1794. Si
favoleggia che furono ritrovate damigiane di vino con tappi
formate da torsi di mais ed anche antiche mattonelle, queste
ultime probabilmente trafugate.
Di fronte alla villa c’era la fabbrica per la lavorazione
del corallo,essendo i Gagliardi industriali del settore.
L’edificio, anch’esso in stile Liberty, attualmente si
presenta cadente e fatiscente.
Nel tempo la villa passo’ alla famiglia Villano. Il padre di
Bartolo era Michele, medico
dermatologo dell'ospedale "A. Maresca. La madre era Anna
Mazza, ultima di tredici figli del cav. del lavoro
Bartolomeo Mazza fu Crescenzo, commerciante di corallo . I
suoi discendenti nel 1935, in occasione dell'apertura dell'
Autostrada Napoli-Salemo, inaugurarono "La pineta", centro
di esposizione e vendita di coralli e cammei. Bartolomeo fu
anche Sindaco per ben due volte della nostra citta’ agli
inizi del novecento.
Giunti presso l’ingresso, un bel portone in legno posto sul
lato destro del bell’edificio, Bartolo ci ha invitato ad
entrare.
Entrati nel vasto salone, l’atmosfera che vi si respira mi
ha fatto balzare alla mente un passo della Recherche nel
quale Proust ricorda con nostalgia struggente la casa delle
sue care zie, con tanti ninnoli ed altre cose del tempo
andato.
Usciti in terrazza, si viene accolti dal sottile ed
inebriante odore del glicine che ancora presenta grappoli
azzurri. Esso insieme ad un vite ombreggia la terrazza
lastricata da un bel cotto. Lamenta il nostro ospite che la
balaustra tempo addietro era abbellita da busti in
terracotta dei grandi poeti quali Dante,Petrarca,… poi un
giorno essi furono trafugati da ignoti. Altri ignoti,
continua, adombrandosi, recentemente si sono introdotti
furtivamente nel giardino e, alle prime luci dell’alba,
hanno tagliato di netto alcune palme. E’ sbigottito
Bartolo, teme che qualcheduno abbia posto gli occhi su quel
piccolo pezzo di verde. E scorato mi fa: non voglio credere
che qualcheduno abbia intenzione di fargli fare la stessa
fine dello spazio dove insisteva il teatro Garibaldi: un
miserabile suk.
Verso ora di pranzo, salutiamo Bartolo e lasciamo la bella
casa tinteggiata di rosa antico non senza voltarci per
l’ultima volta a mirare le sue armoniose linee
architettoniche. Ci stringe un po’il cuore vederla ancora
cosi’ bella immersa in un mare di brutture.
Una morte
precoce
La vedevo ogni
tanto a passeggio con la mamma. Avra’ avuto circa quaranta
anni. Sempre sorridente, apparentemente serena a dispetto
del male terribile che l’aveva colpita. Io la conoscevo solo
di vista ma comunque l’ammiravo per la forza e la tenacia
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opponeva al
destino avverso. Disinvolta, sempre con la mamma, non aveva
alcun timore di mostrare i segni della malattia.
Solo
celava la caduta dei capelli, nei momenti piu’ strenui del
male, con un foulard colorato. Oggi pomeriggio passando
vicino casa sua, di fronte all’ex cinema Oriente,ecco
affisso il manifesto mortuario con il suo nome. Un colpo al
cuore! Una donna cosi’ giovane che se va , senza aver
assaporato appieno cio’ che di bello la vita avrebbe ancora
potuto offrirle. E cosi’ sovviene la confusione, i pensieri
si adombrano e la vita stessa sembra che smarrisca il suo
senso.
Universo
lontano
Stasera,immersi in un buio non violato da alcuna luce,e
sotto un cielo stellato,distesi sulla sabbia ancora
tiepida,siamo rimasti in pochi,noi vecchi amici,da una vita
assieme. Siamo stati per lo piu’ in silenzio, ognuno immerso
nei propri pensieri,nella propria vita. Da poco distante
giungeva il dolce rumore della risacca,quel dolce cullare
che di tanto in tanto ci faceva sprofondare nel sogno tale
che il confine tra il reale e l’immaginari diveniva sempre
piu’ rarefatto.
E mentre noi si viveva di emozioni lontane, la Luna rendeva,
con i suoi riflessi, il mare tutta un distesa d’argento, e
le stelle ,incuranti, mandavano flebili bagliori
dall’universo remoto.
Vago
sentore
Il giorno
prima, Vittorio era partito con la moglie e la bambina per
Sulmona. Con lui c’era il suo collega Enzo con la moglie in
cinta. I due erano amici di lunga data,anzi era tale
l’empatia che si era stabilita tra di loro che sembravano
quasi essere due fratelli. Era l’inizio degli anni ottanta e
, nel ricordare quel tempo, non poteva non trattenere un
lieve sorriso. Si era inerpicato su per l’Appennino con una
vecchia Renault 4 di colore azzurro, che nei tratti piu’
ripidi, sembrava quasi sbuffare per lo sforzo titanico.
Pertanto ,in un silenzio tombale, si rimaneva in
apprensione: ce la fara’ o il bottiglione di vetro,
contenente il liquido di raffreddamento, scoppiera’? Ma
essa, indomita,mai l’aveva deluso: sempre ce l’aveva fatta.
E cosi la sera ,Vittorio, con tutti gli altri, stanco,
sedette sui gradini di una chiesa che dava sul corso
principale. Esso era gremito e molto animato. Ad un tratto
sopravvenne un vociare concitato: erano soldati di leva in
libera uscita. Ad alta voce celiavano tra loro,
simpaticamente si prendevano un po’ in giro, cosi’ tanto per
lenire la nostalgia di casa e zittire i morsi della
solitudine.
Su Vittorio calo’ ad un tratto un’aria malinconica. Senti’
all’improvviso tutto il peso degli anni. Ebbe la vaga
sensazione di come la giovinezza fosse definitivamente
andata via. Eppure non aveva che trentadue anni. Ma allora
gli sembrarono tanti . Ebbe un vago sentore di come il tempo
fosse velocemente volato via da quando, come quei ragazzi,
in divisa militare , oziava per le vie di Udine.
E adesso , a distanza di tanti anni,alle soglie quasi della
vecchiaia, considerando quella triste sensazione di allora,
non poteva non considerare come tutto nella vita sia
relativo, al punto di sentirsi vecchi all’eta’ che adesso
hanno le sue figlie e che lui considera ancora come se
fossero adolescenti.
Il
Vesuvio
Nel leggere
queste pagine di Ciro di Cristo sovviene l’orrore,
l’angoscia per un futuro che potrebbe anche non esserci. Noi
tutti, ed intendo coloro che abitano la fascia vesuviana,
inconsapevolmente, siamo portati a rimuovere finanche
l’idea della tragedia nella quale potremmo incappare. E
quindi non ne parliamo, anzi facciamo finta che esso, il
Vesuvio, quasi non esista.
Ma vengono notti in cui il pensiero di questo gigante
spaventoso si fa tangibile, ossessivo al punto da renderci
insonne. E si immagina l’inimmaginabile. Si avverte quasi un
odore acre,ed anche, nel dormiveglia, si intravedono fiumi
di fuochi nell’atto di travolgerci. Tale paura ancestrale e’
impressa nel nostro sangue, ed alche il carattere di noi
tutti e’ influenzato da questo terribile moloch. E cosi’
risultiamo essere mutevoli,ed un senso di precarieta’ ci
avvolge fino a farci star male. Alla fine ogni cosa che
facciamo sappiamo, in cuor nostro, che potrebbe avere, in un
certo tempo, un fine straziane. E cosi’, pur di vivere on ne
parliamo e facciamo finta di niente….. |