Fate come me: calma, letizia, quiete, tranquillità


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta

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L’ultimo incontro

Ricorda ancora quella sera di tanti anni fa. Il mare aveva lo stesso colore di quello che mira adesso,poggiato al muretto  di cemento del molo. Gli ultimi raggi di Sole si sono schiantati all’orizzonte ed una scia biancastra ricopre il mare come se fosse un’immensa pianura argentata. Da bambino, gli era sembrata quasi che la si potesse percorrere a piedi. Era quando i suoi, ancora dei ragazzi, erano soliti portarlo, con i fratelli, dietro al porto , al chiaro di luna , ad una sorta di convivio con il mare.  Mangiavano pane e melanzane, qualche ciliegia e mentre essi si baciavano, lui stava in silenzio ad ascoltare il suono della risacca.
Cosi’ quella sera, di un tempo svanito, si erano incontrati per l’ultima volta,in quella trattoria a picco sul mare. Una cena d’addio. L’aveva intravista arrivare nel buio, con la sua andatura leggermente flessuosa, quasi un incedere. Ed ecco, sotto il lampione, riemergere tutta la sua bellezza. Portava dei jeans scoloriti, una maglietta gialla a maniche lunghe che un po’ lasciava scoperta una spalla ed il suo bel viso,ancora abbronzato, rivelava  tracce di un pianto recente. Cosi’ ,abbracciandosi,quasi a sfiorarsi le labbra, erano rimasti in silenzio per un po’, poi si erano baciati. A vederli da lontano, quei due innamorati stretti in una passione vorace c’era da morire di invidia. E lei, poi era cosi’ bella.!
A tavola avevano parlato poco. Erano stati per lo piu’ a guardarsi, cercando di trattenere quanto piu’ possibile  quegli ultimi attimi. Dopo un ‘estate trascorsa assieme, con ancora il suo sapore sulle labbra, quel momento magico finiva. Lei partiva e non  si sarebbero visti mai piu’. Si sapeva entrambi che quegli ultimi istanti ,quelle ore di carezze, gli stessi odori dei loro corpi avvinghiati, tutto quel loro breve amore sarebbe rimasto impresso nei loro ricordi nel tempo a venire.
E cosi’, infatti, alle soglie di un’eta’ quasi ingrata,lui la’ dov’era quella trattoria e che anch’essa non c’e’ piu’, tutto quel che fu di quei momenti  gli sembra che sia stato unicamente un bel sogno e nulla piu’.


 

UN ALTRO MONDO

PREMESSA-  Prima di iniziare chiedo scusa se a qualcuno  questi miei ricordi ,ormai cosi’ lontani, possono sembrare un po’ edulcorati, oserei dire mitizzati. Diciamo, che se fosse cosi’, l’ho fatto in buona fede.
C’e in queste poche pagine solo lo stupore di un bambino di fronte al mondo di allora, immemore delle guerra crudele da pochi anni terminata.
Comunque , se vogliamo ,alcune impressioni  sono puramente incontestabili e non frutto di una memoria puramente selettiva.
Al riguardo sfido chiunque a ritrovare oggi quei meravigliosi pomeriggi estivi dove regnava nella calura un silenzio quieto interrotto, a volte,solo  da qualche melodia in lontananza. Oppure,di notte, addormentarsi in casa cullati dal rumoreggiare del mare in burrasca che si infrange contro gli scogli.
Oggettivamente,oggi, con tutti i frastuoni della vita moderna ,tali incanti sono semplicemente spariti.


Un altro mondo      

Son tornato in questi luoghi ,dove sono nato. Mancavo ormai dagli anni 70.Ogni angolo mi richiama alla memoria ricordi ed impressioni  che fanno parte indelebile della mia vita. La zona e’ quella detta sotta la ripa.Perche’ in effetti c’e’ anche una sopra la ripa. La ripa e’il  dislivello creato dalla nefasta eruzione del 1631.
Tutta l’area prima dell’eruzione non era che battigia poiche’ il mare lambiva il castello appartenuto ad Alfonso D’Aragona ,re di Napoli nella prima meta del 400, ed attualmente sede del municipio di Torre. Io sono nato in via Liberta’ che sarebbe la strada che si vede scendendo le scale venendo da piazza Santa Croce e che viene troncata dalla ferrovia un po’ piu’ giu’.  Dicevo sono nato in questa strada nel retrobottega dei miei che in effetti gestivano un emporio che serviva mezza Torre. Parto in casa dunque, ed anche pericoloso trattandosi di un parto podale.
L’infanzia tutta protesa alla scoperta di quel microcosmo che per un bambino era l’universo intero. In quegli anni e parlo degli anni 50, essendo io nato nel 49, l’atmosfera era  un po’ quella che si respirava in quei film in bianco e nero di De Sica. Noi si cresceva in strada,allora si poteva. Le auto erano talmente poche che ci divertivamo a registrarne le targhe di quelle che passavano da via Fontana. Per noi, bambini di allora, non esisteva la noia. Ogni giorno, ogni mese aveva i suoi regali da offrirci. Beninteso non c’era nulla ma in realta’ c’era tutto. C’era il mare che allora era di color cobalto con sfumature verdi,i giardini misteriosi ed intrisi di sottili fraganze, ben nascosti nei cortili interni dei palazzi, all’uso moresco.
C’erano i misteri, le paure ancestrali:u monaciello, u lupo mannaro. E poi i colori accesi del cielo,delle tende variopinte,dei fiori ,tanti, che abbellivano le ringhiere barocche dei palazzi un po’ pretenziosi del primo novecento.E poi le voci, un dialetto  puro non ancora contaminato dalla tv appena nascente: voci squillanti, divertite, ironiche, provocatorie ma tutte armoniose, di un’amalgama sedimentato nei secoli.
La festa dei quattro altari, quaggiu’, raggiungeva l’apoteosi col l’altare di fabbrica ovvero di carton gesso tridimensionale. E poi la folla ,di sera ,con i vestiti della festa ad inondare le strade gia’ gremitissime,i balconi illuminati e le coperte damascate stese sui parapetti. Tutto un turbinio di luci e di colori sgargianti.
Certe sere si assisteva poi alle peripezie dei funanboli che attraversavano nel vuoto la distanza tra due palazzi su un esile corda. E noi bambini con i nasi per aria seduti sugli sgabelli assieme ai fratelli,zii, nonne. Tutto intorno un silenzio irreale per poi sfociare in un boato di urla e applausi a fine della prova.Si stava tutti assieme,mai da soli,sia in casa che in strada. Questa era la ricchezza di allora,ricchezza incommensurabile a vederla oggi da un altro mondo.
In quel mondo ogni personaggio era particolare. C’era il maresciallo che aveva combattuto in Africa e presso il quale andavamo io e mio fratello piu’ grande a doposcuola, con risultati alquanto deludenti. Appena sull’uscio suonava l’inno di Mameli e noi ritti sugli attenti ,rigidi e il saluto militare. A fine lezioni, se bravi, venivamo premiati con qualche vecchia copertina della Domenica Illustrata. Poi saluto, dietrofont e via.
C‘erano le vecchie bizzoche ovvero le cosiddette devote presso le quali andavo a mo’ di asilo da bambino. I metodi erano alquanto approssimativi:se cattivi si rischiava di essere

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colpiti da qualche zoccolo delle medesime, oppure di precipitare negli inferi che poi era il piano sottostante completamente immerso nel buio,se buoni ci permettevano di vedere spezzoni di pellicole con immagini sacre.Direi un’educazione un po’sopra le righe.
E poi c’era Chiarina, una vecchina che d’inverno vendeva l’allessa ovvero castagne lesse in cartoccio e d’ estate il cazzabocchi  cioe’la grattachecca con sciroppi di vari gusti sopra. E poi il mellunare con le distese di angurie e di meloni gialli e verdi  davanti al negozio.
Di compagni ne avevamo tanti e tanti erano i giochi,parecchi retaggio di secoli addietro.Si puo’ dire che probabilmente siamo stati l’ultima generazione che vi ha giocato. Dopo, tutto e’ stato fagocitato dalla tv.
Si giocavo al fazzoletto,alla lotta, addirittura alla guerra con pietre e cerbottane.Alcuni di noi tra cui io stesso spesso siamo tornati a casa con la testa spaccata ovvero insanguinata . Si correva , si correva molto:nelle gare di velocita,nelle battaglie che si ingaggiavono con ragazzi dei quartieri limitrofi. Si combatteva con le spade di legno a volte istoriate con tappi di birra o con certe mazze fatte con la testa di pece.
Si improvvisavano poi le corse sui cosiddetti carrocci che non erano altro che trabiccoli di legno con le ruote di legno o di ferro ,per chi poteva permetterselo. Si scendeva, a rotto di collo, sulle discese e si frenava all’ultimo momento con i piedi a mo’ di freno.
Altre corse rocambolesche sui gradini delle cento fontane. I veicoli in questo caso erano tavolacci insaponati alla base. In alcuni casi la velocita’ era tale che ci si ribaltava, andando a sbattere con la faccia  contro la base dei lavatoi. Tuttora ,se ci si fa caso, i gradini risultano smussati al centro come testimonianza delle nostre intemperanze.
E poi il mare d’estate:la pesca delle cozze, dei ricci di mare ,dei cacavozzoli ovvero le lumache di mare. Le gare dei tuffi,il  nuoto al largo fino a perdersi nella vastita’ azzurra e le immersioni  in profondita’ a caccia di polpi.
Il mare era praticamente ad un tiro di schioppo da casa mia,poche decine di metri e si era sugli scogli. La localita veniva detta “a mont u scaro” ,confesso chel’etimologia mi e’ sconosciuta,e si era formata a seguito dell’eruzione del 1794.C’era anche  un’altra spiaggetta, incassata in un grotta di roccia lavica, e che noi chiamavamo “lo scarino”. Essa era di fianco all’attuale circolo nautico, proprio a   dosso della chiesa di Portosalvo e il suo arenile gorgogliava acqua dolce probabilmente proveniente dal fiume Dragone,lo stesso che alimentava le cento fontane. Scomparve  tale rientranza agni inizi degni anni sessanta per ampliare la banchina.
Per noi il mare era ,come diceva Conrad,l’attraversamento della linea d’ombra. Ovvero l’iniziazione alla vita. Ci si buttava senza saper nuotare poi l’istinto di sopravvivenza faceva il  resto.
Un capitolo a parte e’ il cinema. C’era il Vittoria, l’Iris,che erano quelli dove noi si andava perche’ piu’ economici in quanto davano film gia’ passati e ripassati. L’Iris aveva una pecularieta ‘ovvero il tetto che d’estate si apriva scoprendo il cielo pieno di stelle. Comunque il cinema era nutrimento di mille fantasie:indiani,cow boys, i paladini di Francia,i mostri preistorici.
A dire il vero,era la sala stessa ad essere  un vero e proprio teatro: schiamazzi, sfotto’, lupini e risate.E addirittura, a fine proiezione c’era anche la possibilita’ di mettere in vendita il proprio posto.
All’ uscita poi si veniva accolti dall’odore delle zeppole e panzarotti o da delizie quali fichi d’india,noce di cocco , dal per e omuss o dalla mitica ciquita nel panino,che poi sarebbe la milza bovina macerata nell’aceto che ancora e’ possibile trovare in Sicila : la meveza.
Non c’era ricchezza,si mangiava poco.Il sogno era un panino con la frittata oppure con il corned beef ovvero la carne in scatola.Ci si accontentava,si fa per dire , della marmellata di cotogna , del pane con il pomodoro oppure con i fichi quando era periodo.Il pollo era un lusso,cibo dei ricchi allora. Oggi invece un piatto banale. La carne quasi come estrema unzione quando si era ammalati oppure solo di domenica. E poi le banane irrangiungibili,l’ananas non c’era ancora.C’era,invece, il calamaro ripieno  alla maniera di mia madre. Sublime. Non vorrei fare un paragone improprio ma era per me come la madeleine per Proust.Che poi  in fondo e’ solo un dolcetto burroso a forma di conchiglia.
La sera era poi un teatro all’aperto. Pochi avevano la tv in casa. Quindi tutti a sedersi fuori ai bar ad assistere a Lascia o raddoppia.Il bar all’inizio di via Fontana era sempre gremito,i tavoli occupavano tutto lo spazio antistante e c’era  tanta vita che, senza voler essere retorici,in quei momenti, era un po’difficile, anche volendo, rimanere da soli.
Tutta quella vita, tutti quei palpiti, risate, rumori oggi sembrano essere stati divorati dall’oblio. Si e’ persa la memoria,la memoria della bellezza  di quel tempo, della bellezza in assoluto.
Ripercorro quello che era stato il giardino dove mi ero perso da bambino. Ricordo un’immensita’ di colori e di odori. C’era un imponente glicine con i suoi sontuosi grappoli di colore azzurro ,camelie con corolle vellutate color cremisi,e poi ortensie blu,rosa ,turchese,gerani di tutti i colori,petunie allegre e margherite,tante ,bianche e gialle. In un angolo ombroso enormi vasi di aspidistria con le loro foglie lancinanti.
A rivederlo oggi e’ l’inferno in terra : frigoriferi rotti, vecchi pneumatici, sterpaglie, pietre e lerciume.
Mi struggo in cuor mio e mi chiedo cosa mai sia  successo in cosi’ pochi decenni. Mi guardo attorno:colori spenti,urla sguaite,musiche degradanti,persone laide,visi tristi  ed ingrugniti.
E’ la spia tutto cio’ di come tutto il Paese sia scivolato nel baratro dell’ignoranza,delle brutture,dell’egoismo piu’ spietato,della mancanza d’amore. E’l’imbarbarimento, un irreversibile involuzione antropologica. 
La Capria nel suo bellissimo libro, L’armonia perduta , scrive:
“Ma e’ mai possibile che la nostra borghesia non abbia saputo escogitare altra maniera di far soldi se non quella di distruggere tutta la bellezza che avevamo intorno a profusione e di aggravare tutta la bruttezza che pure non ci mancava.”
E  volendo chiudere, oserei dire che piu’ che di bruttezza  fisica e quella essenzialmente morale che ha sfregiato  in modo, ahime, irreparabile il nostro Belpaese.

 Giovanni Ruotolo  21-03-2013