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Nonna Pnella
al secolo Giuseppina De Santis
Nonna Pnella,
donna minuta e dal carattere tenace,caparbio e inflessibile
era nata nel 1903,non so pero’ dire se a Torre del Greco o
in altro luogo. Non e’ perche io non ricordi , la ragione
sta nel fatto che mia nonna fu il frutto ,come si suol dire
non senza un velo di ipocrisia, di una relazione
clandestina,contrastata.
La poverina probabilmente non sarebbe dovuta nemmeno
nascere, nella sfortuna ebbe invece la possibilita’ di
venire alla luce. La sua famiglia naturale portava come
cognome De Santis. E quel De davanti al nome spesso denotava
origini aristocratiche, oppure poteva essere la sua una
famiglia agiata della buona borghesia. Si potrebbero fare
mille illazioni circa le cause che portarono al suo
concepimento. Essendo stato uno sfrenato lettore di
Balzac, specialmente da giovane, potrei immaginare una
tresca tra il padrone di casa ed una cameriera,oppure un
incesto tra fratelli o tra padre e figlia oppure ,la qual
cosa potrebbe essere la piu’ probabile , una relazione
scandalosa tra una figlia del padrone ed un giovane colono.
Infine come fu e come non fu la nonna divenne una figlia
di nessuno e come tale fu posta nella cosiddetta ruota degli
esposti o dell’ Annunziata. Abbandonata da tutti, da allora
in poi ,avrebbe potuto continuare a vivere solo grazie alla
carita’ altrui. Era divenuta una figlia ra Maronn.
Per quello che mi fu raccontato ebbe la fortuna di essere
adottata da una famiglia il cui capofamiglia era un
macellaio. La mamma adottiva avendo due figli maschi e non
potendone avere altri ,spinse il marito a prenderla con
loro,poiche’ desiderava ardentemente una bambina. Ricordo la
foto, in casa della nonna , di una coppia di anziani
coniugi, foto a cui lei teneva parecchio. Probabile che
fossero loro, i genitori adottivi, il macellaio con la
moglie.
Della sua infanzia ed adolescenza non so granche’,certamente
avra’ avuto una vita stentata considerato il periodo
storico. Avra’ avuto si e no una quindicina d’anni allo
scoppio della prima guerra mondiale ed era senz’altro una
giovane donna nel 22 all’epoca della farsesca marcia su
Roma dei fascisti di Mussolini.
Epoca di vacche magre dunque e quindi una vita agra come
d’altronde lo fu per la maggior parte degli italiani.
Quando siamo giovani stentiamo a credere che una nonna,una
persona anziana abbia potuto vivere da giovane tutte le
pulsioni che appartengono all’amore. Mia nonna che io
ricordo solo come una vecchina, da ragazza avra’ avuto
senz’altro del fascino, dei momenti di bellezza ,con i suoi
capelli nerissimi dai riflessi blu, con i suoi occhi
profondi e la pelle color ambra. Certamente anche lei, come
d’altronde tutte le ragazze, si sara’ innamorata e
perdutamente.
Infatti,appena diciottenne, si invaghi’ di un bel uomo di
nome Giovanni,mio nonno , di cui io appunto porto il nome,e
gli rimase fedele per sempre anche dopo la sua prematura
morte a soli quaranta anni causata dallo scoppio di una
cassa di petardi. Da vedova , la nonna essendo ancora
giovane allorche’ piacente fu molto corteggiata ,ma rifiuto’
tutti i pretendenti ,un po’ come Penelope con i Proci. Con
l’unica differenza che il suo Ulisse non avrebbe mai piu’
fatto ritorno.
Da questo breve e sfortunato matrimonio nacquero’ cinque
figli , di cui uno pero’ mori piccolo,forse quattro o
cinque anni,e spesso lei si inteneriva al ricordo:mi
raccontava quanto fosse bello questo bimbo con la fosseta
al mento e coi suoi riccioli biondi.Dalla morte del nonno vesti’
sempre di nero. Lutto che ha portato sempre fino all’ultimo
giorno di vita.
Tra gli altri quattro,due maschi e due femmine, c’era mia
madre Grazia, secondogenita, che e’ nata nel 28 quindi
quando la nonna era una ragazza di appena 25 anni.
Oggi e’ praticamente inimmaginabile la vita di una donna,
specialmente se povera,in quegli anni.In quegli anni del
cosiddetto secolo breve ,secolo il piu’ feroce che la storia
ricordi.
L’estate del 43 fu terribile. Bombardamenti continui ad
opera degli aerei alleati. La nonna con i suoi quattro
figli si salvarono rifugiandosi in ricoveri improvvisati:
cantine, scantinati,antri tufacei. Alcuni nostri
concittadini persero la vita sotto le macerie . Una lapide
li ricorda nella chiesa di Santa Teresa.
Impauriti scapparono a Mercato San Severino dove la nonna
aveva dei parenti. Mi tornano alla mente le stesse scene del
film “la ciociara” di De Sica con una bellissima Sofia
Loren. Capitarono pero’ nel momento sbagliato. Si stava
preparando lo sbarco alleato a Salerno , e tutta la linea di
costa veniva intensamente bombardata. Vedevano le bombe
deflagare a poche decine di metri da loro. Panico. Notti
insonni , con il sudore freddo che imperlava la fronte.
Alcuni giorni dopo tornarono a Torre con mezzi di fortuna
ovvero su un carretto trainato da un asino. Che scena!
Comunque l’avevano scampata bella. Per adesso erano salvi.
Durante tutta la durata della guerra c’era pochissimo,di
tutto. Non c’era granche’ da mangiare,non c’era ancora la
lavatrice,i panni si lavavano a mano con tanta fatica. Non
c’era il gas per cucinare,la cucine si chiamavano focolari e
si alimentavano con la carbonella che per accenderla
bisognava soffiare con dei ventagli e con molto olio di
gomito.
Non c’era acqua in casa,bisognava andarla a prendere alla
fontana comunale. Insomma si camminava e si faticava molto
per qualsiasi incombenza . Tutti erano magri, e come poteva
essere diversamente con quello che oggi diremmo stile di
vita alquanto spartano. Pochissime calorie e tanto
movimento. Come in una clinica di oggi all’ultimo grido in
fatto di dimagrimento. Una nemesi della storia?
A pensarci bene ,quando io sono nato nel 49,lei aveva appena
46 anni,una nonna si direbbe oggi giovanissima, una donna
ancora nel fiore degli anni. Ma non era cosi’, allora la
vita ,difficile, ti inaridiva l’anima e ti prosciugava il
corpo. A tal riguardo gia’ Dostoevskiji in un suo famoso
romanzo ,riferendosi ad un uomo di appena quaranta anni ,
lo definiva ormai gia’ vecchio.
Non era come oggi che la gioventu’ sembra essere quasi uno
stato perenne , sembriamo tutti dei Peter Pan o se vogliamo
dei Dorian Gray ,sperando senza alcun quadro nello
scantinato a decomporsi. La gioventu’ allora era invece
come una meteora che passava velocissima per non tornava
mai piu’.
La nonna Pnella anche se caparbia aveva un cuore d’oro. Era
lei, siccome mia madre era indaffarata nel negozio, a
prendersi cura di me e degli altri miei fratelli. Era lei
che ci faceva i clisteri quando avevamo mal di pancia.Sempre
lei a curarci la tenie,o il tifo o qualche polmonite. Lei a
bendarci la testa quando durante le nostre tante scorribande
capitava che qualcuno ce la spaccasse,cosi’ come si diceva
allora.
Non dimentichero’ mai lo stupore e l’incanto che suscitavano
i suoi racconti. Favole tramandate nei secoli dalle donne,di
madre in figlia. Storie di principi,di orchi, d’entita’
mostruose. D’inverno al caldo vicino al braciere e d’estate
sull’uscio di casa sotto le stelle. Qualcuna di queste
storie ,tempo dopo, le ho poi ritrovante in un libro di
Benedetto Croce,forse Storie e leggende napoletane.
La nonna , non avendo studiato,era analfabeta, pero’aveva
una sua cultura,una sua dignita’. Era la sua una vita
integerrima tant’e’ che ai suoi figli raccomandava sempre di
non accettare alcunche’ da nessuno. Se qualcuno offriva loro
del cibo dovevano assolutamente rifiutare asserendo che
avevano gia’ mangiato ,anche se il loro stomaco bofonchiava
dalla fame.
Si intendeva anche di come curare alcuni malanni o acciacchi
vari con le erbe. Le foglie di geranio ,in dialetto nin noc,
servivano ad estrarre il pus dalla ferite,la cipolla bollita
con olio d’oliva per lenire le scottature e poi gli impacchi
di semi di lino bollente per calmare la tosse. Probabile
lei non lo sapesse, ma assieme a tante altre donne era la
depositaria di una scienza medica centenaria che aveva
origine nella famosa scuola medica salernitana dell’
undicesimo secolo. Morte loro si e’ estinta anche questa
sapienza popolare. Sapienza che per le piccole cose le
rendeva del tutto autosufficienti. Oggi, al contrario, per
ogni stupidaggine si ricorre al medico.
Era molto devota della Madonna del Carmine.Un quadro di
questa madonna campeggiava su un mobile alto. E spesso lei
ci faceva recitare le preghiere in ginocchio davanti ad esso
e immancabilmente ci piovevano addosso caramelle a
profusione. Era la madonna che generosamente le elargiva poiche’
eravamo stati buoni,diceva lei, e noi, ingenui, ci cascavamo
in pieno.Beata innocenza!
Lei poi aveva un modo tutto suo di credere: non andava mai
in chiesa, il Signore,diceva era in ogni dove e nel suo
caso,in un angolo di casa dove era solita pregare,un po’
come i Lari al tempo dei romani.
Verso i dodici anni andai a vivere con lei, poiche’ mia
madre si preoccupava sapendola sola e voleva che ci fosse
almeno qualcuno a farle compagnia. Questo qualcuno fui
appunto io.
La nonna viveva in una casa alquanto piccola, appena una
stanza con un letto matrimoniale, un armadio,un tavolo,poche
sedie e poi una cucina striminzita con un bagnetto attiguo.
C’era una piccola finestra con alcuni vasi di gerani e
l’uscio dava direttamente sulla strada. Si potrebbe
benissimo dire che era nu vascio ma, ad onor del vero, molto
decoroso. Li’ ho studiato, letto i miei primi libri, oziato,
sognato, giocato insomma e’ stato il luogo della mia
fanciullezza e della mia adolescenza.
A dire il vero non fu affatto un sacrificio. La nonna
peraltro era un ottima cuoca. Era la sua la tipica cucina
mediterranea, ma era brava anche a preparare , nelle grandi
occasioni, manicaretti da far invidia alla cucina di re
Ferdinando primo di Borbone.
Per finire ricordo ancora come si preoccupasse per me, chi
frequentavo e addirittura mi seguiva a volte per verificare
che genere di ragazze frequentassi.
La mia permanenza ebbe termine il giorno che partii per il
sevizio militare. Era il 1969. Un mio cugino mi subentro’
ovvero prese il mio posto.
Al ritorno, un anno e mezzo dopo, la vidi saltuariamente,
indaffarato com’ero con i miei primi innamoramenti. Poi nel
77 mi sposai e,non avendo molto tempo, le andavo a far
visita di tanto in tanto,. Nel 79 si ammalo’:amnesie,non ci
stava piu’ con la testa. Deficit cognitivo, dicevano i
medici
Un giorno si mise a letto e non si alzo’ piu’.I medici le
diagnosticarono un tumore al cervello. Mori serenamente nel
maggio del 80.Maggio,il mese che lei piu’ amava. Una volta
infatti mi confesso’ che proprio in questo mese,forse il
piu’ bello dell’anno, lei aveva conosciuto il nonno,
conosciuto in senso biblico. Questo l’ho letto io, diciamo,
tra le righe. Lei era talmente pudica!
La sua vita probabilmente ai piu’ potrebbe sembrare banale,
poco interessante. Io ,al contrario, ritengo che la sua
storia ,assieme a quella di tantissimi italiani, che hanno
vissuti quegli anni difficili,ha reso possibile la
rinascita del nostro povero Paese, trascinato nel baratro
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da pochi
sciagurati.Un manipolo di guitti da avanspettacolo, di
poetastri da strapazzo, di pagliacci che hanno distrutto la
vita di buona parte degli italiani.
Un grazie a loro tutti .A tutti quegli uomini e donne che,
con tenacia, amore, coraggio e abnegazione hanno permesso a
tutti noi, figli e nipoti , di vivere una vita piu’ giusta e
decorosa. G. Ruotolo 10 aprile 2013
Pensiero d’amore
La schiuma
del mare gli carezza, con mille formicolii, le gambe. E’
l’alba di una bella giornata estiva e Vittorio mira, seduto
su uno scoglio,quell’immensa distesa azzurra. Avverte
possente nell’aria l’odore pungente della salsedine mentre
i primi raggi del Sole creano delle scie dorate sul mare.
Questo e’ il suo rifugio,il suo eremo,l’angolo in cui si
ripara per sfuggire alle asperita’ , per lenire le ferite
inferte dalla vita. Quel ricordo di tanto tempo fa ancora
l’opprime E’ il ricordo di un bacio,di un bacio rubato:
con il pretesto di guardare da vicino i suoi magnifici occhi
verdi,le si era avvicinato,e cosi’,senza che lei se ne
avvedesse , l’aveva baciata.
Molto tempo da allora e’ trascorso,molti anni sono volati
via,quasi una vita intera. Tanti contrasti,litigi,e tanti
silenzi. Ma come se un filo segreto unisse le loro anime,
lui non riesce a fare a meno di lei,del suo respiro,del suo
contatto.
Il mare intanto, nelle pupille, si riflette in mille
pagliuzze azzurre. Vittorio sale ritto sullo scoglio,e
senza alcun indugio, si tuffa nell’acqua cristallina. Scende
giu’ verso l’abisso, avvolto dal fresco contatto della
schiuma marina. Poi una lenta risalita ed ecco l’azzurro
del cielo. Con uno scatto vigoroso delle gambe si protrae in
avanti ed inizia una lunga maratona. Un braccio e poi
l’altro e cosi’ inizia a vagare nell’immensIta’ azzurra. Il
nuoto come terapia del dolore. E’ stato sempre cosi’,fin da
bambino. Un braccio e poi l’altro, un respiro e via, sempre
cosi . Intanto i pensieri scivolano via,il respiro diviene
sempre piu’ regolare ed il cuore si placa.
Dopo un tempo incommensurabile tocca lo scoglio e risale. Il
mare, come sempre,gli ha porto i suoi consigli: lui l’ama
ancora,non puo’ fare a meno di lei. Cosi’ l’indomani si
rechera’dalla cara persona per cercare di riprendere il filo
la’ dove si era interrotto. E’ stanco ,come se avesse vinto
una battaglia estenuante. Si stende sulla pietra calda e si
lascia avvolgere dai raggi dorati mentre il mare sussurra
nell’aria una dolce melodia, infrangendosi quietamente
sugli scogli.
Piripì
Salvatore Argenziano mi ha chiesto alcuni ragguagli circa la
mia famiglia per uno studio che sta effettuando a proposito
degli strangianomi torresi. Ben volentieri acconsento alla
sua richiesta.
I miei genitori, di cui la foto li ritrae in uno dei rari
momenti di relax, hanno gestito l’emporio ubicato in via
Liberta’( Abbasciammare), gia’ da prima che io nascessi e
quindi, presumibilmente, dagli anni 40. Mio padre ha
iniziato la sua attivita’ che era un ragazzino. Il padre era
morto in America che lui non era ancora nato, e per aiutare
la mamma, si era industriato in mille attivita’: faceva
decina di chilometri al giorno per procurarsi le derrate che
poi vendeva. Ed era un po’ di tutto:
castagne,ciliegie,pannocchie….. Nel 46, morta la mamma,
proprio nel giorno della proclamazione della Repubblica, lui
e mia madre si sono sposati.
Hanno gestito il negozio,conosciutissimo in tutta Torre,
piu’ o meno ,fino agli inizi degli anni ottanta. Dopo hanno
cessato l’attivita’ per aiutare mio fratello Ciro che nel
frattempo aveva acquisito la gestione della tabaccheria di
via Roma.
Fu ,quella di chiudere l’emporio di via Liberta’, una
decisione sofferta ed amara e tuttora si rammaricano di
averla fatta, pensando che avrebbero potuto continuare la
gestione ancora per altri anni. In fondo, capirete, quella
era tutta la loro vita!
Mio padre Michele Ruotolo era conosciutIssimo unicamente
come Piripi’. Immagino che i piu’ saranno curiosi di sapere
il perche’ di questo strangianome. Dovete sapere che mio
padre era solito allevare delle galline. Esse razzolavano
per tutta via Liberta’,su e giu’, senza che a nessuno
venisse in testa l’idea balzana di rubarne qualcheduna. Che
tempi, vero? La sera,poi, per farle rientrare tutte nel
negozio, era solito richiamarle con un “ pi,pi,pi,pi “. E
siccome i buontemponi non mancano mai, ecco che il figlio di
una vicina, una certa ChIarina, ebbe la buona idea di
chiamare mio padre “ Piripi’”. E da allora e’ conosciuto
solo cosi’. Ed anche noi tutti non siamo conosciuti che
unicamente come figli o nipoti di Piripi’.
Le
bottiglie di pomodoro
Era, sempre,
piu’ o meno, verso la fine di luglio, di sera ,che Don
Peppino, un vecchio colono della zona della cappella
Bianchini, ci portava le casse di pomodori della sua terra
con il suo vecchio trabiccolo, un furgone verde marcio,
forse un residuato bellico dell’ultima guerra.
Con lui due uomini robusti,i suoi due figli seppi in
seguito, che velocemente prendevano le casse piene dei
frutti rossi e le portavano su per le scale, al primo piano
, nel grande androne a volta ,dove affacciavano gli ingressi
di due appartamenti,tra cui il mio. Questo sarebbe stato il
palcoscenico dove si sarebbe svolto il rito annuale ,che
avveniva in tutte le famiglie di allora, delle “bottiglie
di pomodori” ovvero l’imbottigliamento dei pomodori come
conserva annuale, per poter assaporare anche d’inverno il
sapore paradisiaco dei rossi frutti estivi. C’e’da dire che
,comunque, era molto faticoso tale imbottigliamento e nel
nostro caso, lo era ancora di piu’ poiche’il lavoro doveva
svolgersi di notte,in genere dalle tre in poi. Il motivo era
semplice: il tutto doveva essere completato all’alba,
all’ora che apriva il negozio, poiche’ i miei gestivano
appunto una bottega di articoli vari.
Francamente non conservo un buon ricordo di quelle notti.
Converrete che non e’ affatto piacevole,essere
buttati,bruscamente, giu’dal letto a quell’ora antelucana e
trovarsi poi di fronte numerose casse di pomodori a ai quali
togliere il picciolo ovvero per meglio dire “ u struppone”.
Una fatica di Sisifo, interminabile. Quasi come contare le
pecore. Infatti spesso mi addormentavo e giu’ uno
scappellotto di mio padre a riportarmi alla dura realta’.
Dopo ore di “strupponaggio” veniva il lavaggio, che a dire
il vero era piu’ divertente:si inscenava una battaglia con
gli schizzi d’acqua. Ma durava poco, qualche urla e il
lavoro proseguiva. Questi erano i preliminari, da adesso in
poi si iniziava a fare sul serio. Entrava in scena il
mostro, l’arnese di metallo, con la bocca enorme, aperta e
montato su un piedistallo. A lato una manovella che
,girandola con un braccio, separava la polpa dalla pellicina
e dai semi dei pomodori che si buttavano nella bocca
famelica. C’era anche una ripassata per non perdere
alcunche’ del prezioso succo.
Dopo un breve periodo di sedimentazione, per evitare che il
succo risultasse troppo acquoso, ecco l’imbottigliamento
vero e proprio. Con un imbuto si riversava nelle bottiglie,
che poi erano le piu’disparate, il prezioso nettare, senza
dimenticare, e qui bisognava stare molto attenti, una foglia
di basilico fresco e un po’ di sale grosso alla fine, a mo’
di antimuffa . A onor di cronaca alcune bottiglie venivano
riempite manualmente con i pomodori tagliati a pezzi. Erano
le bottiglie dette di ”pomodor a pacch”. Mentre le prime
servivano prevalentemente per il ragu’, le altre, sempre in
numero minore, venivano usate in cucina o per il sugo a
filetto o per fare “ a carne arricanate” ovvero la carne
alla pizzaiola.
A questo punto si puo’ dire che il piu’ era fatto. Non
rimaneva che la chiusura delle bottiglie con i tappi di
metallo. Ed ecco un’altra macchina strana con due bracci. Si
poneva il tappo sulla bocca della bottiglia e”tac” con un
movimento brusco sulle due leve il lavoro era fatto.
Adesso la parte finale, e siamo piu’ o meno verso le sei del
mattino. E’ il momento clou ed e’un compito che solo il
capofamiglia poteva svolgere. Ecco,quindi mio padre, con lo
sguardo ieratico e con una certa sacralita’ riporre le
bottiglie in grossi fusti di metallo, separando uno strato
di bottiglie dall’altro con fogli di giornali. Alla fine si
riempivano i grossi recipienti di acqua e si accendeva la
fiamma dei bruciatori a gas sui quali essi erano poggiati.
Dovevano sobbollire per un certo tempo, poi si spegneva il
tutto e si lasciavano raffreddare le bottiglie per un
giorno. Ecco la provvista annuale era pronta….. e che
fatica! Le palpebre cascavano dal sonno ma si andava a mare
,comunque,poiche era li’ a pochi passi.
La commedia umana era terminata perche, in fondo, ho omesso,
per brevita’, gli scherzi, le risate. …la convivialita’
tutta, in quanto a questo rito partecipavano anche parenti ,
vicini ed amici.
E poi, in fondo volete mettere una pasta condita con questa
salsa di pomodoro ed un’altra invece con un’insulsa passata
industriale. In tutta sincerita’ ,c’e’ un abisso!
Preludio di
morte
Era stato come
essere condannato a morte. Cancro alla vescica gli aveva
quasi sussurrato il medico.Ma lui nienre,quasi
estraniato,come se non fosse lui in quella stanza. Come se
quelle parole,terriili,non fossero state rivolte a lui, ma a
qualcun altro,mentre lui ,sicuro, stava accovacciato al
riparo in qualche angolo riparato. Come da piccolo,quandi in
casa c’era baruffa tra i suoi genitori, lui trovava
conforto in un cantuccio,quasi comea voler scomparire.
Mai poi,ormai fuori dallo studio quelle parole risuonarono
in tutta la loro crudezza. Ed esse erano rivolte a lui,su
questo non aleggiava alcun dubbio. E riparo alcuno non ce
n’era. Era solo, solo contro un moloch trribile.
Che fare? Lui, che della prestanza fisica aveva fatto la
ragione della sua vita. Come doveva comportarsi? Era
stordito,non riusciva a pensar. Intanto pensieri cupi
iniziavano ad affollare la mente. Farla finita,si’, farla
finita. Era la via piu’ indolore,quella piu’ praticaile.
Non avrebbe visto il suo corpo corrodersi, non avrebbe
dovuto sostenere lo sguardo quasi pietoso degli altri,ma
anche un po’ compiaciuto ….. |