Fate come me: calma, letizia, quiete, 
tranquillità



La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta

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La scuola elementare

Giu’ a mare, negli anni 50, la scuola elementare del quartiere era ubicata in un palazzo del primo novecento sul corso Garibaldi. L’edificio,fatiscente fino a poco tempo fa’, e’ stato recentemente restaurato e ,a dire il vero,mantiene, sebbene essenziale nelle linee architettoniche, una sua grazia, una certa eleganza, sebbene austera. Noi, ragazzini d’allora, a scuola si andava rigorosamente a piedi e non poteva essere diversamente, non esistevano auto, voglio dire  che solo pochi, i piu’ agiati, ne possedevano qualcuna, per il resto non era infrequente imbattersi in carrette trainati da asini ed anche cavalli. I maestri, e qui per carita’ cristiana non faccio nomi, sebbene siano da non molto tempo morti, conservavano un atteggiamento alquanto autoritario, retaggio del farsesco regime fascista da pochi anni tracollato. I metodi di insegnamento erano alquanto spicci, ed era la bacchettata la loro arma prediletta. Allo scopo si utilizzava una verga di legno duro, qualcuno con un certo sadismo addirittura di ferro, che veniva sferrata con una certa virulenza sulla mano del malcapitato che inutilmente, quasi come un vezzo, cercava di ritrarla. Inutilmente, un dolore lancinante lo piegava in due fin quasi a togliergli il respiro.
Ma, fortunatamente, era a fine lezione, nella tarda mattinata, che arrivava cio’ che fin dalla mattina, si desiderava ardentemente, tale da inficiare la dovuta concentrazione. Il tesoro lo portavo un bidello in un sacco di juta. Cosi’, all’improvviso, i battiti, all’unisono, acceleravano, il respiro si faceva pesante, gli occhi tutti concentrati sull’oggetto agognato, un silenzo irreale calava sull’aula.
Era in quel preciso momento che il maestro diveniva un deus macchina, poteva disporre come voleva, nella piu’ assoluta discrezionalita’ a chi distribuire o meno il tesoro. Con una certa sacralita’ scioglieva lo spago ed ecco fuoruscire il prezioso contenuto: erano panini ,si  panini,  con marmellata, con mortadella e a volte, per me , con tanto la desiderata carne in scatola.
Iniziava a chiamare chi, secondo lui ,per motivi di indigenza, ne potesse avere piu’ bisogno. E cosi’ man mano che i panini diminuivano tanto piu’ scemavano le mie speranze. Niente, mai avuto uno. Il maestro, sapendo che mio padre era commerciante mi considerava appartenente ad una categoria non sull’orlo della fame. Il mio stomaco, pero’ di tutto questo non ne sapeva acunche’ e bofonchiava.
In definitiva tornavo a casa incavolato e con una fame da lupi e che fino all’ora di pranzo non sapevo affatto  come lenire.

Torre
non e’ un paese per Kant

Caro Michele,mi ero ripromesso di rispondere al tuo post,poi un contrattempo mi ha distratto tale che poi,pur cercandolo,l’ho perso tra i meandri di una miriade di cazzate. Cosi’ per ritrovarlo sono andato sulla tua pagina..ed eccomi qua.
Ti volevo solo dire,visto che piu’ o meno apparteniamo alla stessa generazione, che noi ,nati agli inizi degli anni cinquanta siamo gli ultimi che hanno potuto godere di quelle che erano le bellezze,ancora intatte,della nostra citta’- Siamo noi quelli che,impotenti, hanno assistito alla distruzione delle meraviglie che facevano della nostra citta’ la perla del golfo. Meta nel settecento e nell’ottocento degli amanti del Gran Tour,la nostra citta’ si e’ pregiata delle visite di personaggi di rilievo della cultura europea: Goethe,Mozart, Casanova,..e tanti altri ancora. Poi negli anni sessanta il declino irreversibile ad opera di una banda di miseri cialtroni. Ma essi non erano soli,erano in buona , nutrita compagnia.
Un ceto di lazzaroni famelici ,infatti,si e’ ingrassato delle briciole di costoro,tant’e’ che quasi alcuna voce si e’ levata in difesa della  Bellezza, ahime, crudelmente violata. Quasi tutta la citta’ ha contribuito al suo declino,vuoi

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per insipienza,vuoi  per robusti appetiti familistici.
Cosi’ tutto hanno divorato, fagocitato, ingoiato. Hanno,come dici tu, distrutto il bellissimo litorale torrese ergendo decine e decine di palazzi dalle linee,a voler essere buoni,dozzinali,poi il mostro di cemento a ridosso della villa comunale,la giunga d’asfalto di rione Raiola,la Castelluccia, le ville del Miglio d’oro…..La lista e’ lunga e rischierei di fare notte,per cui mi fermo qui. Attualmente la stessa genia assiste impassibile alla distruzione di piazza Santa Crocee del Monastero dei Zoccolanti. E’ come dici tu,manca l’etica,la coscienza critica. Siamo per lo piu’ un popolo ignorante e becero,dal quale Kant scapperebbe a gambe levate.


Sunset boulevard

Aveva sempre provato un che di invidia per i vecchi. Nel tumulto della sua vita,in piena carriera ,Vittorio invidiava loro quella calma,quella seraficita’ che a lui mancavano. Un’immagine gli si era scolpita nella mente: in uno dei suoi tanti viaggi di lavoro,nel pieno della calura estiva, gli era scorsa davanti quella di un vecchio con capelli e baffi bianchi che dormiva sereno su una sdraio sotto la fresca ombra di un pergolato di glicine,ancora con i suoi grappoli azzurri. Aveva,in quegli anni di pieno fulgore della vita,l’impressione che la vecchiaia fosse quasi l’Arcadia della vita.
Ora,a distanza di anni,ed in procinto di divenire lui stesso vecchio, quell’antico pensiero, quell’idea elegiaca era un po’ svanita. Non e’ tutt’oro quel che riluce, e lui cio’ lo aveva provato sulla sua pelle,nella sua carne viva. Aveva dato per scontato di arrivare all’eta’ che aveva,circa sessant’anni,con il vigore intatto,con lo stesso passo elastico,con gli appetiti immutati,solo forse qualche capello bianco in piu’ e null’altro.
Guardandosi allo specchio,questo impietoso gli rimandava,invece, un’immagine tutt’altro che benevole. Dopo anni di vita smodata, il fisico portava le tracce di un lento ed inesorabile logoramento. Si era imbolsito, causa la buona cucina,ed il suo passo non era piu’ spedito come una volta. Era divenuto lento nel camminare in un mondo dove sembrava che tutti andassero veloci. Si’,quasi come avere una palla al piede!
E cosi’ aveva scoperto che la vecchiaia non era bella cosi’ come gli era sembrata da giovane,anzi adesso quasi provava invidia per chi moriva prima di dover assaggiare questo frutto velenoso. E a dire il vero gia’ diversi suoi amici non c’erano piu:  erano caduti cosi’ come i birilli attorno a lui. Quelli rimasti ,come si suol dire,tiravano a campare. Chi ancora non si era ammalato, conduceva una vita ordinata, scandita dagli orari rigorosi delle pillole e la sera tornava a casa prima dell’imbrunire, accompagnato spesso dalla moglie , appena  uscita dalla chiesa. Altri,invece,eterni scapoli, strenuamente dietro le gonnelle, si accompagnavano a donne piu’ giovani,per lo piu’ dell’est europeo,nella vana speranza di prendere per i fondelli la vita stessa. Ma spesso,a notte tardi,confidandosi,rivelavano  gli atroci morsi della solitudine.
Un suo caro amico,invece aveva adottato un insolito sistema, egli scappava letteralmente da essa. Girava il mondo in tondo, oggi qua,domani la come a non voler farsi trovare. Che drago,vero!
E lui, Vittorio,che strategia aveva pensato di adottare? Niente!Aveva pensato semplicemente di lasciarsi vivere. Per dirla alla Terzani girava sulla giostra della vita aspettando ,con indifferenza, la fine della corsa.
Ma una cosa,negli ultimi tempi gli si era impressa nella mente. Ricordate Toto’ quando mima le botte dei fuochi pirotecnici?  Un ta ta ta in crescendo fino alla botta finale ,quasi inaspettata?  Si’, il suo sarebbe stato un finale cosi’, ………………….un ta ta ta ta ta ta ta………boooooom.