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Mia sorella Anna
Stamane,correndo, ho iniziato a pensare a mia sorella. Mia
sorella Anna. Lei e’ piu’ piccola di me di pochi anni. La
si vede piccola in questa foto,unica femmina in mezzo a tre
fratelli,tra cui io. Ha l’aria,in questa vecchia immagine,un
po’ spaurita come d un pulcino bagnato. Da piccola,forse
intorno ai tre o quattro anni stette malissimo,quasi in
procinto di morire. Tale fu lo scoramento e la paura di
perdere la bambina che mia madre ,ed anche mia nonna, si
rivolsero alla Madonna del Carmine chiedendole la grazia di
salvarla. Non so come fu ,ma la richiesta fu esaudita. Mia
madre ,come ringraziamento per il “ miracolo”, chiamo mio
fratello,che nacque di li’ a pochi anni, Carmine,cosi’ come
la Madonna. La bambina crebbe e divenne una bella
ragazza,non alta,ma armoniosa,dai capelli neri, con insoliti
riflessi blu, e la pelle ambrata.La ricordo,appena
adolescente,vestita con colori vivaci ,per strada, dove non passava
certamente inosservata .Un’altra scena mi torna in mente:
noi due,bambini,che nella bella,allora,piazza Santa Croce
,mangiavamo la pizza sui gradini del sagrato della chiesa.
Di lei si innamoro’ il mio attuale cognato , Peppe.
Stava,nelle belle serate estive,ore sotto il nostro balcone
sperando che lei si affacciasse. Fu un bell’amore. A meta’
degli anni settanta, ormai abitavamo in via Cesare
Battisti,una sera, vennero a casa nostra i genitori di mio
cognato,il noto pittore Antonio Madonna con la moglie Maria.
Doveva nascere una bambina, la mia bella nipote Marina, e
quindi conveniva che i due innamorati convolassero a giuste
nozze.
Si sposarono,quindi , e, stranamente, ho pochi ricordi di
quel felice evento.
La sua mancanza si rese subito evidente. Dovete sapere
che,quando stava a casa, era lei la cuoca in famiglia (e che
cuoca!), essendo mia madre impegnata a condurre il negozio
di via Liberta’ ( Piripi’)
Cucinava benissimo,e tuttora e’ una braca cuoca. Conosceva i
miei gusti e pertanto mi preparava,tra le altre
prelibatezze,certi piatti ricolmi di pasta alla carbonara o
di riso al pomodoro fresco. Che bonta’!
Dice Tolstoj : Tutte le famiglie felici lo sono allo stesso
modo……. E la sua e’ veramente una famiglia cosi’ felice.
Tre bei figli,due femmine ed un maschio, ai quali sono
particolarmente legato,e cosi’ anche le mie figlie.
Attualmente e’ un po’ ingrassata, diciamo florida come lo
sono le donne nei quadri di Rubens. E’ ancora bella. Una
donna dal forte carattere ma,anche, di una profonda
sensibilita’.E’ lei che,principalmente,si prende cura dei
miei anziani genitori,con pazienza ed abnegazione.
i sera,parlando, mi ha accarezzato il viso…come una mamma,ha
detto….. Questa e’ mia sorella Anna.
Pensieri
Accovacciato
alla base del faro,con il mare di sotto che ,schiumando
rabbia, si infrange con violenza sugli scogli,Vittorio
contempla la linea di costa che gli si para davanti. Essa
negli anni e’ mutata molto fino quasi ,ai suoi occhi,a
divenire irriconoscibile. Essa, cosi’ com’e’ adesso,
imbratta i suoi ricordi.
Da ragazzo era solito,d’estate,quasi tutte le
mattine,tuffarsi dallo scoglio detto,chissa’ perche’,della
Patana. Riemergeva con uno scatto quasi come a voler
toccare il cielo. Poi d’impeto ,con bracciate vigorose,
attraversava impudentemente il braccio di mare che lo
divideva dal faro rosso. Toccava gli scogli alla sua base e,
senza un attimo di tregua, lo ripercorreva in senso
inverso. Felicemente spossato,si arrampicava sugli scogli e
si stendeva sulla bollente roccia vulcanica proprio a
ridosso del ristorante. Vi stava ore con il viso rivolto al
Sole e la mente persa in mille pensieri. In quel periodo,per
il troppo Sole, diveniva abbronzatissimo, quasi nero.
Ora quei luoghi sono sfregiati,orribilmente deturpati. Una
colata di cemento ha completamente sommerso la roccia
vulcanica della scogliera chiamata “ a mont u scaro. La’
dove da bambini era solito,con i compagni,giocare ora
sorgono orribili manufatti fin quasi a lambire il mare.
Nel mentre e’ perso nel passato, uno scroscio di pioggia lo
riporta alla realta’. Da’ un ultimo sguardo alla citta’
,cercando idealmente di individuare il punto preciso dove
tuttora sorge la casa dov’e’nato,poi si alza e va via.
Una
Pasquetta di tanti anni fa
Il Lunedi’ in
Albis ci si svegliava molto presto,prima che albeggiasse.
Eravamo io, mio fratello Ciro ed altri amici. Ci si
incontrava tutti vicino al bar del Caporale, in via
Fontana. Da li’, infreddoliti ed ancora assonnati, con la
classica mappatella in mano, si iniziava il lungo
cammino,quasi una marcia, che ci avrebbe condotti alle
famose” montagnelle rosse”. Non si saliva per le scale della
Ripa, come sarebbe stato logico, ma si deviava per via
Gradoni e cancello, “i
ggrariatèlle r'a ciucciara
”, per recarci a casa di una mia zia, che abitava”
mmiezassangaitano
”. Mia zia Titina, novella sposa e cuoca impareggiabile, ci
aveva gia’ cucinato cotolette,pasticcio di maccheroni ed
alte bonta’. Si era svegliata in piena notte per prepararci
il pranzo di Pasquetta che avremmo consumato in pineta.
La Torre di allora, che attraversavamo alle prime luci
dell’alba, era ancora una citta’ che conservava intatta la
sua bellezza. |
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Nell’aria fresca di quella mattina primaverile
era ancora possibile avvertire le sottili fragranze dei
tanti odori provenienti dai giardini,di cui allora la citta’
era ancora ricca. Cosi’,si saliva le scale della” ciucciara”,
scale oggi distrutte per permettere il passaggio delle
auto,e si poteva ancora mirare il borghetto sulla destra
dalla caratteristica architettura vesuviana. Oggi esso e’
un cumulo di macerie, ed in uno spiazzo, da dove esse
sono state rimosse , si e’ improvvisato uno squallido
parcheggio di auto. Che io ricordi, c’era anche un lupanare,
quasi un antro,buio e, per noi adolescenti,carico di
misteri. Piu’ sopra si vendevano esche per la pesca e poi
c’era la Pastora, dove eravamo solito comprare, nel periodo
natalizio,i pastori di creta,a dire il vero un po’ informi,
per il presepe.
Zia Titina, quasi come un rito annuale, ci accoglieva
festosa in un’amalgama di odori irresistibili. La zia,
allora,ancora giovane e bella,generosamente ci riforniva di
ogni ben di Dio e noi, gia con l’acquolina in bocca,
dovevamo farci violenza per impedirci di divorare innanzi
tempo quelle cose tanto prelibate.
Il marito, zio Aniello,dopo lunghi anni di navigazione,”
”,
era riuscito ad aprire una macelleria. Quando le cose
sembrava che andassero per il meglio,un infarto ed il sogno
si vanifico’anzitempo. Mia zia,appena quarantenne, e‘
rimasta, nel tempo, per sempre fedele al ricordo del marito
tanto amato.
Provvisti di tutto punto si riprendeva il cammino fino ad
immetterci in una vera e propria fiumana umana diretta verso
le pinete di Montedoro.
Allora, e siamo nei primi anni sessanta, le pinete
iniziavano appena sopra via De Nicola. Un’ enorme distesa di
pini, odorosi di resina, che saliva fino alle pendici del
Vesuvio, senza soluzione di continuita’. Uno spettacolo
della natura sublime e tale che l’anima, nel mirarlo,
sembrava quasi librarsi nell’aria. Erano le stesse pinete
dove l’oplontino Michele Prisco, nel suo “I figli del vento”
ambienta amori sfortunati e passioni distruttive. Di tanta
bellezza oggi non e’rimasto molto, pochi pini superstiti
affogati nel cemento. E’ quasi un tormento vedere
attualmente come i nostri appetiti bulimici abbiano ridotto
un luogo che un po’ poteva rivaleggiare con il Paradiso.
Quell’esercito ciarliero e festante di uomini,donne,ragazzi
e di tanti bambini, era bello da vedere. Belle anche le
voci, scherzose ed ironiche, in un dialetto ancora intatto,
incontaminato
Man mano che si saliva, c’erano i venditori di bibite, di
panini e poi tante motorette,Vespe e Piaggio, in genere di
innamorati, con lui davanti e la ragazza dietro,non a
cavalcioni come oggi, ma elegantemente, sebbene molto
scomodo, di traverso.
All’altezza dell’attuale ospedale, che allora ancora non
c’era, ci si disperdeva nelle pinete,tra i tanti cespugli di
ginestre con i loro meravigliosi fiori gialli dall’odore
inebriante. Io penso che se il Paradiso ha dei profumi, essi
saranno sicuramente quelli delle ginestre ed anche,perche’
le amo,delle fresie.
Erano quegli gli anni del boom economico. Dopo tante
privazione,arrivava un po’ di benessere. Finalmente la vita
porgeva il suo lato lieto e nell’aria si diffondevano le
canzonette di allora. Ed ecco dai rudimentali mangiadischi
uscire,allegra e travolgente, la musica ye ye, Rita Pavone
con il suo “mio cuore tu stai soffrendo..”, Gianni Morandi “
fatti mandare dalla mamma a prendere il latte “ e poi Little
Tony ,” un cuore matto,matto da legare….”. E poi il grande
Elvis, il mio idolo.
Adesso si era in cerca di un posto idoneo, un luogo con due
alberi distanti il giusto per mettere un’altalena e uno
spiazzo per disporre una tovaglia con sopra il casatiello,la
pastiera di grano,quella di capellini con canditi,e tante
altre cose buone da morire. E cosi’ veniva il tempo del
gioco, del ballo, e c’era spesso qualcheduno che suonava la
fisarmonica o strimpellava con la chitarra. Melodie e voci
allegre riecheggiavano in ogni dove. E poi gli sguardi degli
innamorati,di sbieco, senza darlo ad intendere alle mamme,
oltremodo sospettose, ed ai papa’ con lo sguardo volutamente
truce. Veniva ,nel primo pomeriggio,l’ora tanto agognata,
quella del mangiare. E cosi’ si assopiva la fame atavica .
Gli appetiti,sempre insoddisfatti,finalmente, trovavano
ristoro.
Chissa’ perche’ ma,per quello che ricordo,la pasquetta era
spesso all’insegna del tempo variabile e, a volte, non
mancava qualche breve scroscio di pioggia. E cosi’, quando
cadeva qualche goccia di acqua, nel tumulto della fuga, gli
innamorati scomparivano, cosi’ d’incanto. Iniziava allora,
quasi all’unisono, da parte dei genitori, un coro di
richiami_: Teresaaa, Concettaaa, Rosaaa… Ma esse erano al
sicuro,protette da arbusti complici, a perdersi nell’estasi
di un abbraccio. Ricordo che anch’io ,in quelle giornate, mi
perdevo appresso a qualche ragazzetta che poi seguivo fino a
casa. Mi appostavo sotto la sua abitazione, stavo ore a
guardare la finestra,ma niente,non ne cavavo nulla.
Al calar del sole, cantando qualche canzonetta in voga e
celiando con gli amici, iniziava il ritorno dalle pinete,per
noi ambiente inconsueto,al mare,a noi molto piu’ familiare.
E a sera inoltrata si addiveniva al largo baronale.
Dall’alto scorgevamo le nostre case,quasi lambite dal mare.
Scendevamo , con il cuore leggero le scale. Senza saperlo
avevamo vissuto una giornata irripetibile, una giornata
immersa nella Bellezza, che poi e’ la vita stessa. Si’, la
Bellezza, che quando non c’e’, come oggi, si avverte una
privazione tale che il cuore sembra quasi che cessi di
battere. |