TORRE - DOPO IL FUOCO LA VITA


La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta

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Mia  sorella Anna 

Stamane,correndo, ho iniziato a pensare a mia sorella. Mia sorella Anna. Lei e’ piu’ piccola di me di pochi anni.  La si vede piccola in questa foto,unica femmina in mezzo a tre fratelli,tra cui io. Ha l’aria,in questa vecchia immagine,un po’ spaurita come d un pulcino bagnato. Da piccola,forse intorno ai tre o quattro anni stette malissimo,quasi in procinto di morire. Tale fu lo scoramento e la paura di perdere la bambina che mia madre ,ed anche mia nonna, si rivolsero alla Madonna del Carmine chiedendole la grazia di salvarla.  Non so come fu ,ma la richiesta fu esaudita. Mia madre ,come ringraziamento per il “ miracolo”, chiamo mio fratello,che nacque di li’ a pochi anni, Carmine,cosi’ come la Madonna. La bambina crebbe e divenne una bella ragazza,non alta,ma armoniosa,dai capelli neri, con insoliti riflessi blu, e la pelle ambrata.La ricordo,appena
 adolescente,vestita con colori vivaci ,per strada, dove non passava certamente inosservata .Un’altra scena mi torna in mente: noi due,bambini,che nella bella,allora,piazza Santa Croce ,mangiavamo la pizza sui gradini del sagrato della chiesa.
Di lei si innamoro’ il mio attuale cognato , Peppe. Stava,nelle belle serate estive,ore sotto il nostro balcone sperando che lei si affacciasse. Fu un bell’amore.  A meta’ degli anni settanta, ormai abitavamo in via Cesare Battisti,una sera, vennero a casa nostra i genitori di mio cognato,il noto pittore Antonio Madonna con la moglie Maria. Doveva nascere una bambina, la mia bella nipote Marina, e quindi conveniva che i due innamorati convolassero a giuste nozze.
Si sposarono,quindi , e, stranamente, ho pochi ricordi di quel felice evento.
La sua mancanza si rese subito evidente. Dovete sapere che,quando stava a casa, era lei la cuoca in famiglia (e che cuoca!), essendo mia madre impegnata a condurre il negozio di via Liberta’ ( Piripi’)
Cucinava benissimo,e tuttora e’ una braca cuoca. Conosceva i miei gusti e pertanto mi preparava,tra  le altre prelibatezze,certi piatti ricolmi di pasta alla carbonara o  di riso al pomodoro fresco. Che bonta’!
Dice Tolstoj : Tutte le famiglie felici lo sono allo stesso modo……. E la sua e’ veramente una famiglia  cosi’ felice.  Tre bei figli,due femmine ed un maschio, ai quali sono particolarmente legato,e cosi’ anche le mie figlie.
Attualmente e’ un  po’ ingrassata, diciamo florida come lo sono le donne nei quadri di Rubens. E’ ancora bella. Una donna dal forte carattere ma,anche, di una profonda sensibilita’.E’ lei che,principalmente,si prende cura dei miei anziani genitori,con pazienza ed abnegazione.
i sera,parlando, mi ha accarezzato il viso…come una mamma,ha detto….. Questa e’ mia sorella Anna.


Pensieri

Accovacciato alla base del faro,con il mare di sotto che ,schiumando rabbia, si infrange con violenza sugli scogli,Vittorio contempla la linea di costa che gli si para davanti. Essa negli anni e’ mutata molto fino quasi ,ai suoi occhi,a divenire irriconoscibile. Essa, cosi’ com’e’ adesso, imbratta i suoi ricordi.
Da ragazzo era solito,d’estate,quasi tutte le mattine,tuffarsi dallo scoglio detto,chissa’ perche’,della Patana. Riemergeva  con uno scatto  quasi come a voler toccare il cielo. Poi d’impeto  ,con bracciate vigorose, attraversava impudentemente il braccio di mare che lo divideva dal faro rosso. Toccava gli scogli alla sua base e, senza  un attimo di tregua, lo ripercorreva in senso inverso. Felicemente spossato,si arrampicava sugli scogli e si stendeva sulla bollente roccia vulcanica  proprio a ridosso del ristorante. Vi stava ore con il viso rivolto al Sole e la mente persa in mille pensieri. In quel periodo,per il troppo Sole, diveniva abbronzatissimo, quasi nero.
Ora quei luoghi sono sfregiati,orribilmente deturpati. Una colata di cemento ha completamente sommerso la roccia vulcanica della scogliera  chiamata “ a mont u scaro. La’ dove da bambini era solito,con i compagni,giocare ora sorgono orribili manufatti  fin quasi a lambire il mare.
Nel mentre e’ perso nel passato, uno scroscio di pioggia lo riporta alla realta’. Da’ un ultimo sguardo alla citta’ ,cercando idealmente di individuare il punto preciso dove tuttora sorge la casa dov’e’nato,poi si alza e va via.
 

Una Pasquetta di tanti anni fa

Il Lunedi’ in Albis ci si svegliava molto presto,prima che albeggiasse. Eravamo io, mio fratello Ciro ed altri amici. Ci si incontrava tutti vicino al bar del Caporale, in via Fontana.  Da li’, infreddoliti ed ancora assonnati, con la classica mappatella in mano, si iniziava il lungo cammino,quasi una marcia, che ci avrebbe condotti alle famose” montagnelle rosse”. Non si saliva per le scale della Ripa, come sarebbe stato logico, ma si deviava per via Gradoni e cancello, “i ggrariatèlle r'a ciucciara ”, per recarci a casa di una mia zia, che abitava” mmiezassangaitano ”. Mia zia Titina, novella sposa e cuoca impareggiabile, ci aveva gia’ cucinato cotolette,pasticcio di maccheroni ed alte bonta’. Si era  svegliata in piena notte per prepararci il pranzo di Pasquetta che avremmo consumato in pineta.
 La Torre di allora, che attraversavamo alle prime luci dell’alba, era ancora una citta’ che conservava intatta la sua bellezza.

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Nell’aria fresca di quella mattina primaverile era ancora possibile avvertire le sottili fragranze dei tanti odori provenienti dai giardini,di cui allora la citta’ era ancora ricca. Cosi’,si saliva le scale della” ciucciara”, scale oggi distrutte per permettere il passaggio delle auto,e si poteva ancora mirare il borghetto sulla destra dalla caratteristica architettura vesuviana. Oggi esso e’ un    cumulo di macerie, ed in uno spiazzo, da dove esse sono state rimosse , si e’ improvvisato uno squallido parcheggio di auto. Che io ricordi, c’era anche un lupanare, quasi un antro,buio e, per noi adolescenti,carico di misteri. Piu’ sopra si vendevano esche per la pesca e poi c’era  la Pastora, dove eravamo solito comprare, nel periodo natalizio,i pastori di creta,a dire il vero un po’ informi, per il presepe.
Zia Titina, quasi come un rito annuale, ci accoglieva festosa in un’amalgama di odori irresistibili. La zia, allora,ancora giovane e bella,generosamente ci riforniva di ogni ben di Dio e noi, gia con l’acquolina in bocca, dovevamo farci violenza per impedirci di divorare innanzi tempo  quelle cose tanto prelibate.
Il marito, zio Aniello,dopo lunghi anni di navigazione,”
 ”, era riuscito ad aprire una  macelleria. Quando le cose sembrava che andassero per il meglio,un infarto ed il sogno si vanifico’anzitempo. Mia zia,appena  quarantenne,  e‘ rimasta, nel tempo,  per sempre fedele al ricordo del marito tanto amato.
Provvisti di tutto punto si riprendeva il cammino fino ad immetterci in una vera e propria fiumana umana diretta verso le pinete di Montedoro.
Allora, e siamo nei primi anni sessanta, le pinete iniziavano appena sopra via De Nicola. Un’ enorme distesa di pini, odorosi di resina, che saliva fino  alle pendici del Vesuvio, senza soluzione di continuita’. Uno spettacolo della natura sublime e tale che l’anima, nel mirarlo, sembrava quasi librarsi nell’aria. Erano le stesse pinete dove l’oplontino Michele Prisco, nel suo “I figli del vento” ambienta amori sfortunati e passioni distruttive. Di tanta bellezza oggi non e’rimasto molto, pochi pini superstiti affogati nel cemento. E’ quasi un tormento vedere attualmente come i nostri appetiti bulimici abbiano ridotto un luogo che un po’ poteva rivaleggiare con il Paradiso.
Quell’esercito ciarliero e festante  di uomini,donne,ragazzi e di tanti bambini, era bello da vedere. Belle anche le voci, scherzose ed ironiche, in un dialetto ancora intatto, incontaminato
Man mano che si saliva, c’erano i venditori di bibite, di panini e poi tante motorette,Vespe e Piaggio, in genere di innamorati, con lui davanti  e  la ragazza dietro,non  a cavalcioni come oggi, ma elegantemente, sebbene   molto scomodo, di traverso.
All’altezza dell’attuale ospedale, che allora ancora non c’era, ci si disperdeva nelle pinete,tra i tanti cespugli di ginestre con i loro meravigliosi fiori gialli dall’odore inebriante. Io penso che se il Paradiso ha dei profumi, essi  saranno  sicuramente quelli delle ginestre ed anche,perche’ le amo,delle fresie.
Erano quegli gli anni del boom economico. Dopo tante privazione,arrivava un po’ di benessere. Finalmente la vita porgeva il suo lato lieto e nell’aria si diffondevano le canzonette di allora. Ed ecco dai rudimentali mangiadischi  uscire,allegra e travolgente, la musica ye ye, Rita Pavone con il suo “mio cuore tu stai soffrendo..”, Gianni Morandi “ fatti mandare dalla mamma a prendere il latte “ e poi Little Tony ,” un cuore matto,matto da legare….”.  E poi il grande Elvis, il mio idolo.
Adesso si  era in cerca di un posto idoneo, un luogo con due alberi distanti il giusto per mettere un’altalena e uno spiazzo per disporre una tovaglia con sopra il casatiello,la pastiera di grano,quella di capellini con canditi,e tante altre cose buone da morire. E cosi’ veniva il tempo del gioco, del ballo, e c’era spesso qualcheduno che suonava  la fisarmonica o strimpellava  con la chitarra. Melodie e voci allegre riecheggiavano in ogni dove. E poi gli sguardi degli innamorati,di sbieco, senza darlo ad intendere alle mamme, oltremodo sospettose, ed ai papa’ con lo sguardo volutamente truce. Veniva ,nel primo pomeriggio,l’ora tanto agognata, quella del mangiare. E cosi’ si assopiva la fame atavica . Gli appetiti,sempre insoddisfatti,finalmente, trovavano ristoro.
Chissa’ perche’ ma,per quello che ricordo,la pasquetta era spesso all’insegna del tempo variabile e, a volte, non mancava qualche breve scroscio di pioggia. E cosi’, quando cadeva qualche goccia di acqua, nel tumulto della fuga, gli innamorati scomparivano, cosi’ d’incanto. Iniziava allora, quasi all’unisono, da parte dei genitori, un coro di richiami_: Teresaaa, Concettaaa, Rosaaa… Ma esse erano al sicuro,protette da arbusti complici, a perdersi nell’estasi di un abbraccio. Ricordo che anch’io ,in quelle giornate, mi perdevo appresso a qualche ragazzetta che poi seguivo fino a casa. Mi appostavo sotto la sua abitazione, stavo ore a guardare la finestra,ma niente,non ne cavavo nulla.
Al calar del sole, cantando qualche canzonetta in voga e celiando con gli amici, iniziava il ritorno dalle pinete,per noi ambiente inconsueto,al mare,a noi molto piu’ familiare.
E a sera inoltrata si addiveniva al largo baronale. Dall’alto scorgevamo le nostre case,quasi lambite dal mare. Scendevamo , con il cuore leggero le scale. Senza saperlo avevamo vissuto una giornata irripetibile, una giornata immersa nella Bellezza,  che poi e’ la vita stessa. Si’, la Bellezza, che quando non c’e’, come oggi, si avverte una privazione tale che il cuore sembra quasi che cessi di battere.