La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta
 


IL MITO PIRIPI'

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Il posto

Che fare? Se ricordo bene e’ il titolo di un romanzo dello scrittore russo Cernysevscij. Che fare? Ci chiedevamo anche noi. Da poco diplomati ci si chiedeva effettivamente dove poter trovare un posto di lavoro. Nel luglio del mitico 68,anno appunto della grande svolta culturale e dei costumi in tutta Europa e non solo,mi ero diplomato in telecomunicazione all’ITIS Kennedy di Bagnoli. Il triennio di studio era stato alquanto sofferto tant’e’ che ripetetti due volte il primo dei tre anni. Un po’ perche’ alcune materie tecniche mi erano alquanto ostiche ma principalmente perche’ perdutamente invaghito di una ragazzetta  e come di prassi non corrisposto.
Il problema fu congelato per un anno e mezzo, il tempo che duro’ il servizio militare. Congedato nel maggio del 70, mi concessi un periodo sabbatico che utilizzai per girare in lungo e largo il nostro Belpaese. Ero on the road cosi’come nel leggendario libro di Kerouac, e tutto il viaggio si svolse rigorosamente in autostop. Toccai Arezzo, Firenze,Viareggio,Lerici, Genova, Milano e non poteva certo mancare Rimini, il regno delle Walkirie,le  ragazze del Nord Europa ,stupende, tutte alte e noi comunque , malgrado la statura non certo da Marcantonio, qualche punto riuscimmo comunque a metterlo a segno.
Nell’ inverno successivo,dopo la sbornia adrenalinica dell’estate appena trascorsa,si presento’ come un lugubre convitato di pietra ,il problema che avevamo cercato di rimuovere: il posto.
Erano quegli anni ,specialmodo al sud, alquanto difficili dal punto di vista economico ed occupazionale, in quanto erano poche le realta’ produttive di un certo rilievo sul territorio della Campania . C’erano ,tra i piu’ importanti insediamenti  industriali,  l’Alfasud, la Mecfond, la Bticino e L’Italsider.
 Come si vede , non erano poi  molte le opportunita’di impiego per noi giovani meridionali.
Tentai anche la carta dell’estero ovvero presi in considerazione  la possibilita’ di emigrare alla ricerca di lavoro. La solita Germania, la Svizzera ma anche Paesi non proprio dietro l’angolo quali l’Australia e perfino il Sudafrica.Ma alle numerose richieste da me inviate con raccomandate con ricevute di ritorno ricevetti solo dinieghi. Cercavano personale altamente specializzati tipo saldatori,cuochi,panettieri . Io ero solo un pivello che non aveva alcun tipo di esperienza. Insomma non sapevo fare un tubo,
Ricordo che con il  mio amico Vincenzo,che attualmente e’ in pensione in qualche brumoso paesotto della provincia  lombarda,un giorno girammo tutta Napoli nella vana ricerca di una qualsivoglia occupazione. Ci rivolgemmo finanche alla compagnia di navigazione di Achille Lauro. Mi e’ rimasto impresso nella mente un vasto salone  con il pavimento in legno lucidissimo e tante bellissime scrivanie in mogano.   Tutto attorno arredo e suppellettili in stile marinaresco.  Sembrava appunto di stare su un transatlantico. Come avrei voluto essere dietro una di quelle scrivanie. Che miraggio,che sogno.
Fu una giornata sfiancante ed assolutamente deludente: non trovammo alcunche’.Ma non ci fermammo. Si poteva tentare nel nord Italia. E perche’ no?Milano fu quindi  la nostra prossima destinazione.
Vi arrivammo in una serata di freddo pungente che ti penetrava nelle carni malgrado ci fossimo coperti abbondantemente con maglioni di lana doppia, cappotti e sciarpe.  Ricordo con precisione che portavo un maglione grigio che la mia ragazza aveva apposta fatto per me,sferruzzando da mane a sera.  Qui sarebbe facile richiamarci a quelle scene di Toto’ e Peppino appunto a Milano. Ma per non banalizzare il racconto non  faro’ alcun riferimento ad esse.
Affittammo una stanzetta in  periferia, in una zona squallida e gelida. Ah il bel sole del Sud!. Essa era piccola con due letti, un termosifone ,nessun quadro e tutta bianca. Un ospedale?
La notte ci tenne compagnia il ticchettio per niente discreto di un grosso orologio che non avevo notato all’ingresso ed anche lo sferragliare rumoroso dei tram .Notte insonne ed intrisa d’angoscia.
Il giorno appresso avevamo una prova di selezione personale presso il colosso alimentare dell’Unilever.
Tale multinazionale prendeva tutt’un piano di un grattacielo. L’ambiente era ultramoderno e noi francamente ciTRAMODERNI E NOImane a sera. grigio che la mia ragazza aveva appos sentivamo un po’inadeguati. Un’andiriviene di ragazze bellissime come non ne avevo mai viste. La prova fu un disastro e ,come si suol dire, tornammo con le pive nel sacco. Che delusione!
La serata la trascorremmo sui navigli, si respirava un aria un po’bohemien.  Da lontano,forse qualche night, ci perveniva quasi come una carezza la musica di una canzone molto triste ma bellissima:”Ho capito che ti amo” del grande Luigi Tenco che pochi anni prima si era tolto la vita, per amore. Cenammo in una caratteristica trattoria meneghina. Adesso non credo che ci sia piu’.  Forse al suo posto fa bella mostra di se’,si fa per dire, qualche orrido sushi bar. Ci consolammo della disastrosa giornata con un’ottima cena: risotto alla milanese e cotoletta sempre alla milanese. Un menu’ non affatto banale,tanto per non dare l’impressione di essere dei provinciali venuti dal Sud.
Quindi la missione al Nord era naufragata miseramente ed adesso non sapevo piu’ a quale santo rivolgermi. Restava l’amaro in bocca ed un senso di frustrazione, una melanconia che mi indusse per un certo periodo in uno stato di prostazione psicofisica.
Mio fratello piu’ grande in quel periodo aveva rilevato la tabaccheria che tutt’ora gestisce in via Roma.Mi chiese se potevo dargli una mano nella conduzione della stessa. Acconsentii. Per me fu una distrazione. Riuscivo a guadagnare qualcosa e principalmente non mi sentivo inutile.
Fu proprio in quel periodo che comprai la mia prima auto: una cinquecento rossa rigorosamente di seconda mano. Con essa si andava dappertutto ma specialmodo ricordo con toccante nostalgia lo scorrazzare sulle due costiere assieme alla mia ragazza. I tuffi dagli scogli dei bagni detti della regina Giovanna, il tramonto visto dal porto di Cetara e Sorrento ,di sera , con la folla variopinta a riempire i vicoli strettii.
Mio padre si angustiava vedendo che per me, sue testuali parole, non si apriva alcuna porta. E tanto brigo’ che,in men che non si  dica, mi ritrovai imbarcato sulla nave passeggeri Ausonia della compagnia Adriatica.

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 La mansione che mi era stata assegnata non si puo’ certo dire che fosse prestigiosa. Ero un piccolo di cucina ovvero inserviente nella cucina della nave. Diciamo piu’ semplicemente che ero nulla piu’ che uno squattero.
Per iniziare il servizio sulla nave dovetti prendere il treno destinazione Venezia ,poiche’ era da tale porto che iniziava la crociera che ci avrebbe portato nelle piu’ belle localita’ che affacciavano sul mare del Mediterraneo Orientale. Ricordo l’arrivo alla stazione Della Giudecca,era bellissima ed affacciava direttamente sul mare. Si percepiva nell’aria una briosita’,una vitalita’,una ricchezza inebriante. Era uno spettacolo plein air: innamorati che si baciavano, l’andiriviene delle gondole e sullo sfondo il maestoso Canal Grande. Era la prima volta che venivo a Venezia e prima da allora l’avevo ammirata solo attraverso le magnifiche tele del Canaletto.
Dopo la consueta visita medica, per effettuare la quale dovetti percorrere diverse calli ed attraversare non pochi ponti, presi dunque servizio sulla nave. Mi sentivo oltremodo umiliato. Avevo studiato, conseguito un diploma  per far cosa? Pelare le solite patate e sopportare l’alterigia, la spocchiosita’ dei superiori che quarda caso erano tutti del Nord,principalmente di Trieste. Dunque boria austroungarica.
La prima tappa, se ricordo bene,  fu Rodi, l’isola del colosso. Ricordo benissimo il film ma quantunque mi girassi attorno del mitico colosso neppure l’ombra. Mi fu detto che era andato distrutto molti secoli addietro e quindi me ne feci una ragione. L’isola era veramente incantevole  con un mare vitreo color cobalto. Non ho dimenticato  che, a  tutt’oggi, sono in debito con un tabaccaio del luogo. Presi dei francobolli e non avendo con me moneta spicciola, lui fu cosi’ gentile nel farmi credito. Avrei pagato al prossimo viaggio. Ma quello ,per me ,fu il primo ed ultimo viaggio e quindi non sarei piu’ ritornato ad  onorare il debito.
Passate le isole greche e tra essa Lepanto, dove con una certa enfasi si dice che la cristianita’ fermo’ la flotta turca,il mare inizio’ ad incattivirsi e come Goethe ,nel suo viaggio che da Napoli lo condusse a Palermo,stetti malissimo. Non sapevo piu’ cosa vomitare e gli occhi per poco non sfondavano le orbite. Fui mandato in cuccetta, un locale angusto senza alcuna apertura verso l’esterno. L’aria era stantia e su tutto aleggiava un odore greve,di muffa, di rancido. La stessa aria puzzolente che probabilmente si respirava nei lager nazisti.
Stetti meglio quando entrammo nel porto di Beirut.Era la Beirut di prima della guerra del 73: tanti bar con i tavoli all’aperto e su tutto si percepiva   un ‘atmosfera di vecchia Europa.Bellissimi i suoi boulevard  con lo sfondo dei vecchi palazzi in stile coloniale  di impronta francese. Tutta questa bellezza  scomparira’ sotto i bombardamenti della guerra contro Israele detta dei sei giorni.
 Toccammo poi Creta, la Candia della Repubblica veneta, ed infine la bellissima Antalya in Turchia.
Per tutta la durata del viaggio non avevo fatto altro che lavare piatti, posate, pulire la cucina ma cosa ancora piu’ sgradevole sopportare la supponenza dei superiori. Sulle navi ,come ebbi modo di scoprire, vige una gerarchia rigidissima. L’ultimo arrivato non gode di alcun diritto, addirittura finanche’ i posti a tavola dell’equipaggio, un tempo ciurma, deve rispettare quest’ordine a dir poco primitivo.
E’ facile intuire come crescesse in me l’insofferenza per quel mondo arcaico, la rabbia repressa per la poca considerazione in cui ero tenuto. Tenevo i pugni in tasca come il titolo del bel film di  Bellocchio.
Oramai mi ero persuaso che non era quella la vita che mi si confaceva. Ma di nuovo la domanda martellante: che fare?
Finalmente entra in scena la Divina Provvidenza. Manzoni docet.Ma era anche ora?Dove era stata acquattata fino a quel momento?
Il fatto e’ che finalmente la Sip, l’attuale Telecom,  si era degnata di rispondere a una mia raccomandata,di cui avevo addirittura perso memoria. In essa mi si invitava in un tal giorno, in una tal ora e in un tal posto a sostenere le prove per un’eventuale assunzione. Per  usare una banale metafora, il sole con i suoi raggi aveva squarciato la coltre di nubi. Aria fresca e corroborante irrompeva da ogni dove.
Il viaggio era al termine, era durato una quindicina di giorni,ma erano sembrati molto di piu. Mi era pesata molto anche la lontananza dalla mia ragazza e non vedevo quindi l’ora di riabbracciarla.
Entrammo nel porto della citta’ di Venezia in una giornata splendida, cielo terso e un panorama maestoso.
Presi congedo, si dice cosi?, dall’ufficiale superiore non senza una punta di lieve sarcasmo e passata la dogana, presi il primo treno diretto a Napoli.
Vi arrivai in piena notte e ad essere sinceri fa sempre una certa impressione Napoli quando si viene dal Nord. Cose che prima non si notavano vengono fuori come un  pugno sferrato sul naso: una certa sguaiataggine, un disordine endemico e su tutto un ‘aria levantina.
Il giorno stabilito per il colloquio, mio padre si fece premura di accompagnarmi. Esso si svolgeva  a Poggioreale, in via Statera. Per non portarla per le lunghe, le prove furono superate e fui quindi assunto in pianta stabile come progettista delle centrali telefoniche. Finalmente il posto tanto agognato.
In Sip poi Telecom vi ho lavorato per trentacinque anni con passione e dedizione. Sono stato bene e penso di aver lasciato un buon ricordo. Oggi sto in pensione e precisamente dal 2009 ,una volta raggiunta l’eta’ di sessant’anni.
Oggi mi rendo conto che, malgrado tutte le peripezie trascorse, sono stata un uomo fortunato poiche’ ho avuto un buon lavoro e specialmente sicuro.  Per me lo spettro della disoccupazione non e’ mai comparso all’orizzonte.
Attualmente, parafrasando li titolo del bel libro di Viviane Forrester, e’ l’orrore economico.  Liberismo sfrenato e la cosiddetta globalizzazione hanno falcidiato le speranze e distrutto il futuro delle nuove generazione. La rabbia monta e le nostre citta’ assumono sempre piu’ l’aspetto appunto gotico di Gotham City , la citta’ di Batman ,spettrale ed invivibile.
 E’ la societa’ liquida di Bauman,dove le certezze sono evanescenti e vige semplicemente la legge del piu’ forte. La societa’ dove il capitale non ha alcun controllo e puo’ fare il bello e cattivo tempo.
E come dice Papa Francesco solo se si affacciera’ nel mondo la tenerezza , un po’ di tenerezza, potremmo salvarci dal precipitare nel baratro. Altrimenti sara’ di nuovo tempo di nani e ballerine.

G. Ruotolo   12 Aprile 2013