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Il posto
Che fare?
Se ricordo bene e’ il titolo di un romanzo dello scrittore
russo Cernysevscij. Che fare? Ci chiedevamo anche noi. Da
poco diplomati ci si chiedeva effettivamente dove poter
trovare un posto di lavoro. Nel luglio del mitico 68,anno
appunto della grande svolta culturale e dei costumi in tutta
Europa e non solo,mi ero diplomato in telecomunicazione
all’ITIS Kennedy di Bagnoli. Il triennio di studio era stato
alquanto sofferto tant’e’ che ripetetti due volte il primo
dei tre anni. Un po’ perche’ alcune materie tecniche mi
erano alquanto ostiche ma principalmente perche’
perdutamente invaghito di una ragazzetta e come di prassi
non corrisposto.
Il problema fu congelato per un anno e mezzo, il tempo che
duro’ il servizio militare. Congedato nel maggio del 70, mi
concessi un periodo sabbatico che utilizzai per girare in
lungo e largo il nostro Belpaese. Ero on the road cosi’come
nel leggendario libro di Kerouac, e tutto il viaggio si
svolse rigorosamente in autostop. Toccai Arezzo,
Firenze,Viareggio,Lerici, Genova, Milano e non poteva certo
mancare Rimini, il regno delle Walkirie,le ragazze del Nord
Europa ,stupende, tutte alte e noi comunque , malgrado la
statura non certo da Marcantonio, qualche punto riuscimmo
comunque a metterlo a segno.
Nell’ inverno successivo,dopo la sbornia adrenalinica
dell’estate appena trascorsa,si presento’ come un lugubre
convitato di pietra ,il problema che avevamo cercato di
rimuovere: il posto.
Erano quegli anni ,specialmodo al sud, alquanto difficili
dal punto di vista economico ed occupazionale, in quanto
erano poche le realta’ produttive di un certo rilievo sul
territorio della Campania . C’erano ,tra i piu’ importanti
insediamenti industriali, l’Alfasud, la Mecfond, la
Bticino e L’Italsider.
Come si vede , non erano poi molte le opportunita’di
impiego per noi giovani meridionali.
Tentai anche la carta dell’estero ovvero presi in
considerazione la possibilita’ di emigrare alla ricerca di
lavoro. La solita Germania, la Svizzera ma anche Paesi non
proprio dietro l’angolo quali l’Australia e perfino il
Sudafrica.Ma alle numerose richieste da me inviate con
raccomandate con ricevute di ritorno ricevetti solo
dinieghi. Cercavano personale altamente specializzati tipo
saldatori,cuochi,panettieri . Io ero solo un pivello che non
aveva alcun tipo di esperienza. Insomma non sapevo fare un
tubo,
Ricordo che con il mio amico Vincenzo,che attualmente e’ in
pensione in qualche brumoso paesotto della provincia
lombarda,un giorno girammo tutta Napoli nella vana ricerca
di una qualsivoglia occupazione. Ci rivolgemmo finanche alla
compagnia di navigazione di Achille Lauro. Mi e’ rimasto
impresso nella mente un vasto salone con il pavimento in
legno lucidissimo e tante bellissime scrivanie in mogano.
Tutto attorno arredo e suppellettili in stile marinaresco.
Sembrava appunto di stare su un transatlantico. Come avrei
voluto essere dietro una di quelle scrivanie. Che
miraggio,che sogno.
Fu una giornata sfiancante ed assolutamente deludente: non
trovammo alcunche’.Ma non ci fermammo. Si poteva tentare nel
nord Italia. E perche’ no?Milano fu quindi la nostra
prossima destinazione.
Vi arrivammo in una serata di freddo pungente che ti
penetrava nelle carni malgrado ci fossimo coperti
abbondantemente con maglioni di lana doppia, cappotti e
sciarpe. Ricordo con precisione che portavo un maglione
grigio che la mia ragazza aveva apposta fatto per
me,sferruzzando da mane a sera. Qui sarebbe facile
richiamarci a quelle scene di Toto’ e Peppino appunto a
Milano. Ma per non banalizzare il racconto non faro’ alcun
riferimento ad esse.
Affittammo una stanzetta in periferia, in una zona
squallida e gelida. Ah il bel sole del Sud!. Essa era
piccola con due letti, un termosifone ,nessun quadro e tutta
bianca. Un ospedale?
La notte ci tenne compagnia il ticchettio per niente
discreto di un grosso orologio che non avevo notato
all’ingresso ed anche lo sferragliare rumoroso dei tram
.Notte insonne ed intrisa d’angoscia.
Il giorno appresso avevamo una prova di selezione personale
presso il colosso alimentare dell’Unilever.
Tale multinazionale prendeva tutt’un piano di un
grattacielo. L’ambiente era ultramoderno e noi francamente
ciTRAMODERNI E NOImane a sera.
grigio che la mia ragazza aveva appos sentivamo un
po’inadeguati. Un’andiriviene di ragazze bellissime come non
ne avevo mai viste. La prova fu un disastro e ,come si suol
dire, tornammo con le pive nel sacco. Che delusione!
La serata la trascorremmo sui navigli, si respirava un aria
un po’bohemien. Da lontano,forse qualche night, ci
perveniva quasi come una carezza la musica di una canzone
molto triste ma bellissima:”Ho capito che ti amo” del grande
Luigi Tenco che pochi anni prima si era tolto la vita, per
amore. Cenammo in una caratteristica trattoria meneghina.
Adesso non credo che ci sia piu’. Forse al suo posto fa
bella mostra di se’,si fa per dire, qualche orrido sushi
bar. Ci consolammo della disastrosa giornata con un’ottima
cena: risotto alla milanese e cotoletta sempre alla
milanese. Un menu’ non affatto banale,tanto per non dare
l’impressione di essere dei provinciali venuti dal Sud.
Quindi la missione al Nord era naufragata miseramente ed
adesso non sapevo piu’ a quale santo rivolgermi. Restava
l’amaro in bocca ed un senso di frustrazione, una melanconia
che mi indusse per un certo periodo in uno stato di
prostazione psicofisica.
Mio fratello piu’ grande in quel periodo aveva rilevato la
tabaccheria che tutt’ora gestisce in via Roma.Mi chiese se
potevo dargli una mano nella conduzione della stessa.
Acconsentii. Per me fu una distrazione. Riuscivo a
guadagnare qualcosa e principalmente non mi sentivo inutile.
Fu proprio in quel periodo che comprai la mia prima auto:
una cinquecento rossa rigorosamente di seconda mano. Con
essa si andava dappertutto ma specialmodo ricordo con
toccante nostalgia lo scorrazzare sulle due costiere assieme
alla mia ragazza. I tuffi dagli scogli dei bagni detti della
regina Giovanna, il tramonto visto dal porto di Cetara e
Sorrento ,di sera , con la folla variopinta a riempire i
vicoli strettii.
Mio padre si angustiava vedendo che per me, sue testuali
parole, non si apriva alcuna porta. E tanto brigo’ che,in
men che non si dica, mi ritrovai imbarcato sulla nave
passeggeri Ausonia della compagnia Adriatica. |
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La mansione che mi era stata assegnata non si puo’ certo dire che fosse
prestigiosa. Ero un piccolo di cucina ovvero inserviente
nella cucina della nave. Diciamo piu’ semplicemente che ero
nulla piu’ che uno squattero.
Per iniziare il servizio sulla nave dovetti prendere il
treno destinazione Venezia ,poiche’ era da tale porto che
iniziava la crociera che ci avrebbe portato nelle piu’ belle
localita’ che affacciavano sul mare del Mediterraneo
Orientale. Ricordo l’arrivo alla stazione Della Giudecca,era
bellissima ed affacciava direttamente sul mare. Si percepiva
nell’aria una briosita’,una vitalita’,una ricchezza
inebriante. Era uno spettacolo plein air: innamorati che si
baciavano, l’andiriviene delle gondole e sullo sfondo il
maestoso Canal Grande. Era la prima volta che venivo a
Venezia e prima da allora l’avevo ammirata solo attraverso
le magnifiche tele del Canaletto.
Dopo la consueta visita medica, per effettuare la quale
dovetti percorrere diverse calli ed attraversare non pochi
ponti, presi dunque servizio sulla nave. Mi sentivo
oltremodo umiliato. Avevo studiato, conseguito un diploma
per far cosa? Pelare le solite patate e sopportare
l’alterigia, la spocchiosita’ dei superiori che quarda caso
erano tutti del Nord,principalmente di Trieste. Dunque boria
austroungarica.
La prima tappa, se ricordo bene, fu Rodi, l’isola del
colosso. Ricordo benissimo il film ma quantunque mi girassi
attorno del mitico colosso neppure l’ombra. Mi fu detto che
era andato distrutto molti secoli addietro e quindi me ne
feci una ragione. L’isola era veramente incantevole con un
mare vitreo color cobalto. Non ho dimenticato che, a
tutt’oggi, sono in debito con un tabaccaio del luogo. Presi
dei francobolli e non avendo con me moneta spicciola, lui fu
cosi’ gentile nel farmi credito. Avrei pagato al prossimo
viaggio. Ma quello ,per me ,fu il primo ed ultimo viaggio e
quindi non sarei piu’ ritornato ad onorare il debito.
Passate le isole greche e tra essa Lepanto, dove con una
certa enfasi si dice che la cristianita’ fermo’ la flotta
turca,il mare inizio’ ad incattivirsi e come Goethe ,nel suo
viaggio che da Napoli lo condusse a Palermo,stetti
malissimo. Non sapevo piu’ cosa vomitare e gli occhi per
poco non sfondavano le orbite. Fui mandato in cuccetta, un
locale angusto senza alcuna apertura verso l’esterno. L’aria
era stantia e su tutto aleggiava un odore greve,di muffa, di
rancido. La stessa aria puzzolente che probabilmente si
respirava nei lager nazisti.
Stetti meglio quando entrammo nel porto di Beirut.Era la
Beirut di prima della guerra del 73: tanti bar con i tavoli
all’aperto e su tutto si percepiva un ‘atmosfera di
vecchia Europa.Bellissimi i suoi boulevard con lo sfondo
dei vecchi palazzi in stile coloniale di impronta francese.
Tutta questa bellezza scomparira’ sotto i bombardamenti
della guerra contro Israele detta dei sei giorni.
Toccammo poi Creta, la Candia della Repubblica veneta, ed
infine la bellissima Antalya in Turchia.
Per tutta la durata del viaggio non avevo fatto altro che
lavare piatti, posate, pulire la cucina ma cosa ancora piu’
sgradevole sopportare la supponenza dei superiori. Sulle
navi ,come ebbi modo di scoprire, vige una gerarchia
rigidissima. L’ultimo arrivato non gode di alcun diritto,
addirittura finanche’ i posti a tavola dell’equipaggio, un
tempo ciurma, deve rispettare quest’ordine a dir poco
primitivo.
E’ facile intuire come crescesse in me l’insofferenza per
quel mondo arcaico, la rabbia repressa per la poca
considerazione in cui ero tenuto. Tenevo i pugni in tasca
come il titolo del bel film di Bellocchio.
Oramai mi ero persuaso che non era quella la vita che mi si
confaceva. Ma di nuovo la domanda martellante: che fare?
Finalmente entra in scena la Divina Provvidenza. Manzoni
docet.Ma era anche ora?Dove era stata acquattata fino a quel
momento?
Il fatto e’ che finalmente la Sip, l’attuale Telecom, si
era degnata di rispondere a una mia raccomandata,di cui
avevo addirittura perso memoria. In essa mi si invitava in
un tal giorno, in una tal ora e in un tal posto a sostenere
le prove per un’eventuale assunzione. Per usare una banale
metafora, il sole con i suoi raggi aveva squarciato la
coltre di nubi. Aria fresca e corroborante irrompeva da ogni
dove.
Il viaggio era al termine, era durato una quindicina di
giorni,ma erano sembrati molto di piu. Mi era pesata molto
anche la lontananza dalla mia ragazza e non vedevo quindi
l’ora di riabbracciarla.
Entrammo nel porto della citta’ di Venezia in una giornata
splendida, cielo terso e un panorama maestoso.
Presi congedo, si dice cosi?, dall’ufficiale superiore non
senza una punta di lieve sarcasmo e passata la dogana, presi
il primo treno diretto a Napoli.
Vi arrivai in piena notte e ad essere sinceri fa sempre una
certa impressione Napoli quando si viene dal Nord. Cose che
prima non si notavano vengono fuori come un pugno sferrato
sul naso: una certa sguaiataggine, un disordine endemico e
su tutto un ‘aria levantina.
Il giorno stabilito per il colloquio, mio padre si fece
premura di accompagnarmi. Esso si svolgeva a Poggioreale,
in via Statera. Per non portarla per le lunghe, le prove
furono superate e fui quindi assunto in pianta stabile come
progettista delle centrali telefoniche. Finalmente il posto
tanto agognato.
In Sip poi Telecom vi ho lavorato per trentacinque anni con
passione e dedizione. Sono stato bene e penso di aver
lasciato un buon ricordo. Oggi sto in pensione e
precisamente dal 2009 ,una volta raggiunta l’eta’ di
sessant’anni.
Oggi mi rendo conto che, malgrado tutte le peripezie
trascorse, sono stata un uomo fortunato poiche’ ho avuto un
buon lavoro e specialmente sicuro. Per me lo spettro della
disoccupazione non e’ mai comparso all’orizzonte.
Attualmente, parafrasando li titolo del bel libro di Viviane
Forrester, e’ l’orrore economico. Liberismo sfrenato e la
cosiddetta globalizzazione hanno falcidiato le speranze e
distrutto il futuro delle nuove generazione. La rabbia monta
e le nostre citta’ assumono sempre piu’ l’aspetto appunto
gotico di Gotham City , la citta’ di Batman ,spettrale ed
invivibile.
E’ la societa’ liquida di Bauman,dove le certezze sono
evanescenti e vige semplicemente la legge del piu’ forte. La
societa’ dove il capitale non ha alcun controllo e puo’ fare
il bello e cattivo tempo.
E come dice Papa Francesco solo se si affacciera’ nel mondo
la tenerezza , un po’ di tenerezza, potremmo salvarci dal
precipitare nel baratro. Altrimenti sara’ di nuovo tempo di
nani e ballerine.
G. Ruotolo 12 Aprile 2013 |