La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta


I BUCATI DI VASCIOAMMARE

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Clotilde Marghieri,
una grande scrittrice

Sotto un Sole impietoso, percorrendo sentieri lastricati di pietra vesuviana e che un tempo dovevano essere mulattiere,noi tutti, grazie al direttore della Tofa, Angelo Di Ruocco, ispiratore di tale magnifica iniziativa, assieme ad altre associazioni, siamo addivenuti  alla villa “La Quiete”, nell’ ambito della manifestazione ”Passeggiata nei luoghi leopardiani”.
La bella dimora si presenta  con pregevoli linee architettoniche : uno stile Liberty asciutto senza ombra di fronzoli. Un po’ come il carattere della sua antica proprietaria, la scrittrice napoletana  Clotilde Marghieri.
Devo confessare che fino a poco tempo fa non ne conoscevo affatto l’esistenza, e come me tanti altri, sebbene lei per tanti anni abbia abitato in questa villa in contrada S.Maria la Bruna.

Ma chi era Clotilde Marghieri?.La scrittrice e’ nata a Napoli nel 188
7 ed educata Firenze. Durante gli anni della maturita' si trasferisce a Roma dove muore nel 1981. Inizia fin da giovanissima a collaborare a quotidiani e riviste come ''Il Mattino'', ''Il Mondo'', ''Corriere della Sera'', ''La Nazione'' e ''Il Gazzettino''. Esordisce in eta' ormai avanzata come narratrice e subito si impone all'attenzione del pubblico e della critica con il romanzo ''Vita in villa'' (1960). Seguono tre romanzi fortunati: ''Le educande di Poggio Gherardo'' (1963), ''Il segno sul braccio'' (1970) e ''Amati enigmi''. Pochi mesi prima della morte esce ''Lo specchio doppio'', un'ampia scelta del carteggio intrattenuto con il grande storico dell'arte Bernard Berenson durante trent'anni d'amicizia.

Negli anni Trenta, quando decide di trasferirsi in campagna, Clotilde Marghieri è una signora dell'alta borghesia napoletana che lascia con la città il mondo rassicurante dei salotti, i riti della vita sociale e la commedia del privilegio. Nella casa di Torre del Greco diventa scrittrice e proprio ad essa dedica la sua prima opera narrativa. Le storie che narra sono le piccole battaglie, i molti assilli quotidiani di una donna che in nome dell'indipendenza affronta un percorso solitario e faticoso. Tra passione e sdegno, distacco e partecipazione, l'autrice inventa per la sua Arcadia vesuviana uno stile che, intrecciando classico a parlato, fa riferimento all’arte d ella conversazione del settecento francese
Ecco un ritratto che ne fa Camilla Cederna: “Una donna che ho frequentato a Roma nel suo salotto di via della Consulta: grandi librerie con edizioni rare, mobili inglesi, rose, il rito del tè. E lei che, già anziana, sdraiata sul sofà con una coperta sulle gambe, giocava come sempre ad ammaliare gli amici con il fascino delle sue conversazioni, ad annodare sottili rapporti con persone di cui ammirava l'intelligenza. Di grande famiglia altoborghese napoletana, Clotilde doveva essere stata molto attraente...Belle gambe, lunghe. Sensibili lineamenti aquilini, occhi neri e penetranti, una risata da ragazza che conservò fino agli ultimi giorni. Nell'esclusivo collegio fiorentino di Poggio Gherardo (vedi Le educande) imparò a leggere e a parlare alla perfezione il francese, il tedesco, l'inglese. Di una spregiudicatezza precoce, presto sposata e poi separata, visse indipendente incontrando persone famose, leggendo tutto il leggibile. E cominciò a far salotto, come si dice oggi, nella sua magica casa di Torre del Greco”
 “…Lei ha saputo rappresentare con arte e con sapienza, come meglio non si poteva, quell’avvicendarsi di passioni e di avversioni che è proprio della gente del Vesuvio; questa gente che sempre ritorna alla propria calda, amorosa umanità, così come il Vulcano, dopo ogni furore, si ricompone nella sua stupefacente bellezza”. E’ questo il giudizio di G.B. Angioletti riguardo “Vita in Villa”, raccolta di ventidue racconti della scrittrice napoletana . L’autrice stessa, in un breve scritto, spiega il motivo della nascita del suo libro e più in generale il suo lento cammino alle lettere: sin da giovane aveva dimostrato una profonda passione per la lettura e successivamente per la composizione di lettere, attività che le permettevano di comprendere , almeno in parte, il mondo circostante. A trent’anni si trasferisce in campagna, nel paesaggio idillico e sublime di S.Maria la Bruna, tra Vesuvio e mare: lo scrittore Tommaso Cicchella afferma che la Marghieri “fu legata a Torre con radici d’affetto più profonde degli eucalipti e dei pini del suo giardino”. In effetti la vita di campagna si rivelò una straordinaria esperienza, procurando tempo, solitudine e serenità necessari alla scrittrice dallo spirito sottile e dal sentire profondo. Dopo la guerra, però, in campagna tutto era mutato. “Il paesaggio divino si deturpava di brutti edifici”, scrive la Marghieri, il tempo lento di cui poteva godere in campagna era improvvisamente sparito. , per salvare i miei furori, per salvare, anche questa volta, la bella favola che era stata la mia vita in campagna nei primi tempi, per fermare sulla carta persone e personaggi che intorno a me sembrava chiedessero a gran voce di essere ritratti, presi a scrivere della mia vita in villa”
Ebbene, stamane,abbiamo constatato che tutte le sue ansie circa lo scadimento della bellezza dei luoghi non erano affatto infondate. La bella terrazza che un tempo abbracciava tutte le meraviglie del golfo,adesso non puo’ non comprendere con lo sguardo edifici dozzinali ed insulsi. Tutt’attorno poi le pinete sono interrotte da capannoni di un complesso industriale . La villa e’ stata rilevata recentemente da un nuovo proprietario che, spinto da spirito di mecenatismo, sembra non voglia alterare la sua struttura. E noi tutti speriamo  anche che la riporti al suo antico splendore, e  con essa  il giardino, di sicuro un tempo ricco di essenze e di fiori cari alla   scrittrice .
Comunque non e’ difficile immaginare lo sdegno e la disperazione della Marghieri nel constatare come, giorno dopo giorno, si imbrattasse la Bellezza di uno dei piu’ bei luoghi del mondo, non e’ difficile neanche sentire le sue imprecazioni rivolte a quei cialtroni che hanno distrutto la Litoranea , sfregiato il centro storico, massacrato ville ottocentesche ed estirpati giardini secolari.
Si’, con il suo libro “Vita il villa” lei ha immortalato un mondo che era e che purtroppo non sara’ piu’. Un mondo che, sebbene povero, manteneva un suo decoro, una sua dignita’. Un po’ come Vincenzo, il suo domestico, al quale dedica alcune pagine del suo libro. Un mondo in definitiva di incomparabile armonia quasi sfregiato per sempre.

Nel 2001, ventennale della sua morte, non mi risulta che sia stata fatta alcuna commemorazione  nella nostra citta’, ma di sicuro
a rendere omaggio alla scrittrice e'  stato il Gabinetto letterario Vieusseux di Firenze, a cui la Marghieri dono' tutti i suoi manoscritti. Quindi neanche questi ci siamo meritati
!
In definitiva della bellezze che dovette mirare la Marghieri non rimane poi molto, ma non tutto e’ perso.  Si puo’ ancora, volendo ricomporre l’armonia persa ad opera dell’insipienza di molti torresi, cercare di arrestare, per quanto possibile, il degrado dei luoghi. Un po’ glielo dobbiamo alla scrittrice,  almeno per farci perdonare , causa la nostra ignoranza, del velo d’oblio che avevamo steso sulla sua opera.

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Circa i luoghi
di Lucrezia

Una curiosita’ estrema, dopo tante ricerche effettuate circa la vita di questa donna, mi spinge  a conoscere piu’ a fondo i luoghi dove, in qualche modo, ha vissuto una parte della sua vita, forse quella piu’ felice. Come ci si fa ad opporre?  Una forza possente mi trasporta in quei luoghi senza che io possa apporre una sufficiente resistenza. Concordo quindi un incontro con altri due “malati” come me di cose antiche, di vicende che comunque, nel bene e nel male hanno concorso a farci divenire  quel che siamo. I due amici che mi accompagneranno in questo escursus sono Ernesto Pinto e Carlo Boccia che conosce i luoghi e le storie  della parte vecchia della nostra citta’ a menadito.
L’area di ricerche, di investigazione e’ quella dei quattro vicoli detti dell’Orto della Contessa a ridosso , cosi’ come cita la vecchia targa di Corso Umberto primo gia’ Borgo . Molti studiosi, tra cui il Balzano e non solo, ritengono che li’ abitasse la nostra Lucrezia e che sempre li’ si siano svolti gli incontri amorosi, per carita’ casti, con il monarca  aragonese gia’ oramai avanti negli anni.
La speranza di noi tre e’ se, per caso, durante questa breve escursione, , si riesca a rilevare una traccia di quel periodo,un qualcosa che ci conduca al quattrocento o giu’di li’. Quello che subito salta agli occhi,principiando a scendere lungo corso Umberto primo, e’  il dislivello della strada. Esso, nella parte iniziale, risulta essere in lieve discesa  per  subito dopo risultare piu’ o meno pianeggiante verso meta’ della stesso.
Ernesto avvalla l’ipotesi, piu’ che acclarata, che cio’ sia la conseguenza dell’infausta eruzione del 1794 che apporto’ grande distruzione nella nostra citta’. Ecco al riguardo cosa attesta  Enrico Di Maio nel suo “ L’eruzione del Vesuvio del 1974 a Torre del Greco” pubblicato sul portale Vesuvioweb: “nella fase di ricostruzione della citta’, quindi ci si riferi’ al visibile per rispettare il preesistente impianto urbanistico. Lo spessore della colata prospiciente l’ingresso del Monastero degli Zoccolanti e’ di circa sette metri, in via Diego Colamarino e’ di circa sette metri, mentre in piazza Santa Croce e’ di circa dodici metri. La colata, in zona Capo Torre si divise in due digitazioni e la piu’ grande termino’ la sua corsa in mare.”
E cosi’ anche nell’ area della citta’, a cui ci stiamo interessando, il dislivello e’ di circa otto metri per poi degradare fino al livello della sede stradale originale. Risalendo i quattro vicoli “ Orto della Contessa” balza agli occhi il limite raggiunto dalla colata lavica. Siamo sempre intorno agli otto metri e in fase di ricostruzione,per ovviare a tale barriera di roccia lavica, si edificarono delle rampe di scale con gradini alti venticinque cm per, mediamente, un numero di trentadue per  addivenire cosi’ agli otto metri della colata.
Cosi’, nella parte alta di detti vicoli, gli edifici preesistenti l’eruzione,  risultano sommersi dalle colate o addirittura distrutti. Alcuni abitanti di detti luoghi favoleggiano di cunicoli ed antri tramite i quali pervenire negli spazi sommersi. Ma quantunque si sia chiesto in giro non siamo riusciti a venire a capo di nulla.
Sbirciando tra cortili fatiscenti e portoni diroccati si sono riscontrate poche tracce architettoniche, per lo piu’, risalenti alla fine del settecento:  uno scarico pluviale in terracotta, qualche mattonella, uno slargo di una masseria, qualche edicola votiva. Ma del cinquecento niente di niente!
Nella parte bassa della stessa zona, con le splendide facciate rivolte sul corso, insistono, non feriti dalla lava, alcuni edifici seicenteschi  ,ancora nel loro splendore baroccheggiante, anche se colpevolmente offuscati dall’incuria degli attuali proprietari. Un bel balcone, sempre del seicento ha attratto la nostra attenzione:  tutto in piperno con la balaustra, in ferro, lavorata in modo grazioso.
Inaspettato, alla fine del secondo vicolo,nei pressi della trattoria che fu di  Palatone,  sulla parte bassa di quel che resta di un complesso settecentesco, si erge un manufatto con i mattoni di tufo a vista chiaramente di stile neoclassico
Poi null’altro,solo incuria, sporcizia, fatiscenza e degrado non solo delle cose ma, ahime’, anche antropologico.

Cosi’ un patrimonio architettonico pregevole che rappresenterebbe la manna dal cielo per paesi piu’ accorti, da noi va in malora tra l’insipienza della citta’…..
E noi tutti si sta  guardare.

Caro Michele,

mi ero riprmesso di rispondere al tuo post,poi un contrattempo mi ha distratto tale che poi,pur cercandolo,l’ho prso. Cosi’ per ritrovarlo sono andato sulla tua pagina..ed eccomi qua.

Ti volevo solo dire,visto che piu’ o meno apparteniamo alla stessa generazione, che noi ,nati agli inizi degli anni cinuanta siamo gli ultimi he hanno potuto godere di uelle che erano le bellezze,ancora intatte,della nostra citta’- Siamo noi quelli he,impotenti hanno assistito alla distruzione delle meraviglie che facevano della nostra citta’ la perla del golfo. Meta nel settecento e nell’ottocnto degli amanti del Gran Tour,la nostra citta’ si e’ pregiata delle visite di prsonaggi di rilievo della cultura europea: Goethe,Mozart, Casanova,..e tanti altri ncora. Poi negli anni sessa nta il declino irreversibile ad opera di una banda di miseri cialtroni. Ma essi non erano soli,erano in buona  nutrita compagnia. Un ceto di lazzaroni famelici si e’ ingrassato delle briciole di costoro,tant’e’ che quasi alcuna voce si e’ levata in difesa della Bellezza,ahime,crudelmente violata. Quasi tutta la citta’ ha contribuito al suo declino,vuoi per insipena,vuoi.