Ci troviamo di fronte ad alcuni versi estrapolati da " 'A
livella"
di Totò.
(...)"Nu
rre, nu magistrato, nu grand'omme,
trasenno stu canciello ha fatto 'o cunto,
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme"(...).
Totò bistrattato in vita dalla critica è rivalutato post mortem.
Tuttavia viene considerato un "poeta giocoforza" stando alla
professione di comico singolare, atipico del 900.
Detto questo voglio soffermarmi sul come la concettualità letteraria
reiterata e trita e l'estetica lineare in poeti cosiddetti minori
rimarca una importanza contestuale della logica comune che qualcuno
chiama "immaginario collettivo".
Premetto che mi risparmio di tessere qui a Gennaro Francione una sequela
di salamelecchi per la sua causa internauta che tutti conosciamo nello
tzunami di fatiche che entusiasma i "fuori Torresi" e
intimidisce i torresi nelle mura, settari e tradizionalisti nel guscio
dei masi chiusi, al punto di fare finta di ignorare il giudice scrittore
corallino per timore di defenestrazioni e detronizzazioni.
L'immaginario collettivo evinto dai versi di Totò accosta tre ruoli: il
re, e il
magistrato e il generico "nu grand'omme", sottintendendo che i
primi due sono tali per la gente comune.
De Curtis avrebbe potuto scrivere, metrica permettendo: " 'nu re, 'nu
cap''i stato, nu grand'omme"; oppure" 'nu re, 'nu papa, nu
grand'omme". No' ha adoperato "'nu magistrato", un
personaggio soprattutto in passato temuto specie dai proletari, da
coloro a cui maggiormente si rivolge il concetto della morte giustiziera
di Totò, ancora prima della "giustizia" terrena del
magistrato irremovibile ai canoni legislativi, autorità penalizzante
soprattutto il proletariato, insetti piccoli che non riescono a sfondare
la metaforica ragnatela della giustizia, quella uguale per tutti, ma
laddove non tutti sono uguali per la giustizia. |
Francione,
giudice, e come tale inevita- bilmente sussiegoso e perentorio per
clichè, si distingueva atipicamente con le sue sentenze umanitarie da
cuore partenopeo. Quindi le ingiustizie, e le sopraffazioni, le angherie
del RE sono relative al magistrato solo come timore incondizionato del
giudizio e della punizione irreversibile dell'autorità, insomma del
detentore di potere preposto dal popolo o dai sudditi.
E' nel substrato inconscio dell'autore Totò che c'è una relazione tra
la giustizia terrena del giudizio umano del magistrato e quella perfetta
di Dio: come la morte per tutti!
Dove vado a parare?
Francione magistrato a riposo, nella correttezza del suo mandato, non ha
mai smesso, però, di giudicare con il metro dell'umanesimo, anche nella
divisa del severo, integgerrimo, inflessibile giurista e nei pannoi del
condottiero della sua rivoluzione pacifica con la parola, la libertà,
il diritto di espressione e il desiderio di cambiamento.
Oggi, sotto la toga e il tocco vien fuori il Gennaro vesuviano della
pullanchella e della semmulella, quello delle sue commedie in vernacolo,
quello della consapevolezza di una questione meridionale mai risolta,
quello di un sud declassato dal progresso industriale capitalistico di
plusvalore o nulla, di sindacalismi e misticismi politicizzati; il
Gennaro che rifiuta un'arte estremamente disumana e commercializzata; un
giornalismo di casta; i deleteri lavaggi di cervello mediatici; i
parassiti "protettori" della cultura preclusa al popolo che
non può pagare perché i magri stipendi, quando ci sono, ritornano ai
produttori magnate del nord.
Compare il Gennaro dei fastigi del
San Carlo Borbonico che teneva la Scala sottomessa. Il Gennaro
nato nell’ex Ospedale della Villa Comunale a Torre e vissuto dint'u
vico d''a Croce.
Habemus Gennarus! Non temete, aprite le porte a ...Francione!
Luigi Mari
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