Ricordi del bere e mangiare di un torrese     Pag. 7

-CACA-

Cacapiét(o):

Salumeria Bianco in via Diego Colamarino, miezasammichele.

cacàv(o):

Cacao. Bacca di un alberello delle Sterculiacee (Theobroma cacao), originario dell'Amazzonia. La polvere di cacao serve per preparare a tazza 'i ciucculata, omaggio al festeggiato, u santo,  il mattino dell'onomastico. Questo è quanto succedeva una volta. In una variante della parmiggiana 'i mulignane è previsto l'uso del cacao, u piatto 'i rechepeto. Con il sangue di maiale, il cacao serve per il sanguinaccio di Carnevale.

cacavuôzz(o)l(o):

Chiocciola di mare.caccavèlla:

Pentola. etim. Greco "kakkabos". A caccavella pe cocere i maccaruni. Quella più grande è a caurara.

Turnava nt’a nuttata e nce purtava quaccosa ‘a mangia’ e na notte ce sussiettemo tuttu quanti pe ce scarfa’ na caccavella ‘i maccaruni rummasti. 

Figliu mio, quanta famme ca immo patuto chella vota.

(S. A. Storie Torresi).

càcc(a)v(o):

Grossa caccavella. Caurara, pignato. etim. Greco "kakkabos". 

... de carne e bruoccole,

pignata e caccave

bene mio, dammene tu.

(Sgruttendio. Grolie del Carnevale).

cacciavìn(o):

Garzone di cantina. U cacciavino è chillo ca caccia fora u vino.

    La primma che venette fu Petella,

sore carnale de no cacciavino,

ch'avea na faccie ianca, rossa e bella

che copèta parea de lo Pennino.

(Giulio Cesare Cortese. La Vajasseide. 1600).

cachiss(o):

Loto, cachi. Frutto di un albero delle Ebenacee (Diospyros kaki), originario della Cina e del Giappone. L'introduzione del loto in Italia avvenne già durante l'epoca romana (Plinio), ma la sua coltivazione ha avuto inizio proprio in Campania nei primi anni del '900. Atti di archivio e fonti di letteratura tecnica attendibili testimoniano di impianti specializzati realizzati in provincia di Salerno. Simili ai cachissi sono i llegnasante, frutto piccolo e duro.

Accattatevi i cachissi. U mangi tu e u caca isso.

L'atu juorno aggiu truvato
nu cachisso nzuvarato
abbasci'o puzzo aggiu menato
na maruzza aggiu piscato

(E Zezi. Marò Marò).

cafè:

Caffè. U ccafè. Sostantivo neutro, con raddoppio della consonante iniziale.  U ccafè ru cafè 'i Carbone è na bona tazza 'i cafè. Il caffè casalingo, prima della moka, era fatto con la caffettiera napoletana (Vedi machinetta).

Il caffè, originario dell'Etiopia, giunse in Europa nella seconda metà del cinquecento, dall'Arabia, dove si era diffusa la coltivazione e dalla Turchia dove l'uso come bevanda si era diffuso. Fu Pietro Della Valle a farlo conoscere, nella sua corrispondenza da Costantinopoli all'amico Mario Schipano, medico napoletano, descrivendone l'uso e la preparazione.

...Hanno i Turchi un'altra bevanda di color nero, e l'estate si fa rinfrescativa e l'inverno al contrario, però è sempre la stessa e si beve calda che scotti, succhiandola a poco a poco, non a pasto ma fuor di pasto, per delizia e trattenimento, quando si sta in conversazione, né mai si fa tra di loro radunanza alcuna dove non se ne beva....

(I Viaggi di Pietro Della Valle il Pellegrino).

Citazioni del caffè risultano già in precedenza, (prima metà del Quattrocento) nel Flos Medicinae Scholae Salerni, il più noto dei della Scuola Medica Salernitana, in origine noto come Regimen sanitatis salernitanum. 

Si dice che un prete musulmano, a Yemen, avendo osservato che quelle capre le quali mangiavano le bacche di una pianta di quelle contrade, erano più festevoli e più vivaci delle altre, ne abbrustolì i semi, li macinò e fattane un'infusione scoprì il caffè tal quale noi lo beviamo. Venezia pe' suoi rapporti commerciali in Oriente fu la prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime botteghe da caffè furono colà aperte nel 1645; indi a Londra e poco dopo a Parigi ove una libbra di caffè si pagava fino a 40 scudi.

(Pellegrino Artusi. La scienza in cucina e L’arte di mangiar bene).

Fu subito apprezzato ma ebbe anche i suoi detrattori. Il letterato e medico e naturalista Francesco Redi dichiarava:

... beverei prima il veleno,

 che un bicchier che fosse pieno

 dell'amaro e reo caffè.

(Francesco Redi. Ditirambo).

Ma il Redi era avvezzo a prendere certe posizioni anticonformistiche. (Vedi la polemica con Gabriele Fasano su l'Asprino).

Nel settecento conquista anche gli artisti (J. S. Bach: Cantata del caffè. C. Goldoni: La Bottega del Caffè). 

Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,

E dalle carovane in Ispaan portato.

L'arabo certamente sempre è il caffè migliore;...

Usarlo indi conviene di fresco macinato,

in luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.

... A farlo vi vuol poco;

Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.

Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto

Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.

( Carlo Goldoni. La sposa persiana).

A Napoli il caffè diventa bevanda popolare ai primi dell'ottocento ma già nel settecento assume l'importante ruolo di chiusura del pranzo.

Ci si alza da tavola. Siamo al caffè e tutti parlano contemporaneamente.

(Ferdinando Galiani. Dialogo sulle donne e altri scritti).

Nel deposito di vini esteri, strada della Dogana del Sale n. 2, si vende il caffè Moka al prezzo di grana 85 il rotolo. - Giornale del Regno delle Due Sicilie, 5 maggio 1832.

(Sebasiano Papa. Civiltà in Cucina, Napoli-Parigi 1832).

La popolarità del caffè non dipende dall'uso di chiusura del pranzo. Il caffè si beve ad ogni ora del giorno e in ogni occasione. Pigliateve nu cafè è l'espressione dai mille significati.

Il caffè deve essere con tre "c" , comodo, carico, caldo. Questa è una interpretazione di comodo. In realtà le tre "c" significano: cazzo, cumme coce.

cafè_ciufeca:

Durante la guerra, quando il caffè si vendeva solo di contrabbando, a caro prezzo, contando i chicchi, si usava arrangiarsi con surrogati artigianali. Il risultato era una bevanda ciufeca che aveva solo il colore simile al caffè. A prescindere dal caffè d'orzo, ancora oggi apprezzato da molti, i surrogati erano tanti a seconda della fantasia e disponibilità. Le radici di cicoria essiccata e tostata, la segala di riso e la segala di frumento, i fichi secchi, i lupini, i ceci, i fagioli, le chichierchie, le sciuscelle, i ntragli, le castagne, i nnucelle americane ecc. Nella tostatura si aggiungeva un pezzo di grasso e un cucchiaio di zucchero per formare il caramello che dava un ipotetico aroma all'intruglio.

cäfè:

U cafè. Bar, caffetteria. Il locale pubblico dove si consumava u ccafè e altre bevande. Al cafè ci si giocava a carte la consumazione. C'erano anche i cafè vere bische per giochi d'azzardo quale a zecchinetta. U cafè 'i notteghiorno era il locale sempre aperto. Al cafè si restava a oziare e fare chiacchiere. Fessarie 'i cafe'. 

Cäfè:

Ncoppucafè, a ponente di corso Garibaldi, presso il Largo Portosalvo. Ncoppa a scesa r'a banchina.

Mitici cafè di Torre erano: Il Gran Caffè Palumbo, scomparso con lo scempio edilizio torrese; il Caffè Romito, Filippiello mmiezatorre; Bar Purpettone, e bar De Rosa agli angoli di via Vittorio Veneto; U cafè r'u Capurale, sottaripa.   

Cafè Palumb(o):

Mitico locale in stile liberty di Capotorre, Gran Caffè Palumbo, scomparso con il sacco edilizio di Torre, verso la fine degli anni cinquanta.

cajonz(e):

Trippa, interiora delle bestie macellate. U callo 'i trippa.

...  a dio caionze e ciento figliole,  ...... me parto pe stare sempre vidolo de le pignatte maritate, ... torze meie, ve lasso dereto.

(G. B. Basile. Lo Cunto de li cunti. Il Mercante).

... adonannose de le caionze secche e de le vessiche ch'erano dereto la poteca de la negra vecchia...

(G. B. Basile. Lo Cunto de li cunti. La vecchia scorticata).

Appriesso a chessa Giovannella ionze

che, sebbe’ avea n’uocchio scarcagnato,

a lo Banco tenea cchiù de seie onze

e cchiù d’uno nce avea l’uocchie appezzato

e ’ntra l’autre uno, che vénne caionze,

ieva muorto ped essa e spantecato

 (G. C. Cortese. La Vaiasseide).

... a fare no 'ngrattenato de no campanaro de puorco, no ciento-fegliole, idest na cajonza co lo vruodo conciato, ....

(Pompeo Sarnelli. La piatà remmonerata). 

cambumilla:

Camomilla.

cämm(a)r(o):

Cibo grasso. Opposto di scammaro, magro.

...Vorria che fosse iuorno de cammara, azzoché lo sio dottore potesse avere chille compremiente che mereta...

(Pompeo Sarnelli. Posilicheata).

campanär(o):

L'insieme delle interiore del maiale.

... a fare no 'ngrattenato de no campanaro de puorco, no ciento-fegliole, idest na cajonza co lo vruodo conciato, no pegnato de torze spinose co lo lardo adacciato, na ciaulella de fave 'ngongole, no sciosciello, no piatto de sango co l'aruta, na pizza de rerita 'nfosa a lo mele, muorze gliutte, voccune cannarute, e ba' scorrenno.

(Pompeo Sarnelli. La piatà remmonerata).