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Argomento presente: « MONTALE O DANTE SONO TORRESI? »
ID: 9763  Discussione: MONTALE O DANTE SONO TORRESI?

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: giovedì 20 novembre 2008 Ore: 01:53


MONTALE O DANTE. NON SONO D'URZO E CHIOSI

Caro Gigi,
Senza dubbio, D’Urzo certamente non è Montale, ma un ottimo militare, come Chiosi non è Dante, ma un ottantenne con una moglie giovane e bell’ucraina. Me ne rendo bene conto. Ma che cosa è accaduto, abbiamo perso il senso della misura, del buon gusto e dell’ironia?
Siamo invecchiati, rispetto agli anni sessanta, quando non lasciavamo in pace nessuno? O vogliamo vivere in pace? Questo è impossibile in una società assetata di giustizia e di carità.
In una presentazione del libro di Chiosi, la Marino ha ben rilevato che se gli anziani avranno a modello di vita l’Ottantenne, potranno scrivere poesie o prosa o tentativi di prosa e poesia per uno scarico emotivo, senza andare al bar a giocare a carte o a piangere sull’impossibilità di non avere più rapporti sessuali e senza un’adeguata pensione per sopravvivere..
Io ho scritto di poetastri e di pittorastri, ma non ho mai affermato che mi trovavo davanti a poeti o pittori. Se tu hai la pazienza di leggere le mie presentazioni degli anni ’70 del tuo amico Ciro Orsino o di tantissimi altri, ti rendi conto che non ho mai asserito che fossi davanti all’arte, ma ad una manifestazione patologica, un bisogno di mettersi in evidenza.In alto, è peggio: tutto asservito alla politica, (calcio, TV, parlamento)! Sono le tue ormai famose cartelle cliniche che tu redigevi e redigi tuttora. Artisti non ce ne sono, specialmente a Torre; è gente in cerca di un applauso come tutti gli esseri umani che annaspano nel pianeta, a dispetto delle cosche massoniche, che prendono in giro l’umanità, dei mafiosi, dei camorristi, che imperversano nel mondo. Proprio stamattina il cantante neomelodico napoletano Gigi D’Alessio ha confessato che cantava per i boss e non poteva rifiutare. La lettura è capovolta, beninteso.
La medicina è faticosa, se vuoi essere attento ai processi di rinnovamento, al danno dei farmaci, più che al beneficio, per cui io non scrivo da anni. Vivo di rendita della mia grafomania degli anni sessanta.
T’abbraccio ricordando due giovani, in una immagine sbiadita, che negli anni ’70 erano all’in piedi, ora sono seduti davanti ad un caffé amaro per difendersi dal diabete minaccioso. Saluti alla Tua Rosaria e alle tue brave redattrici E sempre complimenti per Torre omnia, davvero un patrimonio dei torresi.



Dott. Penza Francesco

 
 

ID: 9764  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.it  - Data: giovedì 20 novembre 2008 Ore: 01:53

ANTEFATTO:

Premetto che nel mio libro sulle arti grafiche "Da Magonza a Torre del Greco" nella presentazione si recita, tra l'altro, che: (...) dedico questo lavoro a tutti gli autori, anche quelli incolti che non hanno avuto la fortuna di avere un editore, non solo, ma nemmeno la sorte di essere tipografo artigiano come il sottoscritto, e mi vergogno di questo privilegio, prego Iddio che sia fatta giustizia" (...)

In seguito Internet ha fatto giustizia. La rete è una gigantesca tipografioa interconnessa dove ogni uomo può essere autore, editore e tipografo di se stesso."Il buco nero" che è dentro ciascuno di noi, nessuno escluso, giustifica l'oceano di pagine web della rete. Certo, tra tabagismo, alcoolismo, tossicodipendenza, e sessuomania c'è chi rimedia riversando nella rete fiumi comunicativi che più sono vasti e più producono zavorra che nessuno raccoglierà mai, non già solo perchè questo universo di materiale non sia allineato all'analisi scelta, al dottrinario convenzionale, il cosiddetto professionismo, ma soprattutto perché si impone la legge scientifica della domanda e dell'offerta. Alla base di questo scompenso c'è la carenza esistenziale dell'uomo relativa alla propria impotenza dell'irreversibile finibilità esorcizzando con reazioni tra le più diversificate e contrapposte: dal nichilismo mistico alla criminalità, fino alla pratiche apotropaiche che scongiurerebbero l'assenza salvifica post-mortale così aggressiva sulla nostra psiche, incrostata di deformazioni culturali propinateci per due millenni. In mezzo ci stà comodamente l'arte, la letteratura e persino la scienza. Stampelle che reggono ogni sforzo intellettivo all'unico scopo di primeggiare ed estorcere ammirazione, tutto per colmare uno smisurato bisogno d'amore, per vincere l'angoscia che una volta si chiamava malinconia, oggi depressione e domani chissà come.
Cosa pensi, Franco, quale sia la molla, se non questa, che spinge pure me a costruire senza lucro un sito allo stato di oltre cinquemila pagine web, più di quarantamila immagini, venticonquemila letture, migliaia di animazioni, brani musicale, ecc?

Così Chiosi diventa un poeta solo per chi lo segue e lo apprezza perché comprende il suo bisogno di esprimersi e comunicare, pur se mai si penserà di paragonarlo a Dante in fatto di genere, estetica e contenuti. Si tratta di due entità non affini pur adoperanti lo stesso veicolo comunicativo.
Oserei dire che, ai fini emozionali, ciascun autore non si può definire migliore o peggiore di un altro, ma sostanzialmente diverso, e la diversità può essere quella radicale che palesa il professionismo o il dilettantismo, ma entrambi possono dipanarsi da un pathos creativo che rispettivamente sfociano nella purezza di stile e nel barocco espressivo da parrucche incipriate, simili ai canovacci della commedia dell'arte o l'improvvisazione adattata al meglio di Casimiro Ruggero Ugone; sempre parole sono quelle che scaturiscono da una penna, sempre vernice è quella che trasferisce un pennello, per fatti emozionale e comunicativi, resta solo la scala di valore interpretativa di condivisione concettuale ed estetica che in diversi casi può avere paradossalmente anche molte aderenze col cosiddetto "mediocre" e poche col dottrinario". (Vedio la neomelodia partenopea).
Chiosi nella sua modestia espressiva può essere capito da milioni di potenziali lettori. Dante nella sua "sommita" e riconoscimento universale richiede invece interpretazione, studio, preparazione specifica di settore secondo una scala di valore artistico predefinita e prestabilita dal convenzionale storico e culturale universalmente riconosciuto.
Le poesie di Chiosi sono naturali e comuni moti dell'animo, interiezioni, appunto, consuete, di serie, per così dire, che insorgono da un disallenamento spesso mestierante dei dotti che mirano talvolta al bersaglio fragile della sfera emotiva umana; quella che pesca il compositore da dopolavoro comunale è una realtà popolare che comunque ha il suo di valore umano e narrativo, grazie alla semplicità di interpretazione e condivisione di sensibilità a certe corde sensibili che moltissimi hanno a fior di pelle , anche se fuori, ripeto, dai canoni dottrinari consolidati, convenzionali, classici.Peppe D'Urzo, intanto, è un instancabile ricercatore storico-urbanistico. Il parere che ho steso su di lui, anche se infiorettato e schiccherato, è sincero, perchè egli nutre un amore sconfinato per le sue origini. E' prioritaria la tenacia e la pluralità delle sue ricerche. Nessun torrese lo potrebbe eguagliare in questo senso. Senza contare la disponibilità di fornire materiale a tutti. Una fonte inesauribile per studi e ricerche. Ci penseranno i fruitori ad affinare e smussare la materia prima per i loro fabbisogni, secondo il loro orientamento. Intanto D'Urzo, come Mari, o come Penza, o come Chiosi, o come Orsino o come Pinco hanno immolato alle fiere il prodotto del bisogno d'amore: le proprie creazioni con i propri mezzi, i propri limiti o i propri eccessi, e financo i propri equilibri e le proprie sobrietà quando capita.

Come vedi non è cambiato nulla in me dagli anni 60, solo che c'è più tolleranza, con la maturità, più comprensione perché si impara che l'asprezza e la logica fredda dei giudizi non sono costruttivi, i bollori adolescenziali non migliorano gli altri, li indispettiscono compromettendo l'eventuale "redenzione", per così dire.

Detto questo, l’amicizia tra Luigi Mari e Franco Penza non è mai stata complicità, lo dimostra la trasparenza di questo confronto pubblico. Un’amicizia dl quarant’anni che fa perno sulle esperienze dolorose delle famiglie povere del dopoguerra quali la mia e la sua. Una condizione, però, che ha richiesto quasi con sdegno, il riscatto sociale alle angherie dei perbenisti torresi post-bellici reali, presunti o pseudo intellettuali, spesso benestanti che ghettizzavano i meno abbienti, coloro a cui veniva assegnata la “tessera dei poveri” o che a Natale o a Pasqua andavano a ritirare il pacco della POA in parrocchia.
Io e Franco giocavamo agli intellettuali come i ragazzi marottiani col giornalino che nel dopoguerra la democrazia concedeva a tutti di pubblicare, tanto meglio per un tipografo.
Componavamo bastoncino dietro bastoncino di piombo un giornale locale diretto da Penza un lavoro lungo, faticoso, certosino, prima di arrivare all’effluvio della pasta e nerofumo che feriva, violentava la carta, scoprendo che la boria, la discriminazione dei “carnefici” era nient’altro che il timore della detronizzazione o defenestrazione, che dir si voglia, una loro insicurezza o consapevolezza associata al bisogno patologico, ora del pittore, ora dello scrittore che non riusciva a colmare il “buco” di insoddisfazione per l’assenza di ovazioni da plebiscito che covava e che veniva fuori solo attraverso una attenta analisi del loro mosaico evolutivo.
Io ricordo di quel periodo essenzialmente la “marenna” di pane e peperoni che talvolta la mamma di Franco preparava anche per me: per l’altro soldato di piombo, come il figlio, che attraverso il piombo questa volta tipografico gridavano la utopistica giustizia sociale, non paghi di quella comunista di utopia, o di quella della rivoluzione francese. Una “marenna” col sapore della solidarietà, vessillo trionfante su ogni discriminazione.
Così evitavamo innanzitutto gli incensamenti ipocriti di routine tra artista e artista, scrittore e scrittore dicendo pane al pane. Ora in Torreomnia Franco non si convince che io tesso qualche apologie ai mediocri, interpretando con un po’ di frettolosità, perché si può premiare anche la fatica, la costanza e l’assenza di lucro, oltre che la valutazione relativa al pensiero di Croce, Flora e quant’altri fanno del giudizio una scienza dogmatica, condivisa da tutti i pedanti succubi della sindrome dell’analisi scelta, del complesso del primo della classe.

LE EMAIL INQUISITE:

E-mail di Franco: “Caro Gigi, ma cosa credi che Peppe D’Urzo sia Montale?

Risposta di Luigi: Caro Franco, cosa credi che Mario Chiosi sia Dante?”

Non sono ancora pago e ribadisco che di là dell’estetica, i contenuti dei composti di persone non scolarizzate, e nemmeno autodidatte non solo possono avere un significanza originale, anche se priva di ismi, ma lasciano cogliere aspetti con forti tinte di trasmissione emotiva, e l’utilità della notizia pura quale la cronaca o la storia e un analisi anche se elementare del comportamentale domestico ed urbano di un’area geografica come nel caso di D’urzo.
Così una poesia erogata attraverso un drenaggio addottrinato direttamente dai precordi che ora medica, ora sconvolge l’animo dell’autore per prima, smarrito a mezza strada tra l’esistenzialismo comune a tutti e la retorica anozionistica dell’uomo della strada, non asclude un’analisi e un giudizio che rivelano spesso sorprendenti contenuti nel substrato, come nel caso di un Mario Chiosi o di un Giuseppe Penza.
Gli autori accreditati e famosi, intanto, pubblicano non più di mille copie nella loro prima edizione che spesso rimane l'unica, e si leggono tra di loro. I blog su Internet sono l’ultima speranza di sodalizio culturale con la scomparsa odierna dei Salotti letterari, dei Circoli e dei Dopolavori. Rispetto a questi ultimi i blog intimoriscono di più a causa della paura del confronto, dell’analisi, del giudizio a tutto tondo sulla rete che è planetaria. Le critiche serrate, i giudizi analitici, pur se autentici, desertificano creano mutismo e vojerismo. In ultima analisi ai fini della comunicazione, dello scambio, meglio il mediocre che il nulla. Meglio un aiuto che mille consigli.



Luigi Mari


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