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Argomento presente: « 'A LENGA SARNESE »
ID: 8147  Discussione: 'A LENGA SARNESE

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: domenica 16 marzo 2008 Ore: 23:58















Pigia la freccia e regola il volume per l'ascolto di "Comm'è bbella sta canzona" canta Roberto Murolo (iniziativa: diffusione belle canzoni napoletane inconsuete)
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’A LENGA SARNESE

LA POSTA
Sarno, 24 gennaio 2008

Egregio dott. Penza,
su segnalazione di mio cognato Francesco Mancusi (impiegato presso il Comune di Sarno) ho il piacere, condiviso da mia moglie Nunzia Cerbone e dal mio amico Giovanni Salerno, di inviarvi, in omaggio, copia del Dizionario del parlare sarnese d’altri tempi, di Raffaele Salerno a cura di Nunzia Cerbone, Emilio Prisco, Giovanni Salerno, nella certezza che potrei esservi utile per i vostri studi sul dialetto dei paesi della Campania che esercitate da anni.
Con i piu’ cordiali saluti.

Emilio Prisco
Via campo Sportivo, 11 - 84087 SARNO (SA)
tel. 081944145

Ringrazio pubblicamente Emilio Prisco per avermi donato il Dizionario del parlare sarnese, che si aggiunge a quelli di Pietraroja, di Torre del Greco, di Visciano e dell’abate Galiani.

LA CITTA' DI SARNO

Miniature animate del sito: www.turismonews.it dove si trovano tutte le città d'Italia



Dott. Francesco Penza della redazione


 
 

ID: 8354  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: domenica 16 marzo 2008 Ore: 23:58


TORREOMNIA INIMITABILE












Well, since you don't have a Java-enabled browser, this isn't much fun for you is it?



ID: 8203  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: domenica 10 febbraio 2008 Ore: 18:35
















ID: 8148  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: giovedì 31 gennaio 2008 Ore: 22:00



Pigia la freccia e regola il volume per ascoltare "Amici del cuore" cantata da Maddalena,
dedicata a tutti gli amici di Sarno e di Torreomnia.

E' mio dovere riportare una recensione di Roberto Mirabella
A cura di Nunzia Cerbone, Emilio Prisco, Giovanni Salerno), Dizionario del parlare sarnese d’altri tempi, Edizioni Buonaiuto, Sarno 2004, pp. 290.

Nella foto a lato: Il dizionario di Raffaele Salerno

Occorre subito asserire che il recupero del dialetto di una terra non costituisce soltanto un’operazione sulla memoria di tipo storiografico o antropologico culturale; perché è pure il momento pregnante di una visione che ci consente di saper valorizzare il presente.
Grazie al compianto prof. Raffaele Salerno e alle sue ricerche erudite (si ricorda il già edito Dizionario dei proverbi sarnesi, curato da Franco Salerno), ancora una volta è stato possibile, grazie alla passione non disgiunta dalla competenza e perspicacia dei tre curatori, realizzare questo Dizionario del parlare sarnese…. a ragione definito d’altri tempi. Infatti già da molti anni tantissimi termini, tipicamente sarnesi, non sono più in uso nella parlata locale per l’«inquinamento» prodotto, come si sa, dai mass-media che hanno poi finito per determinare una sorta di omologazione linguistica in cui prevalgono sovente luoghi comuni di dubbio senso.

Nella foto a lato Sarno 1861 Napoli 1934, altro libro dei sarnesi Emilio prisco e Nunzia Cerbone

A noi è piaciuto che nel titolo viene adoperato il verbo parlare perché come sottolinea Tullio De Mauro «il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale perché, grazie alla padronanza sia ricettiva che produttiva di parole e fraseggio possiamo intendere gli altri e farci intendere e possiamo catalogare, ordinare e sottoporre ad analisi l’esperienza, intervenendo in essa e trasformandola» (in Sette lezioni sul linguaggio, Milano 1983, p. 77).
Questa pubblicazione è altamente meritoria perché ci consente di riandare alla nostra infanzia , quella del secondo dopoguerra, e ricordare anche le svariate forme di giochi in cui ci si serviva di specifici termini come. sésca se’ (p. 229) un invito a tenersi pronti per l’inizio del gioco, o prïtiata di cui conserviamo sul capo a tutt’oggi delle sciaccate (p. 219), ricordi dell’incoscienza e spensieratezza adolescenziale. Si avverte attraverso la miriade di termini (a quelli originari di circa 4.000 con un paziente lavoro di indagine territoriale ne sono stati aggiunti ben altri 1.650 ) come molti termini, oltre all’esplicitazione semantica presentano anche la loro valenza metaforica in auge a Sarno. Si pensi alla parola paputo ( p. 175) che oltre a significare chi partecipa incappucciato alla processione del Venerdì Santo, indica anche un tipo di «persona trasandata», o baccalà ( p. 55) alimento che oltre ad essere gustato soprattutto nel periodo natalizio designa un “tipo allampanato , stupido”, o ancora càntaro (p. 67) che ha vari riferimenti da “grossa vasca, pitale” al traslato “fetente, schifoso”, o sciammerèca che oltre a designare la marsina si riferisce pure accompagnato da senso umoristico all’amplesso…., o scassàta (p. 215) un tipo di vigneto che finisce poi per indicare ben altro come i lettori possono vedere e infine zizzèlla (p. 283) che oltre a significare piccola mammella indica anche il tipo che conduce vita facile destinata a finire così da far esclamare «ha fffinìta ‘a zizzélla». Crediamo che certi termini siano conosciuti e usati solo da parte di quei pochi che hanno raggiunto una veneranda età e li usano comunemente, come il cuósciolo (p. 93), il piano di paglia della sedia che pertanto ci ricorda anche il mestiere (quasi del tutto scomparso) dello ‘mpagliaségge (p. 147) che sapeva ricostruire a’ mmistiéro (p. 143) a regola d’arte, cioè con la massima perfezione quando esso era sfondato perché consunto (i Latini avrebbero detto ad unguem).

Nella foto a lato la piantina mostra la posizione esatta di Sarno nell'area vesuviana

Chi mai userebbe ancora termini come prèna (p. 190) incinta o sgravare (p. 233) invece di partorire?
Molti termini indicano mestieri e spesso questi sono accompagnati da riferimenti proverbiali o adagi, ad esempio scarpàro - calzolaio (p. 214) che ci riucorda come scarpàre e ccusitùre scàveze e annùre nel senso che mentre i sarti e i calzolai provvedono agli altri finiscono poi per trascurare se stessi.
E pensare che da piccoli quando frequentavamo le elementari ‘mièzzo a’ Croce dalle emerite e brave suore d’Ivrea si riteneva di avanzare nello status sociale parlando in lingua italiano e pertanto il dialetto veniva considerato, in modo riduttivo, una sorte di corruzione linguistica assolutamente da evitare. Come asserisce T. De Mauro: «Secondo alcuni l’uso dei dialetti sarebbe un male. A costoro i dialetti sembrano brutti, inciviliti, sbagliati, e chi parla dialetto è accusato di sgrammaticare [….] Invece i dialetti sono come la campagna e la lingua è come la città: noi vogliamno avere tutti le condizioni di vita più moderna, più agiata che offrono le città, ma per ottenere questo non è affatto necessario distruggere il verde e la campagna. Tutt’altro!» (in Sette lezioni sul linguaggio, cit., pp. 49-50)- I dialetti e la stessa lingua acquistano uno statuto sociolinguistico diverso.
Recensione di Alberto Mirabella



Dott. Francesco Penza



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