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Argomento presente: « PREGHIERA AL PADRETERNO »
ID: 8136  Discussione: PREGHIERA AL PADRETERNO

Autore: Penza - Marino  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: domenica 10 febbraio 2008 Ore: 19:49

























Pigia la freccetta per l'ascolto di “Ma che ce pienze a fa’? (chisto è u mumento ‘e cagna’)”
canta Roberto Murolo. Regola il volume

LA MORTIFICAZIONE NAPOLETANA
PREGHIERA AL PADRETERNO
di Franco Penza

Iniziamo con la vecchia filosofia popolare dei saggi.

JACUVELLA
Riunione di intriganti e, per estensione, l’intrigo stesso. Deriva dal francese jacobinisme, a sua volta da jacobino. I giovani, durante la rivoluzione francese, aderirono alla fazione più turbolenta e fanatica e furono chiamati così dal convento domenicano di S. Giacomo, luogo delle adunanze. Con moderna accezione giacobino significa settario, scalmanato, facinoroso.

‘O CULO RUTTO E SE’ DUCATI ‘E PENA
Oltre il danno la beffa. Il detto si riferisce al supplizio della Colonna della Vicaria. In epoca vicereale, il condannato con le nude terga rivolte verso il palazzo della Vicaria –l’attuale Castel Captano - rimaneva a volte per giorni interi, incatenato alla colonna, ed era oggetto del pubblico ludibrio. Un mazzariello (piccolo bastone), ai suoi piedi, consentiva a lazzaroni e scugnizzi di infierire nelle profondità anali del reo. Ciò si aggiungeva alla pena pecuniaria e corporale comminata dalla corte.

STO ABBRACCIATO IO E A CULONNA
Tuttora nella parlata napoletana, l’espressione equivale a non posseggo una lira. Una variante del detto di sopra.

ROBESPIERRE
Il Comitato di Salute pubblica, organo del Governo Rivoluzionario creato dalla Convenzione Nazionale il 17 germinale dell’anno I (6 aprile 1793) fu costituito per sostituire il Consiglio esecutivo, fondato dopo l’insurrezione del 10 agosto 1792, che riuniva i sei maggiori Ministeri di Governo. Il Comitato veniva eletto ogni mese costituì di fatto il Governo francese, tranne che per le materie finanziarie fino al 1795.
Sulle autostrade guai economici a fermarsi sui Motel per lampeggiamento rosso per l’acqua. I benzinai ti lasciano credere che manca l’olio, la benzina, l’acqua. Estraggono l’olio vecchio, inseriscono l’olio nuovo, mettono l’acqua e chiedono cinquanta euro! Ma l’olio si è volatilizzato.

LEGGIAMO I GIORNALI PER RACCAPRICCIARCI
“Il vento sradica il pino delle suore, imprenditore muore schiacciato. Raid nel circolo della strage, pregiudicato ucciso tra i clienti. Rifiuti, proposti dai clan, a Pianura patto tra ultra e clan Lago. Incendio per una cicca, panico nella sede dei giudici di pace. Due bidelli malati, asilo chiuso a Chiaia. Discariche e riciclo e navi, l’esempio dei romani. Sfiducia a Bassolino. Prodi va a casa battuto al senato all’ultima battaglia. Tossici nelle campagne di Napoli e di Caserta,vergogna nazionale, gas serra”.

Nella foto a lato_ A core a core

Sulle abitazioni nella città di Napoli e non solo bisognerebbe prima effettuare una tabula rasa di tutte le istituzioni e ricominciare da capo. Occorrerebbe, quindi, un governo di salute pubblica, alla Robespierre e Danton, di giacobina memoria, ghigliottinando teste e genitali degli imputati, mettendoli nei cesti e giocare a pallone. Può sembrare esagerato! Ma una soluzione alternativa dove la troviamo? Stipendi minimi bloccati, disoccupati in aumento, ladri da per tutto, (nani ladri nel bagagliaio a Londra) giovani allo sbando, umanità in sciolta, spazzatura sulle strade, paura del cittadino comune, dirigenti onorevoli solo per soldi impegnati, delinquenza il vivo tessuto sociale, associazioni camorristiche e massoniche hanno chiuso la Campania nel suo territorio minato dai tossici settentrionali. Le discariche non si vogliono aprire, i termovalorizzatori si vedono dal binocolo.
Diceva mio padre: ”Mettiamo un filo spinato intorno al mondo con la scritta”manicomio”, fatte salve le patologie del caso, cominciando dalla nostra Regione. Gli anziani, i bambini, i poveri, aspettano soluzioni immediate. La guerra del mondo e, in particolare, della Campania ci conducono nel nulla. Mi rivolgo al Padreterno, chiedendo un suo intervento. Ma, secondo un modesto parere mio, Egli è stanco di quest’uomo, che crea soltanto veleni e disastri e si autodistrugge.



Dott. Franco Penza della redazione


 
 

ID: 8204  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: domenica 10 febbraio 2008 Ore: 19:49

























ID: 8137  Intervento da: Nunzia Marino  - Email: nunziamarino22@libero.it  - Data: lunedì 28 gennaio 2008 Ore: 16:53



Pigia la freccetta per l'ascolto di “Libiamo” dalla Traviata. Cantano gli artisti di Casacorace

LO SPARVIERO E LA COLOMBA di Nunzia Marino

…E così rimasi rapita dalle note del preludio della Traviata, che come frecce mi ferivano delicatamente l’animo, che godeva nello stesso istante del dolore che provocavano.
Lo sguardo vagava quasi a trovare nel vuoto le forme di quelle note, quando verso la finestra vidi qualcosa di bianco trasparente tremare, ma dai lembi strappati: una colomba bianca pronta a spiccare il volo. Agile, gaia, volteggia, sbanda, ma tuba, perché? Ha un segno proprio sul cuore. Profondo. Chi è stato? Batte nervosamente le ali, riprende il volo, vuole posarsi, ma non si posa. Cosa vede, cosa sente, cosa fa? Quante cose può raccontare al suo ritorno. Ma vola, vola per ore, giorni, mesi, anni, sempre sola e lontano.
Quelli che la incontrano la definiscono selvaggia, altri la evitano, sentono odore di solitudine.

Nell’immagine a lato: la colomba

Ella ha tentato più volte di far capire a qualcuno il dolore in petto da tempo e che non vuole più volare da sola. All’improvviso ecco uno sparviero. Il preludio sta per finire, le ultime note stanno morendo.
La colomba emette un gemito, un sospiro quasi continuo; il suo volare è senza meta, batte le ali nervosamente. Diventa mesta, geme, sospira, si copre il capino con le ali.
In quel nido un’altra colomba è ferita, da chi? Una ferita inguaribile. Le altre portano tutte il segno della ferita della compagna, indelebilmente: la maldicenza. Ma la colomba dal bruno capino spicca il volo. Vola lontano, in alto, ma è sempre spaurita e triste e geme. Durante il volo, incontra altre colombe e ognuna ferma, interroga, parla con un battere nervoso di ali. Per molto tempo vola senza posa. Molti echi le arrivano, inviti, sospiri, gioie, canti. Si ferma, osserva il segno della ferita, scuote il capo, e, racchiusa nella sua solitudine, vola, vola lontano e sola.
Ma è selvaggia, qualcuno dice. Vola sempre sola. Sembra cercare qualcuno, si è accorta che le manca qualcosa. Ma perché non cerca di crearsi un nido? Forse è triste, perché sola. Qualcuno deve pur sapere cosa vuole con quel suo solitario volo. Strano, posa su un tronco d’albero abbandonato su una spiaggia.

Nell’immagine a lato: lo sparviero

E’ sera, è stanca di volare. All’improvviso un tuffo al piccolo e spaurito cuore: lo sparviero diventa realtà. Non ha più coraggio di fuggire. Stranamente s’intrattiene e parla con lui a lungo, anche lui ha le sue pene, ma egli, forte e coraggioso, invita la colomba a costruire il nido con lui. Vivranno insieme. E così lo sparviero alla colomba disse:”Andiamo in fondo, dove nessuno ci vede, ci spia e ti reggerò quando saremo in alto mare!” Zampa nella zampa. Bruciati dalla sabbia cocente trovano refrigerio appena toccata la sponda, una dolce tensione s’impossessa di essi.
“Non essere triste, guarda quanto è grande il mare, senti come è caldo il sole e azzurro il cielo, ma più grande sei tu in questo istante”. La sua ala cinge il corpo, che freme senza potersi liberare. “Non tremare, stai buona, ancora un attimo, stringiti forte a me!” Un lieve capogiro. Cosa è? Anche io colomba solitaria sono capace di’amare? La ingenuità innervosì il sole, che si gelò e si oscurò per un istante. E l’onda pettegola, prepotente e saggia, sciolse l’idillio…




Nunzia Marino-Penza della redazione



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