ID: 7135 Discussione: RAIMONDO: 26 ANNI DALLA MORTE
Autore:
Francesco Raimondo
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ciccioraimondo@fastwebnet.it
- Scritto o aggiornato:
domenica 18 gennaio 2009 Ore: 18:23
Da "L'APPUNTAMENTO"

 25° ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI R. RAIMONDO
Su una piazzola della Tangenziale di Napoli, nella direzione di marcia Napoli-Salerno, subito dopo l'uscita Arenella, un poco dopo le dodici del 18 settembre 1982, si fermarono un'autoambulanza seguita da un'auto civile. Il traffico era intenso data l'ora e la giornata assolata. Dalla vettura uscirono delle persone che si abbracciarono vicendevolmente e sommessamente piangevano.
 Nella foto a lato: Il nonno Raffaele
Il loro pianto era di quelli liberatori, di quelli che seguono a mesi di una sofferenza costretta, nascosta, dissimulata, senza speranza! E, in effetti, solo un miracolo avrebbe potuto salvare Raffaele Raimondo dal suo destino di morte. Quel tumore maligno di cui si seppe nel giorno della festività di s. Pasquale, a maggio dello stesso anno, e che aveva attaccato il lobo superiore sinistro del suo polmone compromettendo anche la trachea, non gli aveva lasciato scampo. Lo stavano riportando a casa da Villa della Quercia al Vomero dopo che gli era stata praticata una iniezione di morfina. Durante il percorso i figli, Raffaele e Maria, in autoambulanza si erano accorti dell'avvenuto trapasso. Per questo si erano fermati e lì assieme agli altri che seguivano in auto davano sfogo al loro dolore. L'ineluttabile destino si concludeva così su una autoambulanza lungo una strada assolata di Napoli, nella calura e tra i rumori del traffico veloce. Era venerdì 18, s. Sofia. I familiari allestirono la camera ardente al pianterreno del palazzo di via de Bottis 62. Da poco tempo il figlio Francesco aveva fatto ammodernare quei locali e ne aveva ricavato un appartamento in cui v'era una capace sala dell'ampiezza di due stanze. Parlando alla figlia Maria il giorno onomastico di quest'ultima, 12 settembre, di mattina, aveva espresso il desiderio con una sorta di pacata malinconica ironia o rassegnazione di essere posto a terra proprio in quel nuovo saloncino in occasione della sua prossima fine. Con i capelli rasati quasi a zero, all'americana, benchè sciupato e dimagrito e martirizzato dalle "cure" contro il terribile male, manteneva la sua mente lucida, il suo cuore e i sentimenti gentili, se non sempre nella forma, sempre tuttavia, nella sostanza.
 Ed in effetti, sicut agnus, aveva affrontato gli estremi tempi della sua vita percorrendo il calvario della malattia con dignitosa, ammirabile compostezza. Circondato dalle premure degli addolorati familiari, intuendo o presagendo la sua prossima fine si lasciava condurre mansueto come non lo.era mai stato e se pure talvolta lo si era visto assorto nella penombra della sua camera, tristamente assorto nei suoi pensieri che si potevano intuire assai malinconici, tuttavia lo si era visto anche con il desiderio e con la grinta affrontare il male che lo minacciava. In quei momenti il suo pensiero costante e il suo impegno erano volti alle sue "carte". Vi aveva lavorato molto negli ultimi tempi e quei fogli dattiloscritti con le innumerevoli cancellature, che si notano in controluce, stanno ancora lì a dimostrare il lavoro a cui si era sottoposto non essendo dattilografo. E tuttavia per quelle cancellature si può capire la natura dell'uomo, o la sua puntigliosa ed esigente abitudine alla precisione, alla pulizia, alla chiarezza e soprattutto il suo anelito alla verità. In questo suo solitario itinerario storico-letterario, in una età già avanzata, aveva posto l'energia, l'entusiasmo, l'amore di un ventenne.
 Nella foto a lato: Raffaele Raimondo, mons. Salvatore Garofalo e Padre Salvatore Loffredo. Un bel trio di storici. Tale foto fu scattata nel pomeriggio del 2 febbraio 1976.
E così mentre il male inesorabile in quella lunga estate poco per volta lo trascinava verso il giorno fatale, tra i silenzi, gli sguardi, le premure dei familiari non aveva mancato di lavorare alacremente per chiudere, per finire il libro, il suo libro su Torre del Greco. Medici ed infermieri sia negli ospedali che in casa avevano potuto notare quell'uomo dimagrito e quasi distrutto nel fisico, mostrare una forza intellettuale e morale che trovava la sua origine in una educazione severa ricevuta in tempi lontani, nell'infanzia, da genitori entrambi esemplari l'uno per il suo eroico attaccamento al lavoro, l'altra per la profonda cristiana religiosità. Per chi solo superficialmente lo conosceva l'aspetto religioso della sua personalità era arduo intravedere. Egli non era solito frequentare chiese e funzioni religiose. Professava ad ogni occasione la sua "laicità" non volendo, forse per una sorta di pregiudizio rivelare a se stesso, quasi avendone pudore, la sua appartenenza allo innumerevole cristiano gregge.
 Una pecorella ribelle che invece di rimanere tra le altre ubbidiente al pastore ed ai suoi cani, si era mantenuta libera a scorrazzare un poco più, un poco meno lontano dal grosso del gregge. Ma che cosa era quel suo anelito, quel suo desiderio di verità storica se non la sua intima religiosità seguendo e ricordando gli antichi materni insegnamenti? Erano stati insegnamenti a dire il vero un poco terrifici, con scene di diavoli, di Inferno, di Purgatorio concreti e ben visibili alla fantasia infantile e di un Paradiso inimmaginabile per menti mature figuriamoci per piccini. In quel tempo così si usava e lui stesso ne raccontava divertito le dispute pedagogiche tra i genitori di quell’unico figlio venuto in tarda età. Tuttavia, torrese, nato quasi sulle sponde del mare, li nel palazzo che guarda via Agostinella e che ancora viene indicato come “u palazzo ru cavciaiulo” essendo stato costruito pietra su pietra da suo padre “u russ u cavciaiulo” non gli era mancato a parte gli spetti esteriori di assorbire dai suoi la religiosità concreta che lo seguirà per tutta la vita e basata sulla solidarietà, sul senso del dovere, sull’amore per la verità sempre ricercata pur se con umana fragilità.
 Nel suo portafogli furono trovate la foto di Errico Taverna e una “figurella” del Venerabile Don Vincenzo Romano. Dell’uno era stato allievo prediletto, dell’altro devoto filiano. In quella settimana di metà settembre 1982 proprio le spoglie del nostro Beato in Peregrinatio erano state poste sull’altare della S.S. Annunziata. E fu così che il pomeriggio di sabato 19, festa di S. Gennaro, caratterizzato da un sole quasi estivo, la bara di Raffaele Raimondo fu posta a pochi metri dalla teca del Beato. Chi scrive ricorda di avere avuto un sussulto nel vedere questa cosa e, silenziosamente ,di aver pianto con un sentimento quasi di consolazione. Fu allora che nel pensiero mi rivolsi a mio padre : “Anche Lui, anche Lui, di cui abbiamo parlato per tanto tempo e di cui hai scritto una bella biografia è venuto, è su quell’altare e ti sta vicino e certamente ti accarezza e ti sorride benevolo e pieno di compassione perché egli ti conosce nel profondo. ” Vidi allora mio padre in ginocchio ai piedi del sant’uomo mentre gli baciava con fervore la sinistra che la destra il Beato la teneva alta nel segno benedicente del Cristo.

Francesco Raimondo
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ID: 10181 Intervento
da:
la redazione
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domenica 18 gennaio 2009 Ore: 18:23
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ID: 7141 Intervento
da:
la redazione
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mercoledì 19 settembre 2007 Ore: 12:13
NEL RICORDO DI DON RAFELE RAIMONDO STORICO TORRESE
Caro Francesco, tempo fa mi facesti leggere un testo analogo riguardo Tuo padre. Già allora volevi onorarlo. Poi decidesti di non pubblicarlo. Io capii che ti mancava la consapevolezza che un ricercatore storico- narratore è una persona che è entrata in tutte le famiglie che l'hanno letto, quindi non è piu un "sentimento privato". Anch'io, come molti, ancora non riesco a liberarmi in toto delle croste dei pregiudizi, e non so ancora chiamare alcune cose col loro nome per il timore degli occhi degli altri, per l'opinione altrui. E non è tanto la paura di essere visto male, e di non godere dei benefici del convenzionale, ma di non essere voluto bene. Una cittadina come la nostra con caratteristiche metropolitane non può ancora stagnare sotto il giogo del provincialismo. Il sesso, la morte e le malattie sono ancora legati al diabolico, non parliamo poi dei disturbi esistenziali. Questi tabù richiedono ancora eufemismi se sono nelle case di tutti? La vergogna è fare del male al prossimo, fare a gomitate per sopraffare. La realtà umana, nelle agonie e nelle estasi è volere di Dio, quindi voce di popolo. Oggi il tuo racconto: "La prima volta di Enzuccio" è finalmente visto com meno bacchettoneria rispetto ad appena un ventennio fa quando in TV non si poteva parlare nemmeno di carta igienica. Finalmente si sente sempre meno "è finito" per morto, "brutto male" per cancro "petto" per seno, ecc. E' la fine dell'ipocrisia e l'uomo comincia ad essere più vero. Voglio sperare che questo forum abbia contribuito un pochino a questa sorta di liberalizzazione verso la solidarietà e l'affetto di campanile, contro l'ipocrisia ed i pregiudizi, per merito, chiaramente, di tutti coloro che collaborano, nessuno escluso, anche i meno iniziati ed i poco prolissi. Quindi, oltre al turbamento e alla commozione del Tuo intervento molti apprezzeranno la parte vera dell'individuo nell'intento di cucire insieme gli animi di narratore e lettore senza riserve. Ma soprattutto ricordare a tutti la tenacia e la costanza di Raffaele Raimondo che il destino ha voluto immortalato nella sua dillogia già intensa e antesignana nello storico-narrativo di "Itinerari torresi", senza poter diffondere ulteriormente le sue fatiche di ricercatore analitico ed instancabile.

Luigi Mari
| BIOGRAFIA ESSENZIALE Raffaele Raimondo nacque a Torre del Greco il 16 giugno del 1912. Figlio unico di Raffaele Raimondo e Rosa Puglia, commercianti. Vivace, dal cuore sensibile e generoso, frequentò adolescente, non da iscritto, la Reale Scuola di Incisione sul Corallo e di Disegno Artistico Industriale. Fu allievo e poi assistente del prof. Enrico Taverna che quella scuola diresse dalla sua fondazione, avvenuta nel 1878. I suoi studi si fermarono al conseguimento del diploma di scuola media inferiore (Scuola Tecnica). Impiegato dello Stato, lavorò per lungo tempo, fino alla quiescenza, come disegnatore superiore presso l'Ufficio Tecnico Erariale di Napoli. Partecipò attivamente alla vita artistica della sua città. Dal 1966 al 1978, con il suo dire salace, senso d'umore mordace e l'impegno che lo distingueva, prestò la sua collaborazione alla vita del locale giornale «La Torre». Gli «Itinerari Torresi e Cronistoria del Vesuvio» ne furono il frutto. Il libro stampato in due edizioni - 1973 e 1977 - ha avuto lusinghiero riconoscimento di pubblico. Ideò e realizzò con maestria, precisione e senso artistico, da tutti riconosciuto, prestigiose «luminarie» carri allegorici, riflessi del folclore e della Fede di un popolo operoso e tenace: a Torre del Greco, per la Festa dei «Quattro Altari»; a Napoli per quelle della «Festa di Piedigrotta» o quelle in onore di S.Vincenzo della Sanità. Molte di detto opere, alcune con effetti cinematici e sonori, pur nella loro effimera esistenza, attraverso l'attività della Ditta Nicola del Gatto & Figli, s'imposero all'ammirazione di popoli d'altri continenti. Dal 1978 al 1982, fino a pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 18 settembre, lavorò alla stesura di «Uomini e Fatti dell'Antica Torre del Greco»; opera edita postuma dai famigliari nel dicembre 1985. Documento imperituro di estenuanti, coscienziose ricerche, su Uomini e Fatti di un passato ricco di storia ed onore, in un contesto paesaggistico unico al mondo. I libri di Raffaele Raimondo:
ITINERARI torresi e cronistoria del Vesuvio *(III edizione)
Ercolano, giugno 1994 UOMINI E FATTI dell'antica Torre del Greco (Ricerche e collegamenti storici)
Opera postuma
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ID: 7136 Intervento
da:
Luigi Mari
- Email:
info@torreomnia.it
- Data:
mercoledì 19 settembre 2007 Ore: 01:53
CONSIDERAZIONI SULLA VITA E SULLA MORTE ESTRANEE ALL'ARGOMENTO 25° ANNIVERSARIO R. RAIMONDO, MA AFFINI ALLA RELIGIOSITA' TORRESE:
Una diagnosi, però, sull'origine dei mali dell'umanità, pur se sorprendentemente illuminante e innovatrice, senza postulazioni decise e sicure in sostituzione e cura delle vecchie devastanti difese, ci suggerisce, allo stato, solo e a nient'altro che Dio, tradotto essenzialmente in idea di Dio nell'uomo e tra gli uomini, Entità non già più sorgente dal terrore devastante per la probabile assenza salvifica. Occorrono secoli per scardinare millenarie incrostazioni. Altrimenti insorgerebbe, in astinenza, una nuova angoscia, quella della millenaria e futura incapacità dell'uomo di sorridere all'idea della morte, magari semplicemente con la visione epicuriana di essa. Togliere Dio dalla mente umana significa rendere l'uomo un amimale inferiore.
Purtuttavia:
“Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Perchè sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno i suoi famigliari.” Dal Vangelo secondo Matteo 10, 34-38
Torre del Greco è cattolicissima, per questo prende i Vangeli alla lettera?
Vai nell'argomento tramile il link qui sotto: www.torreomnia.com/cristo.htm

Luigi Mari
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