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Argomento presente: « NAPOLI IERI ED OGGI 3 »
ID: 6477  Discussione: NAPOLI IERI ED OGGI 3

Autore: Veronica Mari  - Email: veronicamari@libero.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 29 agosto 2007 Ore: 01:16


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LA COMUNICAZIONE CARTACEA NEL 900 NAPOLETANO ERA TUTTO: CINEMA, TELEVISIONE, INTERNET.

di Luigi Mari


Se Gutenberg non fosse nato Napoli e la cintura vesuviana non avrebbe neppure beneficiato dei sostegni etici positivi che certamente si recuperano dalla diffusione della cultura. Quale mestiere avrebbero esercitato i nostri Vico, Croce e De Sanctis dietro la consapevolezza che le loro analisi andavano. trascritte in una o due copie di codex, destinati al massimo ad arricchire le sontuose ville vesuviane degli altoborghesi? Cosa avrebbero fatto i nostri. Ferdinando Martello ed Emanuele Melisurgo se non fosse esistita la vecchia partenopea tipografia Flautina che stampava uno dei primi giornali umoristici della storia, intorno alla meta dell’800: L’Arlecchino. Fossilizzazioni borboniche avrebbero stagnato il torpore di un popolo in perpetua precarietà, sempre dominato e prevaricato dall’alto e dal basso.
A Napoli si sarebbe stati ancora condizionati ad oziose controre nei dedali spagnoli, negli androni sgraziati e disadorni dei centri storici di provincia, nell’acre delle fatiscenze, là dove visi olivastri statuavano assisi, in un’etra infestata da aculeati frugiferi.

A Napoli non si sarebbe diffuso, certo, alla fine del XIX secolo il famoso Monsignor Perrelli, che dettava i primi veri spunti o sputi, se più vi piace, polemici ed anticonformisti, in contrapposizione ai millenni di oppressione stagnante, allineandosi ai grandi riformatori del pensiero scientifico del secolo XIX, se Gutenberg non fosse nato. E, d’altro canto, come si sarebbero diffusi gli spunti de’ Il concetto dell’angoscia di Kierkegaard o i Tre saggi sulla sessualità di Freud, o ancora le crude, assideranti “verità” dell’elegiaco Leopardi o del caustico Nietzsche? Insomma, come avremmo fatto a vivere ancora peggio attraverso il doppiotaglio della conoscenza? Il vecchio saggio napoletano diceva: chi capisce patisce.

Se Gutenberg non fosse nato, Antonio Scarfoglio non avrebbe potuto pubblicare a Napoli il primo rotocalco d’Italia Il Mattino Illustrato, del 1924, perché la moderna, meccanizzata versione della vecchia calcografia, non avrebbe potuto beneficiare della composizione alfabetica dei caratteri mobili. Se quel calabrese di tedesco, volitivo e testardo come tutte le persone geniali, non fosse esistito, ce la saremmo sognata a Napoli la rinomata Emeroteca Tucci e la Biblioteca Nazionale ai Cavalli di Bronzo (Largo Castello) che nacque con la raccolta farnesiana di Carlo III di Borbone e arricchita con la fusione di altre biblioteche napoletane. (Non tutti i campani sanno che si tratta di una delle più importanti biblioteche d’Europa, dove è possibile osservare, oltre ai famosi Papiri di Ercolano, incunaboli, manoscritti e codici miniati di diversi orientamenti culturali). Grazie a Nonno Gutenberg la nostra Napoli ha potuto sfoggiare anche le sue tradizioni culturali, riallacciate anche alla vecchia Scuola Salernitana, la prima fucina culturale del mondo.

Ah, costa campana, perché ti sei europeizzata, perché ti sei deturpata nell’urbanistica? Leggiadra fetta di ecumene principe che va dall’amena Pozzuoli e via via con le alture di Posillipo, lungo la invidiata Caracciolo, e giù per la storica Ercolano, per la mia ferace Torre del Greco e la fastosa Pompei, indi Castellammare, dove termina la fascia vesuviana tirrena, proseguendo ancora per la suggestiva Vietri e la impresepiata Amalfi, quindi la notabile Salerno fino alla talassoterapeutica Pesto dei Greci. Una terra (alla faccia degli antiretorici) decantata dai miti più antichi, dalle sirene di Ulisse; bersaglio degli insediamenti magnagrecisti, dimora amena e tranquilla per svaghi e riposo dei romani antichi.

La terra vesuviana, oggi in degrado, ha esternato in passato il suo genio interiore creativo ed intellettivo con la filosofia popolare-verbale e cattedratica, con la poesia più intensa e vibrante, con la scienza e le arti, aderendo alla diffusione della stampa, sempre utilizzata e seguita nelle sue fasi evolutive. Grazie anche all’orefice di Magonza l’amena costa vesuviana non è rimasta solo una figura leggiadra di venere seducente, ma vacua, come molte belle donne.

Peccato che il flemmone della bramosia di potere si stia allargando a macchia d’olio in tutte le fasce sociali. Per la prima volta nella storia il malessere scaturisce dall’individuo, emarginato dalla recrudescenza del suo insoluto esistenziale. Il male dell’uomo moderno e sociale solo per conseguenza. Anche Napoli, purtroppo, diventa un capoluogo di folla-sola e disorientata.

L’unico antidoto contro il babelico ordinamento comportamentale suggerito dai mass-media e la loro nociva grancassa propagandistica inneggiante il consumismo e la diffusione coatta delle idee, potrebbe essere una sana trasmissione del pensiero, oserei dire pre-culturale. Ricusare l’intricato onanismo intellettuale delle elucubrazioni dottrinarie e delle speculazioni filosofiche e pragmatiche insieme, senza sbocco. Napoli, con la sua poesia e il suo buonumore si incrinata. Occorre la comunicazione inedita, che non coinvolge il fruitore negli interessi pratici o ideologici spesso ipocriti dell’autore; una lettura puerile, bonaria ed amorevole, antiscolastica, antisapienza, antistorica, che non si prefigge di insegnare nulla se non la riscoperta di saper stare insieme nella piena gioia di vivere. Semplicismo o qualunquismo? Banalità, retorica? Signori, con la mania della critica, dell’analisi scelta, del the best artistico abbiamo distrutto la spontaneità espressiva, abbiamo contorto e complicato tutto, abbiamo deformato il corso autentico e naturale della vita persino con le favole per i bambini, ricche di trasfigurazioni e contorsioni della realtà, con la mania dell’arte, del desueto, dell’ambiguità creativa. Abbiamo finito per trasmettere ai bambini la parte inferma della creatività artistica.

Lasciamo che i bambini napoletani scrivino i libri per noi, i bambini appena accostati ai rudimenti lessicali, i bambini incolti e incontaminati dalla cultura, i bambini come immagine speculare degli uomini di Neanderthal, semplici, bonari e pacifici perché incolti, ignari dell’elaborazione culturale dell’angoscia umana legata all’idea del decesso e la probabile assenza salvifica. I bambini lontani da TV videogiochi e computer, gli ultimi e più terrifici strumenti di una cultura in saturazione; i bambini nuovi, pasturanti nei prati virenti e rigogliosi, nutriti con more e aromatici agrumi, lontani dalle derrate martoriate nei laboratori per la conservazione. Lasciamo che tali bambini scrivano i libri e facciano siti web per noi e bruciamo le biblioteche, forse assisteremo alla nascita di una umanità diversa, almeno per qualche millennio... Perché l’unica salvezza del mondo, la vera non utopia e quella di creare una umanità la cui ragione sia finalmente aliena da tutte le elaborazioni culturali accumulate nei millenni. So che è una chimera, ma una Napoli così perduta è un evidente disastro umanistico.



NAPOLI LUMIERE 1898


NAPOLI 1840-1920


Soffermiamoci ora un attimo sui linguaggi settoriali, i quali rappresentano un problema per gli stessi tipografi, un po’ come le lingue straniere, e ripetiamo pure la massima di Rene Clah: Diffida dell’uomo e della sua mania di fare nodi. Una delle tante cause che hanno riallontanato 1’uomo medio dalla lettura in genere anche su internet è la deliberata ricerca del gergo complicato di molti scrittori sia di testi letterari che tecnici, al di là della prosa sperimentale, della poesia ermetica e della stessa critica letteraria, la quale, a mio modestissimo avviso, serve solo, nelle prefazioni di libri delle collane economiche, a scoraggiare in primis 1’uomo medio dal proseguimento della lettura del testo, per la massiccia macchinosità del linguaggio con articolazioni concettuali che definire complesse, intrecciate, astruse ed arzigogolate, è come dire facile l’arabo... (Senza nulla togliere alla inconfutabile maestria artistico-intellettiva, se pur elitaria).

Sarà forse l’antica necessità di apparire dotti, elevandosi a ranghi superiori atraverso una scrittura talmente adulta, che per essere compresa si dovrebbe stare dopo la vita, dove tutti gli enigmi vengono chiariti, almeno presumibilmente. Una scrittura cartacea o elettronica che va al di là dell’aulicità delle dottrine regolate da schemi comunicativi particolari. Ciò compromette, senza dubbio, la chiarezza e l’intellegibilità. Ma il virtuosismo rasenta il sortilegio. Cert’è che la verbosità pomposa del linguaggio, 1’uso continuato di neologismi e termini rari sfociano inevitabilmente nell’oscurità concettuale, a prescindere dalla dialettica o dallo ermetismo. E’ peggio che dottrinalizzare il testo con numerose locuzioni latine e proposizioni di lingua straniera, perché ciò, almeno, e lessicamente traducibile.

Questa necessita di oscurare il linguaggio non è nata a Napoli, nasce, probabilmente, da un bisogno di sopraffazione mestierante, che utilizza tecniche e trucchi settoriali ad uso egemonico ed intimidatorio. Si tratta, d’altra parte di espedienti antichi, adoperati già da scribi e sacerdoti, che articolavano costrutti ambigui conformi al mistero ed al proibito, per incutere stupore, timore e soprattutto ammirazione. Come se non bastasse, l’italiano d’oggi è una lingua anche purgata dall’invasione della terminologia angloamericana e dagli stranierismi europei, nonché dalla proliferazione di sempre nuovi termini scientifici, non solo, ma dallo sviluppo camaleontico del gergo giovanile. Alcune parole assumono significati diversi non già nell’arco di qualche decennio, ma di appena un biennio o meno.

Pasolini già negli anni sessanta diceva che il nostro era diventato un italiano tecnocratico e strumentalizzato, a prescindere, chiaramente, dalla sperimentazione del linguaggio gergale della sua dilogia che rimane fine a se stesso. Così leggiamo: cosificare e cosalizzare per: trattare come una cosa; gambizzare per: ferire alle gambe; invarianza per: costanza; lupara bianca vuol dire omicidio con volatilizzazione di cadavere; mainframe: grande calcolatore; Nientologo e tattologo come: pseudo onniscente; palista: chi possiede un televisore col sistema PAL; picista: iscritto al P.C.I.; pule: poliziotto, ecc. ecc. Invadono gli stranierismi: medicult: cultura media; eskimo: giaccone tipo eschimese; pop singer: cantante popolare; kitsch: cattivo gusto; comics: fumetti; dream car: automobile di sogno, ecc. ecc.

Meglio la "parlata" di Russo o Viviani. Tutto questo, insieme agli audiovisivi, ed altre cause, hanno contribuito ad abbassare il già scarso interesse degli italiani per la lettura, che non è più stimolatrice della fantasia, ma provocatrice di sforzi interpretativi infruttuosi risolvibili solo con l’alternativa di avere più tempo e pazienza per aggiornamenti settoriali e lessicali. Tempo e pazienza, ciò che 1’uomo moderno non ritroverà forse mai più.

Tratto "Da Magonza a Torre del Greco" di Luigi Mari

IL TONO CAUSTICO DI ALCUNI FILMATI CHE SEGUONO DIMOSTRANO CHE IN PIENO REGIME DI "LIBERTA' " OLTRE ALLE VECCHIE SOFFERENZE DELLE DOMINAZIONI, ORA TRAMUTATE IN ANGHERIE DI DEMOCRAZIE CAMUFFATE, SI AGGIUNGE LA RABBIA DEL DETERRENTE ATOMICO CHE NON FA SPERARE PIU' NULLA, NEMMENO COL SANGUE:




LA NAPOLI... D'OGGI



LA NAPOLI PERDUTA



ADDIO MIA BELLA NAPOLI



NAPOLI DALL’ALTO - CEMENTO E PERDUTI AMORI



NAPOLI CAPITALE - LA CAMPANIA DALL’ALTO - EUROPEIZZAZIONE PRIMA, GLOBALIZZAZIONE POI



NAPOLI DISAMORE



SE IO FOSSI S. GENNARO




DOSSIER a cura di Veronica Mari



 
 

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