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Argomento presente: « LETTERATURA CLASSICA » | |||||
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ID: 6003 Intervento
da:
Mari virna
- Email:
info@torreomnia.it
- Data:
giovedì 14 giugno 2007 Ore: 16:50
MA A TORRE C'ERA PURE CHI DI "PENNA" CAMPAVA Ora farebbe la fame! La legge Coppino del 1861 con l'istruzione obbligatoria soppresse pure gli scrivani di Torre del Greco. L’ALFABETO E IL POPOLO VESUVIANO Non dimentichiamo che l’alfabeto, al di là delle arti grafiche e della letteratura bene, è stato anche il mezzo diretto per esternare i sentimenti più svariati della sfera emotiva dell’uomo. Nella letteratura mondiale solo negli epistolari si è potuto carpire la natura del vero pathos creativo dei grandi autori; nella corrispondenza l’artista si sventra cedendo alla foggia dialettica e alla smania di trasfigurazione artistica, rinunciando alla mascheratura o sublimazione dei suoi istinti caratteriali. Dagli epistolari si attingono le biografie perché la lettera e il vero miraglio dell’anima. Quante lettere non abbiamo mai scritto! Noi anta ancora trasognamo il fragore delle ultime carrozzelle sull’asfalto di Via Caracciolo o sui basalti del Miglio d’Oro che lega Torre del Greco a Ercolano. Erano i tempi delle interiezioni, della pargolezza che sapeva ancora di candore da Prima Comunione e non di puerizia pilotata da dottrinarismi clinici che tutto prevengano, tranne la predisposizione all’angoscia prematura. Evoluzioni socioscientifiche che hanno dato un taglio netto a due epoche. Le carrozze sui basalti non sonavano fragore o dirugginii, ma accordi melici. Reminiscenze romantiche che hanno sentore nostalgico, d’accordo. Ma l’asetticità dei giorni nostri non sa meno d’infermità. Una terra ferace, quella vesuviana, che fa invidia alla motriglia del Nilo. Due raccolti l’anno. Fertilità del terreno grazie anche all’«ingerenza» delle sostanze eruttive dello sterminator Vesevo, che si è accanito nei secoli a svellere in rovinose devastazioni ora le mirifiche e sontuose ville vesuviane, ora i tuguri fatiscenti relativi alla letteratura verista e neorealista. Sempre nel quadro della napoletanità i nostri autori a cavallo dei due secoli mettevano 1’accento su di un personaggio ora grottesco, ora romantico, a mezza strada tra il barbassoro e il fattucchiere, che si può definire, senza tema di smentita, una sorta di derivazione dell’amanuense: lo scrivano! Quando, imberbe, apprendevo i primi rudimenti dell’arte tipografica, rammento con nostalgia un vecchio scrivano che, tra l’altro, ha tanto colorito di lirismo la mia fantasia. Veniva a Torre del Greco, a piedi, naturalmente, dall’allora Resina, e ambulava pacato e monacale puntando frequentemente lo sguardo sulle architetture ora di Villa Favorita, ora dell’Istituto S. Geltrude, fino al Palazzo Vallelonga del Vavitelli, che egli scandagliava lentamente, ponendo sulle costole a manca il viluppo di scartoffie nella cartella di bazzana color porpora. Indi si impancava presso il famoso “Caffè Palumbo” a centellinare una bibita, procacciandosi, intanto, il lavoro tra i passanti. Lo scrivano ha avuto risonanza storica, anche se aneddotica quando partivano i bastimenti, dove diecine di sensali di carne umana trasferivano oltre oceano migliaia di italiani. Lo scrivano era il loro tramite interiore, il loro poeta, colui che coglieva i sentimenti più vivi e sanguinanti dal cuore delle madri, e forse un po’ vizzi e annacquati dall’animo delle mogli, trasmigrandoli nelle Americhe, immortalati sulla carta spesso olezzante di misteriose quintessenze. Lo scrivano adoperava l’alfabeto come un ponte immenso sull’oceano. So di ditirambeggiare i miei personaggi, ma opino che il tipografo artigiano quello della bottega degli impresepiati centri storici, sia un po’ lo scrivano delle arti grafiche. Una buona parte del suo lavoro sfrutta l’alfabeto come un macchinismo pro-socializzazione. Il bottegaio tipografo napoletano, chissà fino a quando, sviolina i suoi caratteri nel copositoio, concretizzando sentimenti ed emozioni franche ed inaffettate, ora gaudiose o gongolanti, ora meste o austere. Tratto "Da Magonza a Torre del Greco" di Luigi Mari |
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