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Argomento presente: « NEL TIEPIDO DELLA MEMORIA »
ID: 5785  Discussione: NEL TIEPIDO DELLA MEMORIA

Autore: Carlo Boccia  - Email: carloboccia@virgilio.it  - Scritto o aggiornato: lunedì 18 giugno 2007 Ore: 00:10

Tempo di aquiloni

L’aria calda e ventilata di questi giorni mi ricorda che il tempo è arrivato. Scelgo il posto più adatto della spiaggia e, con la fragile losanga di carta velina che non riesco a mantenere ferma sottobraccio, mi guardo intorno a spiare.
Non vedo altri e allora l’appoggio a terra, ci metto il panino incartato a fermarla perché il maestrale incomincia già a farsi sentire. Devo però ancora sistemare bene la coda, metterci una frangia a destra e una a sinistra e sbrogliare un po’ di filo dal gomitolo. Mi guardo ancora intorno sospettoso, ma non vedo altri. Una breve corsa
tra la sabbia nera che mi entra nelle scarpe, s’intrufola nei calzini, e la mia cometa incomincia il suo volo. Al principio è titubante, poi sembra andare in “stallo”, con una grande virata a sinistra, poi sembra incapace a liberarsi al vento.
“Staccanea, staccanea” mi urlano dei ragazzi appena usciti dal nulla, anch’essi con la cometa sottobraccio, pronti a far gara con me.
Oggi è tempo d’aquiloni, e allora, dopo un’affannosa staccaniata, il vento solleva la mia cometa e la porta in alto, la mantiene stabile, immobile, mentre il fruscio emozionante della coda e delle frange a poco a poco si perde.
Sento voci allegre e soddisfatte venire dagli altri ragazzi, che hanno anch’essi avuto successo nel far decollare i loro aerei di carta velina.
“Gnummea, Carlì, gnummea” mi gridano ad un tratto i ragazzi per avvertirmi dell’arrivo di un pirata degli aquiloni armato di “cinqueglia” e allora gnummo a velocità supersonica per portare in salvo l’aquilone,
acquistato appena il giorno prima da Aniello Pernice, “Sparaglione”.

Carlo Boccia

 
 

ID: 6051  Intervento da: Carlo Boccia  - Email: carloboccia@virgilio.it  - Data: domenica 17 giugno 2007 Ore: 23:03

Tempo d’aquiloni a Torre del Greco

L’aria calda e ventilata di questi giorni mi ricorda che il tempo è
arrivato.
Scelgo il posto più adatto della spiaggia e, con la fragile losanga di carta velina che non riesco a mantenere ferma sottobraccio, mi guardo intorno a spiare.
Non vedo altri e allora l’appoggio a terra, ci metto il panino incartato a fermarla perché il maestrale incomincia già a farsi sentire. Devo però ancora sistemare bene la coda, metterci una frangia a destra e una a sinistra e sbrogliare un po’ di filo dal gomitolo.

Mi guardo ancora intorno sospettoso, ma non vedo altri. Una breve corsa tra la sabbia nera che mi entra nelle scarpe, s’intrufola nei calzini, e la mia cometa incomincia il suo volo. Al principio è titubante, poi sembra andare in “stallo”, con una grande virata a sinistra, poi sembra incapace a liberarsi al vento.
“Staccanea, staccanea” mi urlano dei ragazzi appena usciti dal nulla, anch’essi
con la cometa sottobraccio, pronti a far gara con me.

Oggi è tempo d’aquiloni, e allora, dopo un’affannosa staccaniata, il vento solleva la mia cometa e la porta in alto, la mantiene stabile, immobile, mentre il fruscio emozionante della coda e delle frange a poco a poco si perde.
Sento voci allegre e soddisfatte venire dagli altri ragazzi, che hanno anch’essi avuto successo nel far decollare i loro aerei di carta velina.

“Gnummea, Carlì, gnummea” mi gridano ad un tratto i ragazzi per avvertirmi dell’arrivo di un pirata degli aquiloni armato di “cinqueglia” e allora gnummo a velocità supersonica per portare in salvo l’aquilone, acquistato appena il giorno prima da Aniello Pernice, “sparaglione”.

Carlo Boccia


ID: 5787  Intervento da: Carlo Boccia  - Email: carloboccia@virgilio.it  - Data: sabato 26 maggio 2007 Ore: 21:13

Concludo questa mia pagina-blog con:

C'ERA UNA VOLTA 'A JONTA E 'A PEZZA A CCULORE

A jonta, ovverosia l’aggiunta, è quella cosa che risolveva parecchi problemi nel primo dopo guerra, come ricordano ancora quelli che sono avanti negli anni. Quante jonte e quante toppe, pezze, sono state cucite ai pantaloni, alle gonne e ai vestiti.
Per esigenze economiche, e allora era fame vera, gli indumenti, “agghiuntati”, si passavano di padre in figlio e poi dai fratelli più grandi ai più piccoli, fino alla consumazione definitiva, per consunzione.
Le famiglie erano allora quasi tutte numerose; la mia era seminumerosa perché eravamo quattro sorelle e un maschio e a scuola a me spettava solo metà dei buoni libro.
Adesso non esistono più famiglie numerose né miseria, ma agli indumenti si mette ancora la jonta. La mettono i grandi sarti, perché in nome della moda, si usa indossare abiti bucati e strappati, con l’aggravante che costano un occhio della testa.
Altra jonta più caratteristica e conosciuta era quella che il salumiere o il panettiere dava sul pane, per pareggiare il peso mancante, ma non arrivava mai a destinazione perché sembrava essere la parte più saporita della spesa e veniva sgranocchiata durante il tragitto verso casa, senza che i genitori se ne accorgessero. Oggi la jonta non si usa più; il pezzo di pane te lo incartano senza pesarlo, dopo aver pagato 1,50 euro.
Proprio adesso la jonta non c’è più, ora che, con l’aumento del costo del pane, avrebbe un valore aggiunto maggiore.

Carlo Boccia


ID: 5786  Intervento da: Carlo Boccia  - Email: carloboccia@virgilio.it  - Data: sabato 26 maggio 2007 Ore: 20:57

'U SPUNCILLO

Lo “sponcillo” è un grappolo di pomodorini intrecciati l’uno con l’altro da mani esperte di contadini, e probabilmente il suo nome proviene da “spuntare”...alla bisogna.
Si metteva appeso al balcone o alla finestra, abitualmente insieme al grappolo di sorbe e al melone di pane, quasi a costituire una pinacoteca all’aperto di natura morta.
Si preparava in settembre ed era la riserva per l’inverno, assieme ai vasetti di alici sotto sale, alle melanzane e peperoni sott’olio, alle bottiglie di passato di pomodoro, all’inserto d’agli e di cerasiello.
Questa esposizione conferiva ai vicoli un aspetto caratteristico, come talvolta viene rappresentato sui presepi, e dalla quantità degli spuncilli qualcuno immaginava il livello economico della famiglia espositrice.
Qualche giorno fa, passando per Via Fontana, ho visto appeso ad una pertica di un fruttivendolo questo grappolo di pomodorini, e sotto scritto “Spuncillo”.
Mi sono avvicinato per ammirarlo da vicino: era proprio lui.
Mi sono allora ricordato quando mi affacciavo dal balcone di casa mia in Largo Bandito e furtivamente staccavo dal grappolo e mangiavo la sorba più matura, e poi dello spuncillo da cui mia madre attingeva dei pomodori da “sciriare” sulla fresella e, con olio e sale, preparava la frugale cena per mio padre di ritorno dal lavoro.
Di spuncilli ai balconi non se ne vedono più; forse perchè i gas di scarico delle auto ne sconsigliano l’esposizione o forse perché ai supermercati si trova ormai di tutto e in tutte le stagioni o forse, come mi sussurrava un mio amico, perché per comprare uno spuncillo bisogna prenotarlo per tempo e pagarlo a peso
d’oro, quasi come se fosse composto da pomi-d’oro e non più da pomodori.

Carlo Boccia


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