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Argomento presente: « CHE FARE? »
ID: 5739  Discussione: CHE FARE?

Autore: Italo sarcone  - Email: italo.sarcone@libero.it  - Scritto o aggiornato: lunedì 21 maggio 2007 Ore: 14:35

Buongiorno. Mi chiamo Italo Sarcone. Invitato dal dottor Franco Penza a produrre un mio intervento per il suo Forum, ho scritto questa pagina che vuole comunque essere un primo invito alla discussione.

Per un mio profilo si può consultare il sito

www.presepenapoletano.it

alla pagina "rivista":

www.presepenapoletano.it/rivista/archivio.htm

www.presepenapoletano.it/rivista/n%204/biografia_sarcone.htm

Che fare? Con questo interrogativo, già titolo di un libro di Lenin, si chiudeva la grande epopea contadina narrata da Ignazio Silone nel suo romanzo più noto, Fontamara. Ma si era in epoca fascista e le squadre nere avevano seminato il terrore e la morte nel piccolo villaggio, i cui abitanti chiedevano solo giustizia e possibilità di vivere.
Che fare? Sembra strano che questo interrogativo possa martellare la mente di qualcuno ancora oggi, dopo un sessantennio di democrazia, nel constatare che c’è chi non può procurarsi le medicine o non sa come pagare il fitto di casa, mentre il paese mostra una nuova smania di potenza, mandando in giro per il mondo cingolati e gente armata fino ai denti, sotto l’ipocrita pretesto di portare la pace.
Democrazia, abbiamo detto? Etimologicamente questa bellissima parola, che si accompagna con naturalezza all’altra, “repubblica”, significa “potere” (in greco kràtos), del popolo (in greco démos). Appartengono al novero di quelle parole (diceva John Wayne, nel film “La battaglia di Alamo”, in cui recitava la parte di Davy Crockett) che fanno venire un nodo alla gola per la commozione.
Eppure già Platone, il più grande tra i filosofi e gli scrittori di Grecia, esprimeva il rifiuto più intransigente contro la democrazia. Il motivo razionale era che in democrazia tutti possono dire la loro, il competente e l’incompetente, i sapienti e gli stolti; il voto dello stolto ha lo stesso peso del voto del sapiente e si sa che gli stolti sono in numero di gran lunga maggiore rispetto a quello dei sapienti. E così gli stati vanno alla perdizione. Ma, nell’animo di Platone, un ricordo angoscioso lavorava nel profondo, quello del suo maestro Socrate, il più giusto degli Ateniesi, che un tribunale popolare aveva condannato a bere la cicuta, con l’accusa di empietà, e Platone dimostrava che, tra gli Ateniesi, neppure i “professionisti”, gli “specialisti” del sacro erano in grado di dire che cosa significava “santo” e che cosa “empio”, che nessuno era in grado di dare un’adeguata spiegazione della “santità” e del suo contrario, la “empietà”. Eppure, in nome di questa “santità”, di questa “pietà” (in greco eusébeia), che nessuno sapeva che cosa fosse, era stato fatto morire il più giusto tra gli uomini: e questo era accaduto sotto il governo più democratico che Atene avesse mai avuto.
Sono nato nel 1946, con la Repubblica italiana, e due anni dopo un’assemblea dotava il nuovo Stato di uno strumento formidabile di giustizia e di equità, quella Costituzione italiana, che rappresenta il vertice storico dell’umana civiltà.
Non mi si fraintenda: non voglio dire che non si può fare di meglio; voglio solo affermare, ed è opinione corroborata da illustri specialisti del diritto, che storicamente nessun altro paese ha fatto ancora di meglio.
Sono stato sempre fiero di essere italiano, fiero della repubblica, della costituzione e della democrazia. Per quanto ammiri Platone, le sue argomentazioni non hanno scalfito la mia fede nella democrazia.
Eppure, non posso evitare di chiedermi se non siamo oggi di fronte ad una involuzione, quasi alla fine di questo esperimento di democrazia che è stata l’Italia, per tutta la mia giovinezza e per buona parte della mia maturità. Mi chiedo se, nella mia vecchiezza non mi toccherà assistere all’agonia di quello che è stato il migliore prodotto dell’umana tensione alla libertà. Forse la libertà è finita e, poiché siamo quasi alla fine del nostro percorso terreno, io e quelli della mia generazione non possiamo neanche chiederci “che fare?”.
La sconsolata risposta sarebbe che non possiamo fare nulla. Pensare a nuove soluzioni tocca ai giovani, e neanche a tutti, ma a quelli che, più consapevoli di quanti vanno a sprecare la vita nelle discoteche tra contorcimenti e impasticcamenti vari, si dedicano al volontariato, alla distribuzione del giornale di partito, al catechismo e all’istruzione dei più piccoli. A questi chiedo perdono a nome di tutta la mia generazione, se non possiamo lasciargli altro in eredità se non questo amaro interrogativo: “che fare?”

Italo Sarcone


 
 

ID: 5755  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 21 maggio 2007 Ore: 14:35

LENIN E NOSTRO SIGNORE LA STESSA COSA?

Mons. Ravasi,
Poche settimane fa, a Canale 5 Lei propose un paragone tra Lenin, San Paolo e Gramsci. In verità, non ho interpretato il suo accostamento tra San Paolo e Gramsci e Lenin e Cristo. E’ possibile l’accostamento? Ringrazio per la risposta.
Francesco Penza

Gent. Dr. Penza,
semplicemente citavo una nota definizione che Gramsci aveva dato di San Paolo come “il Lenin del Cristianesimo”, sulla base dell’equivoco – per altro non raro anche tra i cristiani – che l’Apostolo sia un freddo teorico, e non un pastore, cosa che appunto cercavo di smentire.

Cordialmente. Gianfranco Ravasi.

Questa risposta vale anche per il dott. Alberto Michele Di Carlo, che propone un SOCIALISMO CRISTIANO.


Dott. Franco Penza


ID: 5750  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 21 maggio 2007 Ore: 09:31

IL CITTADINO E LA COSCIENZA POLITICA

Dopo aver assistito a spettacoli poco edificanti, quali crisi e crisette comunali, è venuta spontanea alla mente la domanda:”Sono gli eletti che sbagliano o siamo noi elettori a non saper scegliere gli uomini idonei a governarci?” Alla nostra Democrazia, il tanto decantato potere di popolo, non si possono in fondo addebitare molte colpe: è un partito giovane ed occorre ancora tempo perché possa dare buoni frutti. Ma non intendiamo parlare di questo; intendiamo accennare alla coscienza politica di ognuno di noi, della quale non ai parla mai ed invece se ne dovrebbe discutere sempre.
Sono comunista perché lavoratore; liberale perché capitalista: queste espressioni dimostrano apertamente la mancanza totale di idee chiare. L’80% dei comunisti non sa neanche lontanamente chi sia Marx o Eghel e su questo non temo smentite. Essi si lasciano trasportare, nient’altro. Ma niente di più errato. Vive ancora nelle servette, donnette, vecchi la paura dei partiti di sinistra. L’Italia avrebbe assolutamente di una dittatura. Non si sceglie il partito di destra sol perché in esso milita un ex collega di banco; quindi non ha ragione di vita la assurda idea del cittadino elettore, che guarda l’uomo amico e non il futuro reggitore della cosa pubblica.
E’ eletto quasi sempre Tizio, il quale non ha risolto mai problemi né per se, né per gli altri, manca di cultura, è taccagno, perciò il suo scopo precipuo è mettere da parte un bel gruzzolo per la vecchiaia; infine ignora tutto ciò che dica diritto amministrativo. Non siamo noi a scegliere; sono essi che scelgono l’elettorato, nel quale vive e vegeta l’ignoranza. Ecco perché assistiamo a ributtanti spettacoli di continuo. Una volta sola ho notato Sempronio e Caio, tradizionalista per eccellenza, rassegnare le dimissioni solo perché il loro partito aveva accettato nelle sue file un voltagabbana, che, militando or nell’uno, or nell’altro, ha sempre osannato a questo e calpestato quello e viceversa, quando il caso richiedeva, ridicolizzandosi senza vergogna e senza decoro.
In piazza si chiacchiera molto, ma si edifica poco; verba volant! E sapendo ciò i suddetti profittano della labile memoria dei cittadini e se ne ridono, propinando a tempo debito la buona dose di veleno.
Come possono non generarsi e rigenerarsi crisi e crisette comunali e nazionali? Come può formarsi una coscienza politica il cittadino, spettatore di arrivismo, nepotismo, clientelismo, di beghe di partito, dividentesi in gruppi, sottogruppi e via dicendo? Siamo troppo giovani per giudicare il passato regime, ma in tempo per dire una parola sul presente! Ripeto: coscienza politica.

Dott. Franco Penza 1964 da “Risveglio Sociale”

Quarant’anni fa scrissi queste note sull’onda anomala della disoccupazione italiana e del poco credito che davamo ai candidati dell’epoca, mentre io provai sul palco a cadere in una rete politica. Oggi che cosa scriverei? La domanda la passo al prof. Sarcone per il suo commento per la mia bocciatura, ricordandogli che i suoi predecessori al Liceo Genovesi bocciarono Benedetto Croce.



ID: 5748  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.it  - Data: domenica 20 maggio 2007 Ore: 12:38

Caro Italo,
L'argomento che hai proposto è molto serio e radicale. Quando si ha a che fare con potere e consolidamenti multinazionali si ha poco da sperare.
Che fare?
E' come dire: viviamo in una zona geografica sismica e vulcanica, che fare?
Tutta la cosa si concentra nel classico dualismo bene-male, eterno e indivisibile.
La giustizia e l'uguaglianza tra gli uomini si è rivelata ad oggi la maggiore utopia.
Non ci rimane che la speranza dove i corsi e ricorsi della storia vertano a far abbassare il piatto del male della bilancia. Non è rassegnazione quando il male è irreversibile, ma amara constatazione.

Luigi


ID: 5742  Intervento da: ciro Adrian Ciavolino  - Email: ciroadrian@libero.it  - Data: sabato 19 maggio 2007 Ore: 22:04

Grazie, ma io sono soltanto un piccolo cantastorie di paese. Auguri

ID: 5741  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: sabato 19 maggio 2007 Ore: 12:23

La redazione di Torreomnia è onorata di averTi nel suo Forum.
Sei una persona di cultura conclamata e autore di siti straordinari come si vede dai link fornitici.
Spero che la Tua proposta di discussione, interessantissima, abbia un seguito. Invitiamo il Dott. Franco Penza, Il Dott. Ciccio Raimondo, l'Ing. Argenziano, il Maestro Ciavolino ed altri ad aderire anche tramite uno snellimento delle argomentazioni.

La redazione


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