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Argomento presente: « LENGA TURRESE AMPLIATO »
ID: 5686  Discussione: LENGA TURRESE AMPLIATO

Autore: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 9 maggio 2007 Ore: 19:08

Salvatore Argenziano ci invia i primi tre files della LENGA TURRESE NEW:

www.torreomnia.com/Testi/argenziano/Dizionario_pdf/set_fra_dizionario_pdf.htm

Tratto dall'introduzione dell'edizione web Torreomnia del 2002:

IL CASO ARGENZIANO
Argomentando di "Salvatore in quel di Bologna", slogan, questo, a cui sono affezionato, mi viene spontaneo dire "il caso Argenziano". Caso perché egli rappresenta l'emblematico incontaminato in una essenziale sfaccettatura della rosa di problematiche dell'area vesuviana, nella fattispecie il malore endemico: edonismo-egotismo di una Torre del Greco allineata alle città italiane con un reddito, sperequato, s'intende, di gran lunga superiore alla media nazionale e condizionata da specifici masi chiusi artistici, economici di settore.
Eventi negativi che calano la qualità della vita compromettendo solidarietà, altruismo, disponibilità, in una parola la napoletanità.
Il "caso Argenziano" è visto tale perché dimostra come la perdita di pregi morali, elevatezze d'animo ed altri valori, dipendono più da un fatto endemico geografico che da cause epocali di etnicismo di respiro più ampio o, addirittura di vastità planetaria.
Torrese DOC, (e mi piace ripetere alla De Curtis: torresi si nasce e lui lo nacque), Salvatore Argenziano con la sua collaborazione incondizionata a Torreomnia, tiene alto il vessillo del torrese vecchia maniera, quello della parola mantenuta o della solidarietà, della disponibilità; il torrese dei baratti sui ballatoi di "a laccia e putrusino"; quello della "napoletana fumante" che penetrava usci, porte e portelle di architettura spagnola, oramai quasi totalmente falciate dalla ricostruzione.
Per il nostro concittadino il "tempo torrese" si è fermato nel momento in cui mise piedi fuori la Porta di Capotorre; ideale pargolo imberbe con alcuni anta, rivive oggi nitide le processioni profuse d'incenso e di afrore degli anni cinquanta, le pollastre dei poveri (pullanchelle) fumanti lungo il ciglio delle strade, i cazzabbocchi della Carmenella, i ceci e i semi di zucca tostati dei miraggi hollyoodiani di celluloide dei Gradoni e Canali.
L'evocazione nei "RICORDI" rivela i primi turbamenti giovanili dell'autore causati dai tedeschi e dagli anglo-americani. Una "Recherche", tuttavia, poetica, metricamente libera, quindi descrittivamente più autentica.
La Torre del Greco di mezzo novecento insieme a Salvatore Argenziano sono l'idillio, due pargoli amanti, castigati dal sortilegio dell'amore indissolubile, una Giulietta e un Romeo divisi da un destino incontrastabile, ma uniti per sempre nei precordi
Il torrese, in genere, che vive fuori porta (nella fattispecie di Capotorre) idealizza e sublima la Patria del Corallo, soggiace alla nostalgia e al lucore soffuso dei ricordi e questo lo risolleva dal giogo delle problematiche epocali attuali dell'area geografica che lo ospita. Dietro questa molla Salvatore Argenziano ha donato ai suoi compaesani, tramite Torreomnia, tre gemme, per il momento: "Ricordi" e il "lessico torrese-italiano", e "Gastronomia, che spera di ampliare con la collaborazione fattiva dei concittadini.
Dal primo componimento si evince la lirica che scaturisce dalla componente onirica, prevalente sul fatto epico, eventi, date, bombardamenti, sfollati, eruzione, ecc.
Tuttavia una storicità a mezza strada tra la storiografia e la cronaca, come fatto descrittivo, ma tutto diafano, incerto e sicuro insieme, come l'uomo, come un pensiero lontano, come un romantico, perduto amore.
Una prosa in versi e dei versi in prosa, quelli di Salvatore Argenziano, che descrivono e sottolineano non già solo l'accaduto, ma la velata apprensione dell'accadibile che coinvolgono esistenzialmente la sfera affettiva di ogni genere di lettore, fuori del tempo, fuori del luogo, fuori della realtà, perché coinvolgono il dilemma eterno dell'uomo, animale sempre ossessionato dai dualismi male-bene, amore-odio che allignano soprattutto nei conflitti bellici, specie quello descritto appunto dall'Argenziano.
Ma, forse senza saperlo, o semplicemente perché egli vive fuori Torre, le note amare del racconto, le bassezze e lo squallore di una guerra così malapartianamente devastante hanno nociuto soprattutto non già solo sul morale quanto la moralità dei vesuviani; Argenziano, quindi, vedeva preannunciato quello che poi si doveva rivelare: quel certo degrado, come ho detto, della qualità della vita nella cintura vesuviana, come una cancrena morale mai sanata, ma consolidata dalle leggi spietate del business, dei mass-media-grancassa, dei feroci pseudo modelli sociali propinati indiscriminatamente e gratuitamente anche in un'area sociale che adoperava panacee e toccasana come le icone dei Santi, e gli scongiuri in un unico ibrido rituale.
La nostalgica descrizione dei "Ricordi" si ricuce diritta alle odierne guerre dell'animo umano, tra le stesse mura domestiche, tra lo stesso condominio, tra la stessa città. E' importante leggere lo spaccato descrittivo dell'Argenziano che subdorava già una vaga idea di un probabile 68 il quale, insieme a giuste rivendicazioni, ha causato un distacco troppo netto e repentino tra due generazioni favorendo, come dire, manodopera per i gestori dei mutamenti epocali in fatto di edonismo, consumismo, europeizzazione fino alla globalizzazione; mutamenti che saranno pure coerenti e consoni alle esigenze tecnico-scientifiche e demografiche attuali ma che hanno compromesso fino all'osso i tradizionali valori, i rapporti generazionali in un clima di totale incomprensione, confusione e disadattabilità e utopia rispetto ai modelli sociali.
La seconda fatica di Salvatore Argenziano è il "vocabolario torrese-italiano", un'opera meritoria che solo un torrese irriducibile come lui poteva stendere. Egli compie una minuziosa ricerca per i termini più reconditi. Un recupero di parole ed espressioni che vanno perdendosi nei meandri del tempo. Proprio perché egli, lontano dalla terra natia, quindi affatto contaminato, dicevo, dai malesseri endemici della specifica area vesuviana, poteva progettare e stendere con generosità, senza riserve e quant'altro di negativo per Torre del Greco.
Ribadisco quello che ho detto in apertura: "il caso Argenziano" sia antesignano per le vere iniziative culturali per Torre, fuori dai masi chiusi della cultura locale; lontano dagli individualismi dottrinari e dai feticisti della raccolta storica di notizie e foto, materiale spesso finito nelle pattumiere dopo le inevitabili dipartite a cui è predestinato ognuno di noi.
Non dimentichiamo le parole del saggio: "il dolore può bastare a noi stessi, ma per vivere veramente una gioia bisogna condividerla con gli altri".
Luigi Mari


 
 

ID: 5688  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: mercoledì 9 maggio 2007 Ore: 19:08

Altri lavori di Salvatore Argenziano pubblicati in Torreomnia:


www.torreomnia.com/Testi/argenziano/dizionario_mare/set_fra_dizionario_mare.htm

www.torreomnia.com/gastronomia/argenziano_gastronomia/frontespizio.htm

www.torreomnia.com/Testi/argenziano/ricordi.htm

www.torreomnia.com/Testi/spruloquianno/sprouloquianno.HTM

www.torreomnia.com/Testi/argenziano/quartiere.htm

www.torreomnia.com/Testi/falanga.htm

www.torreomnia.com/gastronomia/piatti_napoletani.htm



ID: 5687  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: mercoledì 9 maggio 2007 Ore: 18:07

Id. 2771
POESIE ARGENZIANO

E' stata inserita in Torreomnia la prestigiosa, sia pur breve raccolta di poesie di Salvatore Argenziano.

www.torreomnia.com/Testi/argenziano/poesie/set_fra_poesie.htm

Non è mia intenzione tessere una nuova apologia a Salvatore Argenziano; ma sento l'obbligo, nella poliedricità del cultrore che ben conosciamo, di cogliere l'essenza di questo inaspettato nuovo veicolo di drenaggio dei sentimenti del Nostro, conosciuto come linguista, glottologo, insomma prevalentemente studioso di vernacolo.
Solo apparentemente si colgono di primo acchito, nei versi, oggetti, strutture, pietre, natura, in una parola la materia ambientale vesuviana rappresentata dai suoi odori.
Poesia, dal greco "poieo", sta a significare il fare artistico. Questo è un modo di esprimersi del poeta, che, lasciandosi trasportare all'infinito dall'immaginazione e abbandonandosi all’incanto, fa sì che la “verità” si manifesti.
Salvatore Argenziano, intanto, non ha saputo scindere contenuto ed estetica e ha fatto di melodia fonica vernacolistica, senso olfattivo, reminiscenze, precordi e rimembranze tutto uno.
Ma il poeta espone la sua di verità. E' la condivisione più ampia possibile di queste vibrazioni dialettali che determina la valentìa dell'autore e la fortuna dei composti anche semplici ed opali come ostie del pensiero.
Ogni poeta, ogni vero poeta, è un “puro ascoltatore” e quando il suo essere “in ascolto” trova corrispondenza tra ciò che “urge” e “sussurra” dentro di lui e ciò che chiede di essere detto, allora si può dire che crea.
I versi di questa raccolta apparentemente espliciti sottintendono una scenografia di vapori diafani quali solo la fantasia e l'onirico possono trarre dall'olfatto.
Poesia da sentire, poesia da vedere. Ora poesia da fiutare per rinverdire la memoria.
Quasi una finzione, un disinganno ingenuo perpetrato dal tempo a se stesso prima che al lettore, che produce nel suo stato poetico partenopeo sensazioni come il piacere, la felicità, estremamente non già trasmissibili, ma inoculabili, come un antitodo contro le ansie quotidiane.
Salvatore è entrato in questa ottica giocoforza. La lirica reale sta nei muri, nella pece, nella salsedine, nei pollini; egli ne è la custodia mnemonica, la memoria biologica.
Un poeta rumeno contemporaneo dice: “... una poesia non ha metafore, tutta la poesia è, in se stessa, una metafora”. Argenziano sfata questo assioma. I suoi versi sono musica e ritratto lineare, di significato estremamente espliciti, ma di grande efficacia lirica.
Infatti la traduzione a fronte dei versi pur contenendo i significati tattili e fotografici rivela la didattica della chiosa, cioè discorso, o ragionamento, o comunicazione, in cui prevalgono elementi di ritmo, cadenze, ripetizioni, immagini che alterano i significati immediati delle parole e che gli conferiscono anche contenuti interiori; ma scompare il contrappunto del variegato artistico, la pasta di miele vesuviana sotto il palato dell'anima che solo l'infanzia perduta e la lingua parlata materna trasmette nel lettore come afflato lirico. Egli stesso recita:

Quando il ricordare è gradito
i sensi tutti fanno a gara
nell'esercizio della memoria.
Il più discreto è l'olfatto.
Chiudo gli occhi
ed aspiro profondamente
e ritorno dov'ero una volta.

Salvatore non ricerca né si sottopone al giogo dell'artificio, non intende dire qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente, pur di fare sensazione. Nemmeno cade nella trappole della nostalgia. Nessun effetto coreografico che distrae. La funzione naturale dei suoi versi sono il riposo, la dolcezza, l'amorevolezza, il trasognamento.
Pur operando secondo i canoni odierni sotto l'assenza di metrica, non compie lo sforzo dei vistosi versi molto ritmati, molto connessi da assonanze o da omofonie, con la prevalenza di una dimensione fonica o ritmica da sensazione.

Salvatore vi contrappone una poesia senza rime, con ritmi meno insistenti, con pause ritmiche meno folte, ma soprattutto senza pathos creativo. Argenziano scrive:
Fa ampresso,
priésto.
Vintun'ora è già sunata;
sta pe fernì' a jurnata.

Se confrontiamo il Nostro con una delle poesie più famose del mondo di Quasimodo:

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Notiamo la magistrale naturalezza espressiva di Argenziano, con buona pace di Quasimodo, che, pur non cadendo nelle metafore esistenziali e psicologiche del grande poeta scomparso nel '68, non impone un significato metaforico chiaro, indicativo, ma vago, evanescente, al punto da miscelare sentimento ed esteriorità senza l'artificio del mestierante, senza nulla togliere al grande autore di "Ed è subito sera".
Dipende dal lettore e dal suo stato d'animo, dalla sua cultura interpretare i versi come: "un giorno che è trascorso e la serenità del riposo notturno" oppure come "Il "giorno della vita" che si avvia alla cosiddetta "discesa della china" dell'esistenza.
Mentre il significato di Quasimodo è inequivocabile, pur se magistralmente imbroccato ed universalmente riconosciuto, quello di Argenziano non ostenta tormento e culturalismo, ma comunque l'autore si rivela valido portatore di un suo particolare modo di intendere la vita e la realtà vesuviana nel tiepido crepuscolo dei ricordi, con un suo personale punto di vista, non trascurando l'ispirazione, che nel suo vernacolo corallino, si manifesta ora come domanda ora come risposta, è anche, provocazione d’amore, perché richiama il poeta fuori da se stesso.
Il temperamento di Argenziano si rivela in questi versi. La sua poesia non vuole comandare, non vuole persuadere, non vuole indurre, non vuole dimostrare. Certamente la poesia finisce con l'imporsi, anche se subisce, come qualsiasi monologare, ma riesce ad imporsi questa volta solo con l'autorità dell'istituzione letteraria che essa evoca o rivive, quella umanistica e romantica da cui Argenziano imbeve per formazione culturale degli anni 50, con l'adempimento di un rituale, di un cerimoniale che inevitabilmente si associa ad una scuola, pur senza volerlo.

'Naddora i maletiempo. Mo
m'arravoglia. Pare tanno.
Salata comm'a chianto
e nneglia sbentuliata
a rusca 'i mare nfracica
vasuli niri e petturate
e 'nfosa spercia i panni.

E qui la materia e l'olfatto sono solo un pretesto per definire con parole i moti dell'animo.

Molti sanno che Goethe vecchio affermava:
"Quando si hanno delle cose da dire si dicono in prosa; è quando non si ha nulla da dire che si scrivono poesie".
Detto da uno che ha scritto migliaia di poesie la cosa sembra incomprensibile, o quanto meno altolesionistica. Invece proprio con l'assenza di scolastica nei versi di Salvatore abbiamo una chiave per interpretare la locuzione di Goethe.
La poesia non necessariamente deve "dire", ma soprattutto anche solo trasmettere sensazioni, sentimenti, umori, ricordi, nostalgie, in ultima analisi: amore.
In altre parole si può dire che anche la poesia più apparentemente privata, autobiografica, chiama in vita una parte della coscienza collettiva, soprattutto nell'estroversione partenopea connaturata, e allude al valore non individuale del linguaggio, produce un senso comune, almeno per quelli coinvolti in tale etnia, in tale campanile, nella fattispecie vesuviani.
Argenziano propende per i componimenti di facile comprensione, limpidi, cristallini. non solo perché la poesia, per tornare ad essere fruita ed apprezzata dal lettore medio, deve essere, appunto, chiara, di facile approccio, comprensibile.
Pensiamo alla povertà dei mezzi, in fondo, di cui si serve la poesia: carta e penna sono sufficienti per realizzare un ipotetico capolavoro.
Il nostro poeta è celato nella sua immagine puerile sulla copertina de '"a Lenga turrese" coi suoi boccoli d'oro, il suo candore da comunicando. Sin d'allora Egli sa, per sua fortuna, che la poesia è una carezza, un bacio, uno sguardo, una tenerezza!, E' poesia un fiore, una goccia di rugiada, l'arcobaleno. E' poesia l'amore, quand'esso frantuma l'incomprensione, o peggio l'invidia, l'odio ed il rancore che ottenebrano la razza umana.
Umori, suoni, contatti, visioni, eventi, raccolti nel PROFUMO dell'infanzia lontana, che ha scavalcato il destino nel suo torto di farci crescere e finire.

Luigi Mari


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