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Argomento presente: « Così va la vita »
ID: 5569  Discussione: Così va la vita

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 31 gennaio 2007 Ore: 10:33

Sono in un luogo di paradiso: alberi intorno ad un tavolo, sotto un rigagnolo con trote. Il gorgheggio degli usignoli vibra ed esalta l’umanità degli amici, vicini più d’ogni altra cosa. In un esaltante panteismo, sei rapito dalla natura: ti senti un rettile guizzante, amaramente guizzante. La sorgente d’acqua pura immerge nel mistero della vita e della morte, che senti più vero, più vivo, più naturale che mai. L’agnello candido, vittima predestinata per un cibo per gli dei, ci ha raccolti, coordinati, ci permette di ritrovare l’essenza, copulato ovviamente dal bicchiere di Bacco. Grazie alla madre terra, qui più viva che mai, selvaggia, che mi dà la possibilità di ritrovare la mia essenza primitiva.

L’AMORE
Non è il caso di parlare del matriarcato. Sepolto da secoli. L’uomo che offre alla donna protezione, compagnia, calore, deve assolutamente e necessariamente ricevere affetto, comprensione dalla compagna, che ha scelto, poi se la sposa gli viene imposta, c’è un vizio iniziale sul quale ci sarebbe da discutere a lungo. Noi siamo esseri molto sensibili, amiamo le cose belle del creato e bandiamo la malafede. Se gli altri ci obbligano a non amare, vanno accantonati. L’amore è completamento, non annullamento L’uno cerca l’altra e la copula matrimoniale sta a testimoniare la raggiunta pienezza di comunione e non solo istinti bestiali. L’amore non è sofferenza unilaterale, è compartecipazione. Bisognerebbe tentare di frenare l'ingerenza degli altri, che si sentono in diritto di emettere sentenze e di dare consigli cattedratici.
La corsa al matrimonio va discussa: una donna sposa un uomo per amore o per avere il mezzo attraverso il quale poter ottenere il nullaosta dalla società per realizzare le sue aspirazioni, l’indipendenza o per annullare la fobia della solitudine? Bisogna ricordare che sulle nostre spalle grava un bagaglio d’ipocrisia, che incide su un rapporto franco e leale.
Ognuno porta dentro di sé tanti piccoli segreti. Dopo non vi deliziate nemmeno davanti alla bellezza dell’infinito. Non vi estasiate neppure ad osservare il mistero della vita. L’insensibilità nasce da una ribellione interiore, quando si ha la consapevolezza di aver smarrito per strada i veri valori dell’esistenza. Ecco dunque il rifugio nel tetto, che non ha niente di familiare. A questo compromesso non possiamo giungere, se non abbiamo la certezza che l’amore serve a completare una dimensione irraggiungibile da soli. Altrimenti è sopportazione, malafede, gelosia. E tutto ciò non è amore, ma inutile, momentaneo possesso e paura di perdere.

LA CARITA’
Tutti i giorni, un cieco è sulle scale davanti all’ospedale S. Gennaro. Tende la mano ai passanti. Stamattina impreca santi e madonne che pare un diluvio. “Che è successo?” gli chiedo. “Che deve succedere, niente. Mia figlia pretende che io chieda l’elemosina, perché non basta la mia pensione. Il marito, malato di spalle, sta al sanatorio. Essa tiene l’amante, al quale deve dare i soldi. Stava morendo sotto ad un camion, ma si è salvato. Lo faccio per le dieci creature e per non finire nel dormitorio pubblico. Dico io: Con quest’acqua potevo restare a casa, ma essa m’ha detto:”Jesce, ca ‘a gente quando chiove è cchiù disposta. Me servono ‘e sorde p’’a cambiale d’’o cumpare o si no ti batto, vecchio fetente!” Che puttana chella figlia mia: ogne semmane ‘n’ommo nuovo. Fate la carità al povero cieco, alla donatrice di sesso, al donatore di bacilli, all’amante e ai figli, riceventi passivi.

Dott. Franco Penza

 
 

ID: 5573  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: mercoledì 31 gennaio 2007 Ore: 10:33

Antonio Magliulo è il primo di otto figli di un capitano di marina.

Nel 1963 lasciò Torre del Greco per cercare l´avventura negli Stati Uniti

Il sogno americano è mangiare da Tony

Goffredo Locatelli cominciò come cameriere divenne presto direttore del ristorante e poi proprietario.

Oggi il "San Domenico" è famoso in tutto il mondo

"Gli italiani in cucina hanno la propensione e l´educazione naturale al gusto"
"Qui regole e leggi sono chiare e uguali per tutti. Nel nostro paese invece…"
NEW YORK - Le due signore che entrano nel ristorante hanno poco tempo. Sono dirette alla Carnegie Hall per uno spettacolo di danza classica e hanno deciso di fermarsi qui per una rapida cena leggera. Ordinano due antipasti e una generosa porzione di risotto ai funghi, più una bottiglia di eccellente Chardonnay. Cominciano con cubetti di tonno alla tartara e ostriche fresche impolverate nella polenta. La più anziana ha scelto i cannoli fatti di polenta, merluzzo, capperi e sale. Il risotto è un ossequio raro, come lo sono tutti i tre piatti. E come lo è la cucina del "San Domenico", ai cui fornelli è l´italiana Odette Fada, uno dei migliori chef di New York. Tony e Marisa May, i proprietari, danno un caloroso benvenuto a quelli che stanno già cenando e a chi è in attesa di un tavolo da occupare. Qui può capitare d´incontrare abitualmente celebrità del calibro di Michael Douglas o Catherine Zeta Jones, politici e governatori, oppure Larry Silverstein, il miliardario proprietario delle Twin Tower.
Il "San Domenico" è al numero 240 di Central Park South, tra la Settima Avenue e la Broadway, a pochi passi dalla Time Warner e dal Lincoln Center. Ha 20 anni di vita, e già appartiene alla storia della gastronomia di Manhattan del ventesimo secolo. Un primato che ha permesso al proprietario di finire sulla corta lista dei re della tavola, prima di passare il testimone alla figlia Marisa, una graziosa trentacinquenne che vi saluta con il suo sorriso irresistibile di Madonna. Se il "San Domenico" è famoso in America per il cibo italiano di alto livello, ciò si deve alla formidabile avventura del suo creatore. Parlate con chiunque abbia lavorato con lui e vi sentirete dire, in tono rispettoso, che è un grande personaggio. In Italia lo chiamerebbero don Antonio Magliulo, o magari commendatore, visto che il presidente della Repubblica gli ha concesso la commenda per il suo valore. A New York invece lo chiamano mister Tony May, che suona assai meglio.
Nato a Torre del Greco il 6 dicembre 1937, è il primo di otto figli di Ciro, un capitano di marina. A 26 anni, nel 1963, Antonio lascia Torre del Greco e se ne va in America. «A quei tempi – racconta – c´erano solo tre possibilità per vivere: lavorare il corallo, navigare o emigrare: io sono emigrato». E da anonimo emigrante è diventato il re della tavola.
La carriera è fulminante. Sbarcato a Manhattan, il giovane inizia a lavorare come cameriere al Rainbow Room, uno dei locali storici più conosciuti, situato nel Rockefeller Center. Nel marzo del ‘64, Tony è già maitre di sala e, quattro anni dopo, direttore del ristorante. Passano dieci anni e ne rileva addirittura la proprietà. Trasforma le sale al 65° piano in un posto leggendario, ripristina una splendida dance room e apre un night che ospita i maggiori jazzisti americani. Nel 1986 apre un secondo locale, il "Palio", e due anni dopo il "San Domenico", considerato oggi il vessillo del Tony May Group. Ma non è finita: nel 1997 inaugura nelle Twin Towers due altri ristoranti: il "Gemelli" e il "PastaBreak" per la clientela indaffarata del Financial District di New York. Entrambi andranno poi distrutti l´11 settembre del 2001 con il tragico crollo delle Twin Towers. Fortunatamente, tutti i dipendenti furono evacuati sani e salvi. May si prodigò senza sosta per aiutare le squadre di soccorso con i rifornimenti di cibo. Un nuovo "PastaBreak" è stato poi aperto un anno dopo nell´E-Walk, in Times Square, nell´ottobre del 2002.
Sicuramente c´è tanto lavoro dietro il successo del ristoratore napoletano. Ma c´è anche una professionalità di alto profilo, una virtù che nasce da un´accoppiata d´eccezione: rigore e creatività. Oltre ai suoi cinque ristoranti, egli ha fondato anche due scuole di cucina, che gli hanno valso il titolo di commendatore dell´Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il suo impegno nel promuovere la nostra gastronomia.
È un freddo pomeriggio invernale mentre proseguiamo la chiacchierata, dalla cucina fa capolino uno dei giovani assistenti cuochi, ovviamente italianissimo. Vengono dalla scuola per cuochi che Tony ha fondato ad Asti e di cui è presidente, la Italian Culinary Institute for Foreigners (Icif) di Castiglione d´Asti, ubicata all´interno di un castello medioevale piemontese.
«Gli italiani in cucina mi danno qualcosa che gli americani non hanno, o hanno solo in pochi – spiega Tony – la propensione e l´educazione naturale al gusto: un piatto fatto da un italiano e assaggiato da un italiano mentre lo prepara, è diverso da uno fatto da un americano anche bravo, perché no, ma non educato naturalmente al gusto come solo un italiano può esserlo. Comunque, scegliere il miglior personale possibile per il proprio ristorante è sicuramente uno dei segreti del successo. Oltre al duro lavoro…».
L´espressione si fa più seria e pensosa solo quando Tony parla dell´Italia come del paese dove non andrebbe a lavorare. «Troppa burocrazia, troppe leggi fatte più per imbrigliare che per regolare, e poi una tassazione non uguale per tutti e spesso evasa. Anche negli Usa abbiamo regole e leggi, ma sono chiare, precise e valgono per tutti, non vi sono scorciatoie e vie di mezzo. Puoi chiamarti Rockefeller o Bush, qui se non paghi le tasse vai in galera. In America il successo dipende dal tuo lavoro e dalla tua onestà, senza tutte le contraddizioni che invece vi sono in Italia…».
Alla destra di May, siede la figlia Marisa. Lei ha iniziato facendo la gavetta giovanissima, come tuttofare nei ristoranti di famiglia per pagarsi il viaggio estivo in Italia, e passando per la cucina dove ogni mattina alle sei aiutava alla preparazione del pane. Oggi è general manager. Alla gestione altamente professionale del padre, Marisa ha aggiunto un tocco di femminilità: è lei che riceve i clienti in sala con un sorriso e una giovialità naturale. Marisa si è laureata alla New York University ed è una grande appassionata di teatro musicale e di musical. Ha anche curato il rinnovo dei locali e dello stile, rendendo il "San Domenico" più accattivante.
«I nostri clienti vengono qui per mangiar bene – aggiunge Tony – e noi offriamo loro la migliore cucina italiana, mi permetta di dire: la vera cucina italiana. Non italo-americana come spesso facevano altri connazionali che purtroppo non avevano la possibilità, come noi oggi, di far arrivare dall´Italia i prodotti di uso quotidiano: farine, pasta, olio extravergine di oliva, frutti di bosco, verdure fresche, certi tipi di carni e formaggi. I clienti vogliono mangiare bene ma anche sentirsi come a casa. Ho clienti che mi seguono da decenni e che posso considerare ormai come degli amici». Ogni mattina alle sette, in questo angolo del Central Park, si prepara il pane, si fa la pasta a mano, si preparano i dolci e le creme. Tutto sotto la supervisione di Odette Fada, pilastro portante del "San Domenico".
Parlando degli italiani, May smentisce lo stereotipo del napoletano poco professionale e scarsamente propenso al lavoro. Per lui «genialità, estro, originalità sono qualità innate del carattere italico, insieme a un forte accento individualistico, perché se insieme agli altri e come gruppo spesso non funzioniamo, come individui siamo capaci di qualsiasi impresa e lavoro».
Mentre a New York proseguono i lavori per costruire la Freedom Tower che andrà a rimpiazzare le Twin Towers, Tony May sta già valutando la possibilità di due nuovi ristoranti. Il proprietario della nuova torre, Larry Silverstein, ogni volta che viene a cena da May lo invita a ritornare lì con i suoi ristoranti. Perché sa che quest´uomo partito da Torre del Greco ha lavorato sodo per diventare il migliore nel suo campo e ce l´ha fatta: il "San Domenico", secondo la Food & Wine, è tra i 25 migliori ristoranti in America, e "Wine Spectator" e "Usa Today" l´hanno proclamato tra i 10 migliori ristoranti italiani degli Usa. Ma il Tony che incontriamo nel suo ristorante preferisce parlare della promozione della cultura gastronomica italiana, della sua scuola di cucina, piuttosto che dei suoi successi personali. Confessa però che padre e figlia vanno in Italia più volte l´anno per incontrare i fornitori, confrontarsi con colleghi e amici, e selezionare le materie prime per la loro cucina.
Il "San Domenico" fu aperto nel giugno del 1988: a un mese dall´inaugurazione il "New York Times" gli assegnò le "tre stelle", riconoscimento mai dato prima a un ristorante italiano. Nello stesso anno la rivista "Exquire Magazine" lo definì "the best of the year", il miglior ristorante italiano in Usa. Fare sosta oggi in questo tempio di classe e raffinatezza significa aggiungere una tappa significativa a chi visita New York. La luce soffusa, i pavimenti in cotto fiorentino, le sedie in pelle e il servizio impeccabile fanno di questo locale a Manhattan uno dei più eleganti della città, in cui si gusta cibo italiano ai massimi livelli.
Tony May oggi viene descritto come l´uomo che più ha fatto per la valorizzazione all´estero del nostro patrimonio culinario. Una sorta di ambasciatore, e non solo negli Stati Uniti d´America. È la figura che più si identifica, oltre confine, con la cucina italiana di qualità. L´ex emigrante torrese ha fatto sì che i piatti portentosi delle nostre tante tradizioni venissero apprezzati nella loro versione migliore, ghiotta e fedele, da una schiera composita di avventori internazionali. «Sta provocando una rivoluzione: gli italiani scavalcano i francesi nel mondo della Haute Cuisine», scrisse qualche anno fa l´"Economist". Apostolo rigoroso del messaggio gastronomico del Belpaese, il ristoratore più famoso d´America ha ricevuto premi e onorificenze di ogni tipo, ma ha anche intrapreso iniziative didattiche, culturali e umanitarie spingendo tantissimi addetti ai lavori e appassionati a partecipare alle molteplici iniziative da lui indette.
Tutte le cucine tipiche del mondo sono rappresentate e radicate a Manhattan, dove si vede gente mangiare a ogni ora, e cuochi e camerieri lavorare e correre quasi come Charlot nel film "Tempi moderni". Fu partendo da questa immagine che un bel giorno del 1990 Tony May confidò ai suoi amici del Gri (Gruppo ristoratori italiani) di voler fare qualcosa per migliorare lo standard qualitativo della cucina italiana in America. Non passò neppure un anno e venne istituita la Scuola di Cucina Italiana per chef stranieri. Quest´anno Tony compirà 70 anni e da quattro decenni lavora sempre allo stesso scopo: migliorare l´immagine della cucina italiana.
Il "San Domenico", dove la ricerca del gusto e dell´eccellenza sono di casa, è uno dei pochi locali che in tutto il mondo hanno ricevuto l´insegna di Ristorante Italiano dal presidente della Repubblica. "Don´t miss this exciting opportunity to meet one of New York´s finest culinary artists" (Non perdete l´eccitante occasione di incontrare uno dei migliori artisti culinari di New York), ha scritto un giornale americano il mese scorso, riferendosi a Tony May.
Il sogno americano di Antonio Magliulo si è realizzato: ha insegnato a due generazioni di personale lo stile e la grazia e ha fatto conoscere a migliaia di clienti la fantasia, la genuinità e la freschezza che contraddistinguono la cucina regionale italiana.
(30 gennaio 2007)

fonte: espresso.repubblica.it/


ID: 5570  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 22 gennaio 2007 Ore: 15:12

Lettera al Capo dello Stato
Al Presidente della Camera
Al Presidente del Senato
Al Presidente della Regione Campania
Al Presidente della Provincia di Napoli
Al Sindaco di Napoli
Al Consigliere regionale Vito Nocera

La mia vita l’ho raccontata a fumetti ed anche il mio problema casa intendo rendere pubblico, perché di molte persone.
Il tema è “Il fitto” aumentato del 200% improvvisamente, senza una ragione.
E’ vero che l’euro è svalutato rispetto alla lira, ma ho pensato ad uno Stato comunista.
Se fino adesso si afferma che la proprietà è un furto, come si posseggono tanti appartamenti per i quali si raddoppia o si triplica la pigione ai poveri? Non trovo risposta. Proporrei un Referendum abrogativo della proprietà privata, salvata l’abitazione, in cui si vive, e, vista la situazione economica precaria, delle indennità parlamentari, delle pensioni da nababbi e del pensionamento anche per le eccellenze a 65 anni. Una proposta necessaria. Ho pensato ciò che avete sempre affermato e adesso al potere negate.
Chiedo scusa per il disturbo

Dott. Franco Penza


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