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Argomento presente: « POMPEI di Flavio Russo »
ID: 5475  Discussione: POMPEI di Flavio Russo

Autore: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Scritto o aggiornato: mercoledì 3 gennaio 2007 Ore: 17:07

Ier sera ho avuto la fortuna di avere nelle mani l'ultima "creatura" del nostro concittadino Flavio Russo. L'opera ha per titolo "POMPEI". Un volume di ben 25x35 cm. illustratissimo di quattrocento pagine scritto in italiano ed inglese con testo a fronte impaginato magistralmente dal figliolo Ferruccio.
Un lavoro davvero unico. Chi conosce la grafica sa cosa vuol dire impaginare un testo a fronte in due lingue con foto singole. Ma quello che è straordinario è la ricerca di Flavio dettagliatissima e non solo libresca, ma di prima mano a partire dai reperti fino alla costruzione realistica di essi, fino alla riproduzione descritta minuziosamente nel contesto storico-speleo-archeologico.
Il volume è già nelle sedi adatte in tutto il mondo. Malgrado l'argomento settoriale l'opera è divulgativa ed ha come fulcro la nostra Torre del Greco ad un passo dal cratere. Afferma Flavio che Plinio il giovane riportò le memorie dello zio circa la pliniana del 79 D.C. da Torre del Greco.
Quello che è straordinario è una la rivelazione di Russo il quale afferma che la pluralità delle vittime delle eruzioni esplosive è stata romanzata dalla letteratura e dal passaparola. In pratica il Vesuvio prima di eruttare dà il tempo di scappare, contrariamente, ad esempo, al terremoto, al maremoto, ecc. La pliniana del 79 D.C. non fece più di cento morti.
Torreomnia pubblicherà l'opera IN ESCLUSIVA.

Flavio Russo è un chiaro esempio di valentìa torrese non sufficientemente divulgata, non solo per la mole intensa e cospicua di lavoro letterario settoriale svolto, ma per il senso umano, umile, solare di presentare e presentarsi, raccontare e raccontarsi, indagare, scoprire, scrutare, analizzare con meticoloso acume, quasi nell'estremizzazione del dettaglio, nell'esasperazione del particolare, per amore e fede della storia e della verità storica, facendo di se stesso il tessuto connettivo tra archeologia e architettura; una venerazione del reperto, della pietra, della struttura, quali testimonianze inconfutabili del nostro, spesso, glorioso passato; riesumando, per riflesso, il substrato psicologico e soprattutto la natura, le radici del nostro caratteriale, quello un di popolo (come si suol dire) di poeti, santi e navigatori.
A prescindere dal nostro accreditato e affermato Flavio Russo non solo nei confini nazionali, la cultura locale spesso non evidenzia o trascura certi valori, penalizzando personaggi di ottima levatura, con i masi chiusi di certo razzismo diplomatico, e col "dannoso e annoso provincialismo" (inteso, purtroppo, non solo come goffaggine, impaccio e cattivo gusto, ma talvolta come inclinazione al livore, all'astio, alla rivalità, specie tra gli addetti ai lavori di determinata intellighentzia o di una cultura di stampo demagogico), atteggiamenti assenti in questi personaggi, come dire, "rieducati" o acculturati in etnie differenti, extra-moenia, predisposti ad una visione formativa, cognitiva e criteriale molto ampia, che spazia nel sociale, nella dimensione europea e via via planetaria. Trasporti e fervori negativi, invece, che allignano anche dentro le mura di città che vantano "intelletti" e valentie, dipanate sin dalla gloriosa imparagonabile Scuola Salernitana.
E quello che sconcerta è la diffusione, nei mass-media, del frivolo, dell'apparire e della "notizia", spesso inutile canard. Cosicché il furticello, la sniffata, le turbolenze civiche o le esplosioni della moda o pseudo-moda o i concerti dei big, diventano notizia e cultura di capillare dominio pubblico. Intanto milioni di persone non conoscono il nome di chi ha scoperto la penicillina, o di chi spende la propria vita sulle "sudate carte", per amore della cultura, per capire e diffondere il sapere, creando saggi e narrazioni atti, rispettivamente, a studiare o infiorire la materia fisica, ad esaltare o condannare, sublimare o ricusare il benevolo e l'iniquo della storia; per affondare, altresì, nella conoscenza delle nostre origini, cromosomicamente perpetuate nei secoli sino ad oggi e forse proiettate verso un domani speriamo migliore.
L'operato di Flavio Russo, ribadisco, è di notevole spessore culturale, e Torreomnia, apolitico, libero e indipendente, nella persona del sottoscritto, intende ulteriormente propagare. I lavori del nostro si allargano ad estuario nel campo della saggistica storico-architettonica o archeologico-ambientale, non solo partendo dall'ottica della storia militare. Ciò soprattutto perché le fatiche di questo prolifico studioso torrese beneficino tutti coloro che condividono con lui lo stesso amore per il sapere; senza il pretesto, qui, di intessere una edulcorata apologia ad un compaesano più o meno erudito.
I saggi di Flavio Russo pur essendo tecnicistici e settoriali rasentano un ibrido di saggistica e narrazione, ma quest'ultima solo apparente, subdorabile, non priva di sia pur sparuti accenni aneddotici altrettanto mimetizzati, non esplicitamente descritti, quasi tutto immaginario, intuibile, al di qua e al di là della penna: un canovaccio interiore ventriloquo e spontaneo, diafano e rutilante che non si legge ma c'è e si coglie come radi sprazzi di luce, sino, spesso, a sfiorare l'umanistico. E mi chiedo se di questo l'autore sia consapevole perché per nulla voluto, ma sentito, non strumentale, che esula da giochi di maniera o da tecniche scrittorie mestieranti. Quasi si evince uno stile letterario, anche se apparente, di solito inesistente, quanto meno desueto nella saggistica, ma che, questa volta, fonde la materia scientifica all'etica e alla morale e ad un sentimentalismo partenopeo non difficilmente riconoscibile.
D'altra parte, giocoforza, la "vena" è quasi un retaggio lirico nascendo tra mare e Vesuvio. Pargoli, con la brezza di Calastro o quella della talassoterapeutica litoranea, sia pur decaduta, col profumo amorevole delle pietanze materne fatte di profumate cime di rapa, scapece o melanzane e peperoni, toccasana per l'ansia cromosomica delle eruzioni. Ambascia "in cantina" ritualizzata da inconsce giaculatorie atte ad esorcizzare la catastrofe, inneggianti il vivere, insufflanti per alimentare le ultime fiammelle di romanticismo e poesia negli anta, per così dire, dotti.
Come si può, con tali presupposti, mettere mano alla penna e stagnare, ad esempio, nei confini asettici dell'ingegneria, punto e stop. In tal modo Flavio Russo sarebbe un "vesuviano pentito", un meridionale snaturato e non lascerebbe trasudare l'umiltà, il sorriso, il carisma e la bontà che, quindi, emana confabulando, con i suoi occhi intelligenti diritti in quelli dell'interlocutore, nel puerile atteggiamento dei puri d'animo.
I saggi di Flavio Russo si distinguono per questo alone di napoletanità o per la parente vecchia torresità, pur se vagamente percettibile, per questo più fantasiosa e personalmente interpretabile, ma che prende corpo e consistenza specie ne "L'oro rosso di Torre del Greco" oltre che, in generale, per la precipua prerogativa delle sue opere univoche nel settore.
I moti dell'animo della nostra maggioranza di popolo buono ci spingono ora a genufletterci ai tabernacoli, ora a sottometterci alla cabala, ora ad ammirare monumenti, antiche torri, vetusti castelli e fortini, non disdegnando il quotidiano nutrirci di pane cafone farcito di interiezioni, nella speranza e nella gioia di vincere il timore del Vesuvio, di casa nel DNA, da noi. Ciò perché persistano nei circumvesuviani reazioni difensive ed esorcizzanti, contro la temuta catastrofe, moti eterogenei o contrapposti: invidia, gelosia, aggressività, o amore smisurato per lo studio, per l'arte applicata, per la glittica, per l'imprenditoria. Sensazioni, consapevolezze e prese di coscienza delle più variegate, presenti, da sempre, perché secolare è l'ansia endemica ed endogena dello "sterminator vesevo", non di meno, pure, ad esempio, nella creazione di un falansterio, di una torre saracena; oppure nella progettazione di un bunker nazista, di una Villa Sora e una Terme Ginnasio, immortalate e conviventi gomito a gomito nella nostra Torre del Greco, perpetuandosi nei millenni.
Per questo i tomi di Flavio sono speciali perché egli è figlio di questo terreno igneo ferace e impietoso, generoso e ingrato, come i devastanti errori a fin di bene di molte mamme verso i figli, le quali, come diceva Nietzsche non li amano, ma si amano in loro. Ed è proprio l'amore-odio dell'uomo per questa terra, che ce lo ricambia, inconscio o consapevole, unico al mondo, che forgia e sventra la creatività, l'acume, la scaltrezza fino al nutrimento di un coraggio pari all'estremizzazione dell'incoscienza, nella sfida folle e immotivata che si regge solo su di uno sfrenato sentimento di palingenesi, di redenzione fino, in alternativa, alla catarsi salvifica post-mortale. Sono certo che questa chiave di lettura dell'operato del Russo e di tutti i torresi creativi non è una rivelazione del sottoscritto inedita e stravolgente, ma intuibile dagli estimatori delle numerose opere, dai militari del suo ambiente di lavoro, dai giornalisti della Rivista Marittima, dai suoi lettori.
Deferente verso Russo, questo infaticabile scrittore che insieme ai collaboratori tutti di Torreomnia e ai fruitori di esso, specie quelli fuori le mura, fanno riscoprire in me la gioia di vivere in quel meridione relativo alla nota "questione" mai risolta, alimentando altresì la smarrita fierezza di essere torrese. Ma mi vergogno come un ladro pentito, mi vergogno per la gratificazione, l'amore, la bontà, l'altruismo, sentimenti a iosa, trasmessomi di persona o per telecomunicazione da questi numerosi bravi, buoni, onesti torresi; mi vergogno rispetto alle migliaia di compaesani che pur essendo altrettanto buoni, bravi onesti, amorevoli non hanno modo, mezzo e luogo per ricevere questo ampio privilegio e beneficio dai concittadini stessi disposti e raggianti di torresità, insieme alla nostra aria salubre e al sole generoso vesuviano. Mi vergogno perché costoro, rispetto a me, non compenseranno mai ciò che talora subiamo dall'ambiente interno le mura, cioè cattiverie, gelosie, talvolta lordure. Vorrei dividere con gli altri, con tutti i torresi, fratelli in Torre, la gratificazione e l'amicizia disinteressata dei numerosi collaboratori ed estimatori di Torreomnia e la sua ampia utenza sfegatata, e non sentirmi solo vorace ed ingordo d'amore, d'affetto e di uno sviscerato campanilismo.

Luigi Mari

 
 

ID: 5476  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: mercoledì 3 gennaio 2007 Ore: 17:07

Vedi alcuni lavori di Flavio Russo pubblicati in Torreomnia :

www.torreomnia.it/Testi/flavio_russo_torri/copertina.htm

www.torreomnia.it/corallarte/flavio_russo/set_fra_ororosso.htm

La redazione


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