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Argomento presente: « Ricordi torresi del 1939 »
ID: 5122  Discussione: Ricordi torresi del 1939

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: domenica 26 novembre 2006 Ore: 13:10

SUOR ANGELICA

Lungo la corsia di un ospedale si udiva assillante il rombo dei cannoni e si distingueva per il suo zelo una buona creatura: Suor Angelica. Solo lei capiva il dolore, il gemito, e, instancabile nel suo dovere, meditava il SS Rosario. A sera tutti i combattenti le s’adunavano attorno e, malgrado l’affannoso lavoro che avesse da svolgere, ella trovava sempre modo e tempo di raccontare qualcosa di brioso, di divertente; e il suo dolce favellar leniva molto quei cuori affranti, reduci di grandi battaglie, in cui avevano sparso il loro sangue per gli alti destini della Patria. Fuori dell’ospedale i poveri attendevano l’ora del pranzo per avere la razione che lei ben lieta offriva.
Ma un giorno, triste per tutti, giunse un ordine di trasferimento: la suora fu destinata là, dove spietato era il nemico, dove i soldati a prezzo della vita combattevano per la grandezza d’Italia. Accettò senza esitazione il compito affidatole, ma i suoi occhi si velarono di pianto. Il giorno seguente un baroccio sostò nel piazzale dell’ospedale;: tutti piangevano e, mentre lei montava sul veicolo, io, a nome di tutti, le porsi un mazzolino di viole: segno della nostra riconoscenza. Addio, suor Angelica! Gridavano i soldati. Addio, rispondeva la suora, singhiozzando: addio, mie margheritine! Addio, colli dorati; addio a tutti! Lungo il sentiero roccioso che menava a valle il baroccio s’avviò, dileguandosi tra il verde della pianura.
Questa scena di un meriggio d’autunno, quando le foglie appassite cadono dagli alberi come cadevano lagrime, è sempre impressa nella mia memoria, riabbellita ancor di più dal passar degli anni. Il veicolo raggiunse la stazione: la suora ne discese, salì sul treno e si trovò tra soldati, pigiati, partenti per il fronte, i quali pochi attimi prima avevano salutato le mamme, le spose, i figli. Essi partivano per un dovere sacro; forse partivano e non ritornavano…La guerra annienta, distrugge gli affetti più cari: è un implacabile travolgere di cose.
La buona suora raggiunto il fronte, s’avviò all’ospedaletto da campo, ove un sanitario e pochi infermieri dirigevano quel caos. Ed anche là ella si distinse per il suo coraggio e per le sue impareggiabili virtù.
Dopo anni di strazio, la guerra finì. Tornai a casa, mi recai al distretto militare e domandai di Suor Angelica. Mi fu risposto che la corona degli eroi era sul suo capo. Era là, dove aspettava meritatamente il grande premio. Piansi a dirotto, e chi non avrebbe pianto! Nelle sere stellate guardo l’infinito cielo e, scrutando, noto un astro che brilla sempre più, un astro che insegna ad amare e ad aiutare chi soffre: è la stella della bontà, a nome Suor Angelica: esempio di eroismo, di abnegazione, di sacrificio.

L’ospedale era in Africa, in Abissinia, dove ero militare richiamato. Dopo anni, lavorando al cinema Corallo, porsi un fascio di fiori all’attrice drammatica Emma Grammatica e per il gesto che ripetevo ricordai suor Angelica, mio custode nel terreno peregrinare.

Giuseppe Penza 1939

 
 

ID: 5131  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: domenica 26 novembre 2006 Ore: 13:10

QUANDO LA DIGNITA' E IL DISAGIO SOCIALE SONO FRATELLI

Giuseppe Penza, figlo d'Arte delle stesse origini di Eduardo, visse un anti-dopoguerra difficilissimo.
Se non ci piegassimo ad almeno qualche compromesso irreversibile forse saremmo tutti poveri.
Giuseppe non si piegò. Ma in un monovano degli Zoccolanti a Torre del Greco la sua famigliola mangiava pane raffermo e dignità, fino, grazie a Dio, al riscatto sociale definitivo.
Il suo errore fu piantare le tende in una cittadina ricchissima, dove c'è una barriera altissima tra ricchi e poveri dove la sperequazione del reddito è numericamente a metà, grazie alla tramontata ricchezza capillare del mare, e l'incrinatura di "capitale economica indiscussa del corallo", almeno nei ranghi della manodopera. La cui conseguente crisi economica ha favorito fenomeni eslege di una sensibile pruralità ed un modello sociale mediatico epocale dannoso per chi è costretto a perdere agi e benessere.
In un clima di tale dissociazione campanilista i primi a cadere sono i sentimenti di altruismo e solidarietà con l'ossessione di recuperare a tutti i costi.
Questo non significa che tutto è perduto, grazie ai corsi e ai ricorsi storici. Ma una vita individuale non basta all'insorgenza di mutamenti socialmente ed eticamente positivi. Spesso la stasi condiziona il meglio della citta in un disorientamento che favorisce la teoria dello struzzo.
Luigi Mari

La storia per sommi capi del dott. filosofo Franco Penza:

www.torreomnia.it/Testi/penza_story/template/Sel_Img_Mouse6.htm

Sintesi della storia di Giuseppe Penza, l'autore di questa discussione, papà defunto di Franco:

www.torreomnia.it/Personaggi/Giuseppe_Penza/Gppe_Penza.htm

Tutte le poesie di Giuseppe Penza:

www.torreomnia.it/Testi/gius_penza/giuseppe_penza01.htm



ID: 5125  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: sabato 25 novembre 2006 Ore: 23:51

“PRIMO AMORE”
“Primo Amore” è una raccolta delle prime esperienze letterarie di Franco Penza, che segue ad Analisi-Sintesi, poesie napoletane ed italiane.
Il canto di un uccello ispirò in un tempo lontano, un uomo, che creò la musica, il bello, quindi l’arte, che divenne scienza, perché disciplinata da regole. Una nuova musica ho sentito, trasmessa non con i soliti strumenti a percussione o a fiato, ma con l’alfabeto. Non più note, rigidamente segnate sul pentagramma; non più il ritmo obbligato e matematico; non più pause, che creano all’improvviso vuoti tristi che fanno tremare; non più figure marcate d’incognite vesti nere. Questa musica è sospiro, lamento, leggerezza di un petalo, visione del cielo terso, calore di un infuocato tramonto, risata di una cascata, profumo di verdi valli, fruscio di foglie, mormorio di un’onda, preghiera e speranza di una madre. Lo strumento è una penna, che tra le dita volteggia, come una ballerina, sul foglio e canta e suona il mare, il tramonto, i fiori, gli animi. La contemplazione del mistero della vita e della morte. L’immersione nella natura selvaggia, la proiezione della propria immagine nel nulla, la semplicità primordiale dell’uomo sono il linguaggio musicale di Franco Penza, che arpeggia per noi, che abbiamo bisogno di purificarci, di dimenticare, di rinnovarci.

L’ABBRACCIO DEL FAITO
Il tempo scorre lentamente, la continuazione della vita e della morte. Strade su strade, pensieri su pensieri, curve su curve. Ci inerpichiamo sul Faito. Sta imbrunendo: il Golfo di Napoli offre una visone incomparabile, il sole dà luogo alla luna, le stelle conducono in atmosfera beatifica, in dimensione metafisica. Prima cirri, poi nembi. Un lembo di paradiso, che resiste ancora al cemento. Incorrutibile Partenope! Potenza di immagini, capaci di inebriarti. Le brutture, che affliggono questo nostro mondo, il compromesso, pane quotidiano, non accettato fortunatamente dalla natura, sono finalmente e gioiosamente calpestati!. Per un attimo dimentichi che l’uomo per vivere deve vendere la sua anima al migliore offerente; deve mettere al servizio del prepotente la sua inesistente personalità; deve cedere la sua tavola, i suoi figli…La legge della giungla è più operante che mai. Scendiamo. Le acque del mare sorrentino, ancora trasparenti ed incontaminate, invitano ad una immersione notturna. E’ un filtro magico. Tutto appare decisamente limpido, specie la psiche. Il mormorio dell’onda, che si infrange sulla sabbia, le gocce cristalline, che sembrano staccarsi dalla pelle per ripulsa, un pescatore che voga formano la poesia eterna. I bordoni addosso. La natura ancora una volta ha vinto. E vincerà sempre. Nella notte fonda ecco un lupomannaro, una, due, cento meretrici, invertiti, lenoni, ladri, rantoli, che sono esplosioni di gioia e di dolore…La continuazione della vita e della morte. Il tempo scorre lentamente…

La Torre - luglio 1976


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