Puoi anche Tu inserire qui
un nuovo
argomento

  Torna all'indice
Comunità

Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

Argomento presente: « INCONTRI FUGACI »
ID: 5104  Discussione: INCONTRI FUGACI

Autore: Vito d'Adamo  - Email: vda27@online.de  - Scritto o aggiornato: sabato 25 novembre 2006 Ore: 20:07

I ricordi, che seguono, sono brani di anedottica minore sulla gente di cinema e teatro, da me incontrata nel corso della vita; e desidero dedicarli ai concittadini, che operano a vario titolo nel mondo dello spettacolo, agli Autori, agli Attori ai registi, ai fans; e ad Angelo Guarino (ID: 5060), a Francesco Penza (ID:5049), all'amico irragiungibile, Vittorio Coscia, e - perché no? - a Cecchina Mari "non proprio godottiana" (ID: 5102). Sono stati momenti vissuti, di cui non resta altro in me se non l'ectoplasma di una Torre del Greco non più esistente, e d'altri luoghi.
____________

INCONTRI

Massimo Serato e Silvana Pampanini – C’incontravamo, Omero Sorrentino, inseparabile amico, fratello di Clelia, direttrice de “LA TORRE”, ed io, con l’attore, Massimo Serato, in un caffettuccio sul porto di Torre del Greco, nell’estate del 1948 o giù di lì, durante le pause della lavorazione del film “ ... “, al quale partecipava anche Fosco Giacchetti. A volte ci raggiungeva la vezzosa Silvana Pampanini e si trascorreva il tempo in conversazioni mondane, più che sul cinema.
Massimo Serato fu firmatario del mio famigerato “papiello” di neouniversitario, andato perduto, ch’era d’orribile visu e contenuto, tanto che l'attore non osò proporne la sottoscrizione autografa alla collega. La lavorazione del film, o delle parti girate sul porto di Torre del Greco, si concluse al “Corallo”, con la presentazione degli artisti al più chiassoso pubblico di scugnizzi che sia mai stato adunato, con grave disappunto degli spettatori più interessati e compunti. Fosco Giacchetti cercò di abbonire la vociante platea con una commovente lirica, ma riuscì solo a zittirla per qualche istante - volevano tutti la Pampanini - e dovette in fretta chiudere su di sé il sipario, non senza un vistoso segno di riprovazione per l’accoglienza riservatagli.

Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero - Un bel dì, capitò a Torre del Greco un tal Niso (Nicola Alfonso), spezzino, ospite di una zia. Conosciutolo per caso, Omero Sorrentino ed io gli fummo subito amici, attratti dal suo carattere allegro, pieno di brio, e dal suo destreggiarsi in ogni circostanza. Niso aveva avuto qualche esperienza teatrale con la compagnia di Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero e ce ne parlava spesso come del periodo magico della sua vita. Rientrato a La Spezia, non sapemmo più nulla di lui.
Quando due o tre anni dopo Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero misero in scena una rivista al cinema-teatro Corallo di Torre, intervistai i due attori (testo e foto andarono, purtroppo, perdute). Chiesi notizie di Niso, ma neppure Tognazzi ne sapeva molto, pur confermando che per l’addietro il comune amico aveva lavorato con lui in ruoli secondari.
Memorabili l’avvenenza della Masiero, pronta per una folgorante entrata in scena, e le risate, fuori programma in camerino, alle barzellette di Ugo.

Roma - Scontro in Via Condotti. Passeggiavamo Iffland ed io, quando fui investito da una meravigliosa donna, uscita con troppa fretta da una boutique.
Mi chiede scusa in inglese. Rispondo galantemente. La donna sorride, fila via e tutto finisce lì.
Mi fa Iffland:
- Ma tu, l’hai riconosciuta?
- So solo che era una delle più belle e affascinanti donne, che io abbia mai incontrato e ... scontrato.
- Era Linda Christian, stordito, la moglie di Tyrone Power! Puoi raccontarla: testimonierò in tuo favore.

1967/68, Roma: visione di Lola Falana in carrozzella, verso il Colosseo, seguita da sguardi e commenti romani di circostanza. Aveva appena interpretato il film: “Stasera mi butto”.

Eduardo De Filippo al Teatro San Ferdinando di Napoli. Fui fulminato dal suo modo di far regia, le braccia intorno al collo e la bocca incollata all’orecchio della sua “spalla” a distillargli la situazione come lui la vedeva e infondergli tempo e tono per le battute preparatorie delle “uscite del maestro”.
Ancora al San Ferdinando: la fece come Gesù contro i mercanti nel Tempio a disgrazia di malcapitate ballerine, che provavano nello stesso Teatro, ree di mettersi soverchiamente in mostra alla vista del fotografo, che m’accompagnava, mio cugino Nino Simeoni, e del sottoscritto, l’intervistatore.
Conobbi, poi, a Roma Doroty Pennington, la prima moglie di Eduardo Di Filippo, dalla quale era divorziato. Di Eduardo non si parlò mai, naturalmente.
Incontrai, infine, il Maestro all’ora di pranzo, sulla terrazza assolata di un ristorante in riva al mare, nei pressi di Latina. Ero con mia moglie Margherita e tenevo per mano mio figlio Alfredino di manco tre anni:
- Buon giorno, Maestro!
- Buon giorno a vui -, rispose con l’espressione distintiva della sua facies,apparentemente immobile.

Torre del Greco, Sergio Bruni all’Arena “Tina Di Lorenzo” - Serate memorabili, con pienoni, ai quali contribuiva la massiccia presenza dei contrabbandieri e venditori di “americane” del quadrivio Vico Santa Croce-Via Piscopia-San Gaitano-‘u Rio, dintorni e circondario vesuviano. Il cantante, si esibiva nei suoi melodici gorgheggi, sostenuto da incredibili assensi, subissato d’applausi e da richieste di bis da parte di una vera folla d’appassionati estimatori della canzone napoletana, di repertorio e fuori programma, come espressa dal Bruni. E se bis non seguiva – ma sempre seguiva – poteva mettersi anche male.
A tali manifestazioni Foffo Telesca non rinunciava mai:
-‘U vidite? Pur 'stasera c’è l’avvucato!

Alberto Rabagliati: una volta dovette dichiarare forfeit. All’Arena Di Lorenzo eravamo solo in tre: Foffo Telesca, Omero Sorrentino e il sottoscritto.

Renato Carosone – Domeniche al “Rosso e Nero” di Via Caracciolo a ballare con stupende impiegate all’USIS dalla puzza sotto il naso, ai ritmi dell’orchestra Carosone, diretta da Renato al piano; ed era ancora con lui Gegè Di Giacomo, che si dava parecchio da fare con il repertorio dell’epoca: “Canta Napoli!”, “Tu vuo’ fà l’americano” ecc. Era il tempo di Hélène Remy, irrefrenabile soubrette (lavorava nella conpagnia di Eduardo?) che si scarrozzava in Jip per tutte le strade, che a Napoli dopo una certa ora, era d’obbligo percorrere. Ahi, ahi, ahi... e, ancora: ahi, ahi, ahi! C’ero cascato!

Nino D’Angelo - Se riuscirò a trovare i resoconti dei miei incontri tedeschi con Nino D’Angelo, non mancherò d’inviarli.

Compagnia Stabile Napoletana del Teatro Sannazzaro (stagione 1986-1987): incontro con Luisa Conte ed Enzo Cannavale. Ho trovato il libretto, con vari autografi, de “Il morto sta bene in salute” di Gaetano Di Maio, dato a Napoli, martedì 30 dicembre 1986, ma non gli appunti. Peccato. Ho distrutto troppi documenti!


___________

Sono conscio di avere inquadrato in una reminiscenza sessantennale, episodi del tutto marginali, ma altro non ricordo, oltre la fragranza di lontani tempi giovani.

Nonnovito.
 
 

ID: 5121  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: sabato 25 novembre 2006 Ore: 20:07

Caro fratello maggiore Vito,
Dire a Te nonno da parte mia è improprio.
Beato il Tuo ottimismo. Sinceramente Ti invidio. La differenza che passa tra l'ottimista e il pessimista è che entrambi assistono, godono, subiscono ottengono, infine, perfettamente le stesse cose, solo che il pessimista ne soffre.

Vito D'Adamo scrive:

> Occorrerà, allora, muoverci tutti insieme; porre termine agli atteggiamenti strafottenti, superare le esitazioni, vincere le resistenze, respingere ogni paura; decidere sul da farsi e fermamente attenervisi >.

Vibro a queste parole, ma haimé, non ci credo più.

Domenica c'era Tua sorella in chiesa insieme al marito. Abbiamo ascoltato l'omelia di Don Filippo (86 anni, vispo e arzillo) che cade a fagiolo, come si suol dire:

"Mai odio e rancore, sempre scuse e perdono. No all'orgoglio e alla vanagloria. Se c'è astio o incomprensione tra fratelli non levate il saluto, non ignorate quelle persone. Avvicinatevi a loro con la testa alta e con il sorriso sulle labbra. Vedrete che non aspettano che questo. La prima volta vi eviteranno, la seconda diranno che hanno fretta, la terza vi sorrideranno e la quarta vi abbracceranno".

Fratello in Torre Vito, mi sarò perso qualche cosa? Mi sono rivolto a queste modello di persone non quattro volte, ma "quarantaquattro volte quattro" con ogni metodo possibile. Essere torresi è così univoco e irreversibile?

Dici dantescamente, in omaggio a Luigi Sorrentino > ...sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti...>.

La Torre dei buoni sentimenti è crollata, ancora di più e prima di quella di pietra vulcanica. Non è la città che langue, ma la napoletanità che si è dissolta lentamente fino a fare posto a tutte le debolezze epocali fino al totale degrado umanistico in maniera emblematica, dato il benessere economico pur se sperequato, al di là e al di qua del Gargano, ovunque prendano posto diversi vesuviani globalizzati.

Dici: > i veri Torresi hanno ormai fatto sintesi dei concetti, scolpiti nello scudo di Città ed espressi nella citazione dantesca. Li hanno succhiato col latte materno: sono divenuti il loro DNA distintivo. Prima o poi reagiranno>.

Già, forse dopo morti. Che belle parole, Vito, sei davvero il vessillo della speranza come dice Francesca Mari. Pochi si rendono conto che la vita è breve perché le sue varie insidie sono costantemente in agguato, per giovani e non giovani.

Mi fermo. Mi sento già un banale, retorico sermonista da pulpito rionale. Anche perché, volendo, sarei stato un cattivo prete, uno che razzola umanamente male, giocoforza, e ne è consapevole, per questo non osa predicare se non dietro un'ottica etico-morale laica, umanistica, almeno spero.

Che Dio Ti benedica. Quanti torresi come Te sono così inclini al perdono e alla riconciliazione? Quanti, dentro e fuori le mura sono disposti ad esporsi, a sostenere e lottare per una causa giusta, d'amore e di fratellanza, di solidarietà semplicemente urbane e campaniliste, senza scomodare la teologia e l'amore cristiano, estremamente difficile da conciliare con gli attuali canoni, soccombendo, invece, sotto il giogo dell'orgoglio, della megalomania e della tuttologia fino all'egotismo, prima ancora dell'antico egoismo?

Mi disse un giorno un compaesano fuori le mura, molto presente sulla scena culturale torrese: "Faccio tutto questo senza motivi di lucro, con l'unico scopo per cui, chi mi segue, mi voglia un poco di bene".

"Tutto questo". - La gente spesso ama quando si offre di leggere nel semplice libro della vita, senza ostentare in quantità e qualità libri di carta ed elettronici garrendo ai quattro venti virtuosismi e dottrine senza una volta, una sola volta, accennare la parola amore.
Mea culpa, loro culpa. Benedetta retorica, fammi dire: una sola sillaba, calda, umana, amorevole. Un solo lampo di luce nello sguardo, un silente dischiudersi di labbra. Nulla di più pretende l'amore fraterno, quello per la stessa gente, per il medesimo campanile.

Luigi Mari


ID: 5119  Intervento da: Vito d'Adamo  - Email: vda27@online.de  - Data: sabato 25 novembre 2006 Ore: 17:30

POST FATA RESURGO.

Caro Gigimari, cara Checchina, amici cari,

oggi la Città, in cui siamo nati e che consideriamo nostra non solo per senso d’affettuosa appartenenza, ma perché in noi la viviamo come alma mater, non deve più essere edificata ex novo sulle colate vulcaniche, ma nelle coscienze dei propri figli, progenie di gente dura, a tratti scontrosa, usa ad affrontare ogni rischio, per mari e per terre, e di conseguenza esercitata nel tentare, nel non mollare, nel superare gli ostacoli; a mortificare ingiustificate presunzioni e, tuttavia, disposta a riportare le ragionevoli aspirazioni a dimensione umana; a riconoscere a giusta misura il valore di un concittadino. L’analisi potrebbe proseguire ed allargarsi.
Si tratta, allora, di richiamarci ai nostri doveri, di recuperare le virtù dei nostri avi, oggi sopite per avvenuti mutamenti sociali, ma non defunte.
Il “Post fata resurgo”, di cui si fregia l’emblema della nostra Città, è proclamazione di certezza - perentoria al punto di escludere addirittura la speranza dalla sua lettura -, nel risveglio e nel rilancio dell’intero territorio urbano, com’è sempre avvenuto, non prima, però, che la cittadinanza superi, con estreme fatiche e sofferenze, i disastri e i disagi, in cui di volta in volta incappa. Queste tre parole ci accertano, nella loro essenzialità, addirittura se ne fanno garanti, della restaurazione civile e morale, come di un secondo riscatto baronale, di questa Città, che

...sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti...

e figuriamoci se s’arrende alle varie spazzature, di cui oggi soffre.
Non è, né vuol essere retorica: i veri Torresi hanno ormai fatto sintesi dei concetti, scolpiti nello scudo di Città ed espressi nella citazione dantesca. Li hanno succhiato col latte materno: sono divenuti il loro dna distintivo. Prima o poi reagiranno.
Occorrerà, allora, muoverci tutti insieme; porre termine agli atteggiamenti strafottenti, superare le esitazioni, vincere le resistenze, respingere ogni paura; decidere sul da farsi e fermamente attenervisi.
La sintesi fatidica può attendere fin quando avrà di nuovo raggiunto il suo effetto e testato ancora una volta la sua efficacia, proprio perché fusione di sensi e valori, scaturiti dai nostri intimi precordi.

_________

Cara Checchina,
mi colpisci a tradimento in seconda persona plurale. Capisco e molto apprezzo le tue ragioni, ma si era stabilito da tempo che a TORREOMNIA ci si scambia l’amicale “tu”; e, quindi, mi spetta anche da parte tua.
Ciao, nipotina acquisita.

_________

Saluti ed auguri a tutti da Nonnovito.






ID: 5109  Intervento da: Francesca Mari  - Email: stelle_di_stelle@hotmail.com  - Data: venerdì 24 novembre 2006 Ore: 22:35

Eh si zio,
quello che dici tu è vero, ma non deve ferirti… forse succede perché in te è vivo il ricordo di un tempo in cui questi aspetti di cui denunci la mancanza oggi (“l'assenza di solidarietà, di fratellanza, di altruismo”) erano più forti.
Perché, da quello che posso solo aver imparato dalla storia e dalla filosofia (con qualche briciola di psicologia), in un’epoca non molto lontana (adesso scavalcata dal turbine della telematica che, per accezione richiede velocità, sintesi, ottimizzazione dei tempi), quando il tempo aveva un significato, quando era possibile soffermarsi a prestare attenzione alle cose più semplici della vita, era possibile anche soffermarsi a guardare gli altri ( da cui derivava quella fratellanza di cui tu parli).
Adesso, invece, e noi giovani ne siamo gli “attori e spettatori diretti” il turbine (e parlo anche di forma mentis logicamente consequenziale a quelli che sono i ritmi sociali e che col passare degli anni, si rischia, diventino biologici) divora tutto, e forse gli stessi uomini, come sempre, non sono altro che le vittime di un carnefice cui essi stessi hanno dato alla luce.
Potrebbe sembrare una visione pessimistica ma l’accetto con tutta la serenità di questo mondo perché credo che a certi meccanismi sia impossibile fare fronte e che, a prescindere dalla situazione locale, è il mondo che va a rotoli e, soprattutto, quelle nazioni in cui (l’Italia fra tutte) il benessere ha prodotto “stasi” e “appiattimento” ( e con ciò mi ricollego all’identificativo in cui parlavo di Godot, e chiarisco che il mio “neologismo” godottino, secondo un ragionamento, forse, strampalato, è riferito ai tanti mediocri che popolano o guidano il mondo al posto di tanti superuomini che hanno fatto la storia, ovviamente con i relativi difetti umani) oltre che nevrosi generale.
D’altronde coloro i quali si sono barcamenati a comprendere i meccanismi della mente, insegnano che la nevrosi scaturisce dall’impossibilità dell’uomo di “esplodere” e cioè mettere fuori se stessi, fatti, come insegnano, invece, i padri dell’esistenzialismo, di “bene e male”.
E quando devi faticare per ottenere una cosa riesci a mettere fuori un po’ di più di “bene” rispetto al “male”, soprattutto per la capacità che acquisisci di dare un senso a tante cose che hai sotto agli occhi anziché masturbarti il cervello con inutili paranoie conseguenti alla condizione che ti vede inerte e col tempo di pensare (parlo di pensiero negativo perché quello positivo sia sempre benedetto) . Ma quando, invece, hai tutto ( e non parlo solo di condizione sociale, ma generale ed epocale): quel tutto che ti da il turbine del progresso (che è un po’ come il diavolo con cui fai il patto) e del benessere.
Beh! Allora è lì che frulla il pensiero negativo e da qualche singolo ( in altri tempi) adesso si estende alla massa, perché il diavolo-turbine facilmente conquista i più, è scatta il patatrac… e la violenza che l’uomo, per natura, deve poter esprimere, la esprime di continuo, tutti i giorni: dalle piccole violenze psicologiche che avvengono nelle famiglie ( dove anche parole dette, pensando, con affetto, possono essere lesive e dannose verso ricettori sempre più vulnerabili, quali i nuovi nati) fino ai livelli più aberranti che possano essere la pedofilia, il fenomeno dei massi dal cavalcavia e chi più ne ha più ne metta (la cronaca, purtroppo, non ci lascia a digiuno di scempi giornalieri).
E poi sgraniamo gli occhi di fronte al conflitto in Libano, come se la guerra non la vivessimo anche noi tutti i giorni. Un caro amico mio, con tendenze un po’ rivoluzionarie (radicate negli anni ’70 in cui ha vissuto la pubertà e in cui forse, c’era ancora qualche guizzo di fattibilità), ed una conoscenza storica impressionante, prevede ( in senso statistico ovviamente) l’imminente fine della civiltà occidentale.
Beh! Non so ancora quanto sposare la sua tesi, forse devo crescere ancora un po’, ma ( da persona meno rivoluzionaria, forse perché nata alle soglie degli anni ’80) credo che ci sia davvero poco da fare. E’ triste lo so, e qui (con la testa mia sotto i piedi suoi) mi rendo conto di spogliarmi un po’ delle “preziose doglianze” della Serao, ma è questa la realtà, è questa l’epoca in cui viviamo, è questa la forma mentis che (purtroppo o per fortuna) abbiamo ereditato, e la napoletanità più sana che è in me, quella Edoardiana di “Addà passà a nuttata”, mi porta a prendere le cose con una certa filosofia (forse sopravvivenza) cercando di rendere meno ardente l’inferno della quotidianità attraverso la gioia e il calore che riesco a trarre dalla cultura, dalle emozioni e da quel che di bello c’è nella vita.
Per questo, nonostante sia anch’io inviluppata nel turbine di cui prima, ammetto che trovare qui, anche se non tutti i giorni, ma nei momenti di predisposizione, un rifugio caldo e accogliente, fatto dall’abbraccio di quei pochi che parlano ( più o meno) la mia stessa lingua, mi riempie di gioia come sono sicura a te, Caro Zio, e per il resto non ci facciamo il sangue amaro: “Chi ha avuto avuto avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammece o passato etc. etc.”
Con immenso affetto e stima
Tua nipote


ID: 5108  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: venerdì 24 novembre 2006 Ore: 15:49

Caro Vito,
riporto qui la frase di mia nipote Francesca estrapolata dal messaggio in risposta del Tuo ennesimo racconto.
> persone come Voi che ancora mantengono accesa la fiaccola della speranza che, nonostante la realtà che abbiamo sotto agli occhi, di questa città non è proprio tutto perduto >.

Le doglianze di Francesca sembrano quelle della Serao in "Ventre di Napoli" in riferimento ad una "Partenope" ancora reduce da dominazioni, totalitarismi viceregnisti e tutto quello che di negativo stava a monte dei due conflitti mondiali le cui ricostruzioni facevano spazio ad un occidente ipocritamente democratico. Una libertà e un liberalismo camuffati, deleteri e corrotti.
Queste "nuove" doglianze di un degrado vesuviano e non soolo, insostenibile ai giorni nostri, poste a margine dei Tuoi ricordi, sono ancora più dolorose; ma, almeno in questa sede, la fiaccola della speranza è accesa dalla Tua voce, una delle poche disinteressate, echeggiante, in sordina nel tempo e nella distanza.
Grazie a nome di tutti i torresi liberi almeno dentro di se.

Quello che mi ferisce di più non è solo la massiccia problematica epocale ben conosciuta, ma l'assenza di solidarietà, di fratellanza, di altruismo che stagna ed isola strumenti di comunicazione ed espressione come un forum o quant'altro possa essere utile a sensibilizzare ed unire, a lottare e sperare.

Luigi Mari


ID: 5105  Intervento da: Francesca Mari  - Email: stelle_di_stelle@hotmail.com  - Data: venerdì 24 novembre 2006 Ore: 00:00

Carissimo Nonno Vito,
anche se non Vi conosco (e mi piace usare il Voi, e non il Lei, con tutta la carica emotiva e rispettosa che ne consegue) con una certa naturalezza Vi chiamo così, perchè, nulla togliendo ai miei nonni di sangue, mi piace immaginare di avere un Nonno acquisito, in un altro punto dell'Europa, col sangue, il colore e "quel che di bello c'era un tempo" della Terra in cui sono nata non molti anni fa.
E quel che c'era di bello, caro Nonno, io posso solo percepirlo dai racconti, oltre che dall'instancabile operato, di persone come Voi, come Zio e tutta l'elite intellettuale di cui si fregia questo Forum.
E dico questo con il cuore spaccato a metà: da una parte c'è il piacere, nonchè, l'onore, di potermi confrontare con persone come Voi che ancora mantengono accesa la fiaccola della speranza che, nonostante la realtà che abbiamo sotto agli occhi, di questa città non è proprio tutto perduto, dall'altra un gran rammarico e, visti gli ultimi risvolti di attualità, la realistica sfiducia nei sogni di rinascita e la presa di coscienza che della "Turris Octava" del tempo che fu, rimane solo un po' di cenere...quella dell'immondizia bruciata nei giorni dell'emergenza rifiuti.
Cinismo? No, realismo Caro Nonno e mio malgrado, (desiderio comune alla maggior parte delle nuove generazioni di Torresi che un po' si vogliono bene) voglia di andare via.
E' triste, lo so, una sconfitta. Ma io che ho conosicuto Torre tramite i Vostri racconti, e ancora mi emoziono, come adesso nel leggere dei Vostri 'Incontri Fugaci' al Porto, immaginandolo nel suo splendore di diversi anni fa. Io che quel Porto, ora, lo vedo arrancare e ansimare, mentre nelle sale consiliari o all'interno delle sale convegno degli ometti si "sbattono", e col pretesto di volergli dare un nuovo volto, cercano solo di guadagnare consensi. E, intanto, perdono 2 milioni duecentocinquantamila euro per la riqualifica dell'area costiera, mentre il Consorzio Corallium si scioglie e la nuova patria dell'Oro Rosso diventa Marcianise. Beh! Io, di fronte a questa lenta agonia, preferisco andar via e, come avete fatto Voi, Caro Nonno Vito, leggere Torre attraverso chi l'ama talmente tanto che vuole vederla morire...
Grazie per l'ascolto, non sono sempre così pessimista... heheheheeh
A presto e grazie ancora per i Vostri bei racconti
Checchina Mari


Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

 Ogni risposta fa saltare la discussione al primo posto nella prima pagina indice del forum. L'ultima risposta inviata, inoltre, che è la seconda in alto a questa pagina "leggi", aggiorna sempre pure data e ora della discussione (cioè il messaggio principale),
pur se vecchio.

T O R R E S I T A'

Autore unico e web-master Luigi Mari

TORRESAGGINE