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Argomento presente: « I FIGLI DELLA STRADA »
ID: 5068  Discussione: I FIGLI DELLA STRADA

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: domenica 19 novembre 2006 Ore: 13:43

1957. Appuntai lo scritto sui banchi della Scuola Tecnica “Colamarino” nel Castelluccio a Torre del Greco, distrutto da un’edilizia devastante, qualche anno dopo.

Accanto a me Enzo Giglio, Ciro Raimondo, Nando Amoruso, Peppe Vassallo.

In un misero vicolo della periferia di una delle tante città di questo mondo vivono i figli della strada rimasti senza il consiglio paterno e l’abbraccio materno; vale a dire senza quelle guide che servono ad ognuno di noi per poter divenire uomini adatti alla società. Un giorno, uno dei tanti trascorsi nella monotonia, mentre giocano, appare un uomo, vestito lussuosamente. Il gioco è fermo, tutti gli sono attorno. Egli desidera che qualcuno vada a lavorare nei suoi stabilimenti di tessitura. Diomede ed Egisto seguono il richiedente. Gli altri s’avviano alla stamberga.
Tutti a dormire, eccetto il bigotto, che resta sulla soglia, testa tra le mani, meditazione su meditazione. A sera già è pronto il piano per compiere il misfatto ai danni del benefattore. Geronzio esorta loro ad evitare di rubare. Deve accettare parolacce senza reazione altrimenti botte da orbi. Rimane ad aspettare. Vedendo in quello stato il ragazzo, un vecchietto, trovandosi di passaggio, si avvicina e dice:”Cos’è che ti tormenta, ragazzo mio? Sei solo forse al mondo? Se vuoi venire a casa mia, la porta è aperta”. Ilo bigotto abbraccia l’uomo e lo segue, piangendo. Mentre s’allontana, sente le sirene della polizia, che insegue i prevaricatori in fuga.
Ansanti, ritornano alla stamberga e s’accorgono della mancanza del loro amico; prima lo cercano invano, poi, dopo poco, hanno già dimenticato che tra loro sia stato il bigotto. A sera riunione generale: hanno saputo dove egli si trova e vogliono disturbarlo a tutti i costi. Geronzio, munito di canna ed esca, si reca al fiume. Lo zingaro lo ha visto avviarsi ed avvisa gli altri, che si tengono pronti. Un pesce sta per abboccare all’amo, ma uno spintone gli procura un bagno non previsto. Pazientemente, egli esce dall’acqua, mette ad asciugare gli indumenti e fa finta di niente. Un giorno mette in un tovagliolo ogni ben di Dio e si reca dai suoi amici. Ma appena entra un pugno lo stramazza. Il tovagliolo s’apre e per terra si distribuisce il cibo.
Tutti a mangiare, dimentichi del bigotto, il quale riavutosi salda il conto con l’antagonista. Tra i due si scatena una lotta violenta. Ma ad un tratto Egisto ha dei ripensamenti e, messosi tra i due, li divide. Il capo lascia Geronzio, comincia a picchiare l’altro. Intanto il bigotto sanguinante riesce a fuggire, ma ancora in cuor suo spera nella sua opera di salvazione. Era quella sempre umanità! Vengono inseguiti dalla polizia. Propongono a Geronzio di tenerli nascosti. Il bigotto non si rifiuta.
Ma anche qui i suoi colleghi organizzano un complotto ai suoi danni. Durante la notte l’immobilizzano, chiedendogli i beni della casa. Egli indica il cassettone con un cenno del capo e tutti vi si dirigono. Approfitta egli di ciò per afferrare una sedia ed incominciare a scagliarsi contro i presenti. Ma un coltello, partito dalle mani di qualcuno, lo ferisce gravemente alla spalla sinistra, lesionandogli un polmone. Accorre il “padre”, che lascia partire alcuni colpi, che non si vede, per l’oscurità, chi hanno raggiunto.
Intanto corre verso il “figlio”, lo solleva, lo pone sul letto e chiama subito un medico, il quale ordina il ricovero in ospedale per grave ferita da punta e taglio. La polizia è sulla strada dei responsabili. Li arresta e li pone nella galera, dove hanno il tempo di riflettere sulle loro malefatte.
I minori si rivolgono a Geronzio per essere ospitati nell’orfanotrofio da questi fondato per gli orfani. Ora di certo non ricordate più i figli della strada…e qui stavo proprio per indicare il paese…Essi sono in cucina, in giardino, ad insegnare…
Ma quanto giovani finiscono dietro le sbarre per sempre?

P.S. Questo mio scritto di quindicenne è il riporto fotografico di situazioni che in quegli anni si subiva per convivenze forzate in ambienti insalubri, e si sperava nella redenzione.

Ed oggi? Dov’è finita la speranza?

Dott. Franco Penza

 
 

ID: 5069  Intervento da: Antonio Fedele Cesi  - Email: fratellino.50@email.it  - Data: domenica 19 novembre 2006 Ore: 13:43

EPICEDIO ALLA SOCIETA’

Caino uccise Abele, l’uomo uccise l’uomo e fu la guerra! Guerra caotica, uomo contro uomo, padre contro figlio. Fiumi di sangue colorano il globo. Odio sprizzante da cuori ricolmi, colpire altri cuori e riempirli! Gusti satanici alternarsi ad odi perenni.
Morte! Non credo al destino! Non credo all’amore! Non credo ai fratelli! Non credo agli amici!
Forse questo mi danna, ma mi redime; mi condanna ma mi assolve; mi uccide ma mi resuscita!
Perennemente dormire: sognare, perennemente sognare. Chi? Che cosa? Forse chi ti benedice, maledicendoti o chi ti ama, odiandoti o chi ti carezza ammazzandoti. Sognare chi? Voglio riposare, così, eternamente, voglio morire! E’ inutile vivere quando intorno la gente ti sorride sogghignando, ti carezza soffocandoti, ti bacia mordendoti, ti difende condannandoti! Voglio morire!
Ho pregato, ho amato, ho donato, senza chiedere nulla in cambio. Filantropo ieri, oggi misantropo, perché nauseato di tutto ciò che mi circonda, nauseato da quelle mentalità, che sono un flagello per tutti. Vorrei gridare a tutti il mio disprezzo, ma non farei altro che umiliarmi ancor di più.
Ho perso la voglia di ridere, non me la sento di piangere; nel cuore un enorme peso mi schiaccia. Sulla bocca mista a saliva un verbo:”Maledire!” Girare per le strade inutilmente, senza meta, senza voglia, senza parlare, guardare intorno la gente senza senso.
Ma cosa ho fatto io per nascere? Chi ho crocifisso per vivere così? Ecco la consapevolezza di una vita inutile!...
Scende la pioggia, mentre nell’animo si affacciano ombre cupe, amorfe, nere. Il cielo è nuvoloso, l’animo è tetro, senza respiro, le ombre svaniscono. Il cielo è splendido, sul mio tavolo c’è un cadavere, era un uomo: io.
Nella notte col volto stravolto ti cerco affannosamente, non ci sei. Il mio cuore balza, la testa gira, visioni, luci, sudore, ancora visioni, suoni, risate, bocca tremante, occhi lacrimanti, il respiro manca, cerco ancora te, che dormi placidamente, sorridente, pura, immacolata, vergine.

Antonio Fedele Cesi


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