ID: 4978 Discussione: CORALLI IN MOSTRA A POTENZA
Autore:
Vito d'Adamo
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vda27@online.de
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Scritto o aggiornato:
mercoledì 8 novembre 2006 Ore: 21:45
Cari amici corallini,
mi pregio segnalarvi il seguente articolo (AISE, 7 novembre 2006):
07/11/2006 ore 18.34
Cultura
AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI POTENZA "CORALLI SEGRETI. IMMAGINI E MITI DAL MARE TRA ORIENTE ED OCCIDENTE"
POTENZA\ aise\ - È stata prorogata sino al 7 gennaio 2007 la mostra "Coralli segreti. Immagini e miti dal mare tra Oriente e Occidente", allestita presso il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata "Dinu Adamesteanu" dal 21 giugno scorso. Una data, quella della inaugurazione, di certo non casuale ed anzi dal forte valore simbolico. Proprio il 21 giugno, e dunque nel giorno del solstizio d’estate, si celebravano infatti nell’antica Grecia le feste in onore di Adone che avevano, tra i principali simboli del culto, rametti di corallo.
L’esposizione, a cura di Salvatore Bianco, Alfonsina Russo e Marcello Tagliente, è stata organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata e rappresenta un evento culturale di straordinario rilievo per l’importanza delle collaborazioni e per la varietà e il fascino dei reperti, oltre duecento, in esposizione.
La mostra "Coralli segreti. Immagini e miti dal mare tra Oriente e Occidente", sia pure attraverso un estremo rigore scientifico, rappresenta un affascinante viaggio nel tempo con percorsi che si intrecciano in un rapporto sempre dialettico tra natura e cultura. Come in un’antica Wunderkammer, una "camera delle meraviglie", il visitatore, alla maniera degli uomini curiosi del XVI-XVIII secolo, può frequentare un "teatro di natura e arte", inseguendo il fascino della natura e le storie millenarie di culture che si sono espresse anche attraverso la magia del corallo.
Coralli fossili databili otre 400 milioni di anni fa, coralli naturali, reperti archeologici in corallo del V e IV secolo a.C. rinvenuti nelle colonie greche e nei centri indigeni della Basilicata, gioielli con inserti in corallo provenienti da diverse regioni italiane, dalla Turchia, dalle coste africane del Mediterraneo (Algeria e Marocco), dalle coste del Mar Rosso (Yemen) e dall’Estremo Oriente (Mongolia e Tibet) per la prima volta raccolti in un’unica esposizione, per questo imperdibile.
La mostra è motivata dall’eccezionale scoperta, in Basilicata, di rari e preziosi reperti in corallo del IV secolo a.C. ed è incentrata sul fascino del corallo, per gli antichi dalla natura incerta tra specie minerale, vegetale e animale. Il colore rosso vivo dei coralli ne ha fatto, per la tradizione popolare, "alberi di sangue" e dunque simbolo di forza generatrice e di contatto con il "divino".
Nella tradizione antica, greca e latina, se l’ambra era legata ai miti del Sole ed era, dunque, simbolo di luce e di immortalità, il corallo era legato indissolubilmente al sangue e alla vita che pulsa. Il mito (Ovidio, Metamorfosi, IV, 740-752) narra che Perseo dopo aver ucciso Medusa, capace di trasformare in pietra chiunque la guardasse, stanco del lungo viaggio si sedette su una spiaggia e poggiò la testa sanguinante del mostro su una riva, piena di giuncastri e che le gocce di sangue trasformarono le piante in coralli. Plinio il Vecchio (Storia Naturale,32, 23-24) ricorda i coralli del Mar Rosso, del Golfo Persico e quelli più preziosi nel Golfo Siculo, attorno alle Eolie e a Drepana (Trapani) nonché le modalità di pesca del corallo: due bracci di ferro uniti da un perno centrale in piombo erano fissati alle reti e, per mezzo di una corda attaccata al perno, lo strumento era trascinato dalla barca dei corallari . Così le reti staccavano i rami di corallo che restavano impigliati nelle loro maglie.
I campi d’azione del corallo, nell’antichità, erano svariati e sono ricordati in trattati a sfondo magico, medicale o astrologico, scritti da studiosi, generalmente di cultura greca, che venivano annoverati tra i Magi o i Caldei. Amuleti di corallo aiutavano i naviganti, i mercanti e proteggevano dai pericoli delle tempeste e del maltempo, sia per mare che per terra. Il corallo era utile per proteggere la persona dai fantasmi notturni e dagli incubi e per rendere innocuo il veleno dei serpenti e degli animali velenosi. Il corallo era in relazione con Venere e, di conseguenza, favoriva le passioni amorose.
Vari sono i modi in cui veniva utilizzato per uso medicinale: tritato o miscelato a liquidi, incenerito o sottoforma di pastiglie. Plinio riferisce, ad esempio, di un medicinale utile a combattere le coliche, se incenerito e bevuto con acqua, e Dioscoride lo indica come rimedio utile per altre malattie alle vie urinarie (mali alla vescica e calcoli). Ancora Plinio ricorda l’uso del corallo insieme al vino per favorire il sonno, insieme all’acqua contro la febbre, mescolato ai colliri con funzione astringente e disinfiammante. Ceneri e rami di corallo sarebbero poi utili contro rigurgiti e sputi di sangue, per riempire cavità e rimarginare le ferite e come medicina contro l’umor nero.
I più antichi rinvenimenti di oggetti in corallo, nel Mediterraneo Orientale, risalgono già al X millennio a.C., ma diventano più significativi sia in Egitto che in Mesopotamia tra V e IV millennio a.C. Molto più tardi anche i Fenici commerciavano coralli. Nel mondo greco e magnogreco oggetti in corallo sono stati rinvenuti nei santuari di Hera e di Afrodite, ma il suo uso è legato soprattutto al culto di Adone, il giovane amato da Afrodite, morto per una ferita infertagli da un cinghiale. A Gravisca, emporio greco sulla costa dell'Etruria meridionale, sono stati trovati, in un contesto databile al IV secolo a.C., il sarcofago di pietra nel quale era stato sepolto il simulacro di Adone, durante la festa a lui dedicata, e un cratere pieno di coralli. Questi simboleggiavano tutto ciò che è bello, ma sterile, essendo una pianta non commestibile, priva di frutti e utile solo per fare gioielli per le donne. Durante le feste in onore di Adone le prostitute e le amanti portavano vasi da fiori nei quali avevano fatto germinare precocemente dei semi, specialmente di cereali. Questi vasi, chiamati "giardini (kepoi) di Adone", erano gettati in mare nel corso della festa che culminava nel rito di rivitalizzazione del nume defunto e sepolto. La scomparsa nel mare dei giardini di Adone sottolineava la natura sterile delle belle piante cresciute e insieme costituiva un tributo al mare, elemento dal quale era emersa Afrodite, l'amante di Adone. Il corallo era dunque il corrispettivo marino delle piante cresciute nei vasi delle Adonie.
In Basilicata gioielli preziosi con inserti in corallo, esposti per la prima volta in pubblico, sono stati rinvenuti in sepolture sia greche (Metaponto, Herakleia) che indigene (Lavello, Sant’Arcangelo) del V-IV secolo a.C.: fibule in forma di delfino con occhi resi attraverso inserti in corallo o impreziosite da rametti naturali di corallo, così come pendenti di collane in corallo a forma di teste leonine o di delfini.
Nello stesso periodo mostri marini come Scilla, le Sirene, le Nereidi sono raffigurati su ceramiche figurate e su bronzi sbalzati a richiamare il viaggio pericoloso verso il mondo dei morti ubicato al di là del Grande Oceano e le speranze di salvezza ultraterrena. Altrettanto frequenti sono le raffigurazioni di altri mostri come le Gorgoni, strettamente legate nell’episodio di Perseo e Medusa alle leggende sulla formazione del corallo.
A partire dall’età romana (I secolo d.C.) si intensificano le esportazioni di corallo, scambiati principalmente con perle, verso l’Oriente tramite il Mar Rosso e, dunque, dall’Egitto romano verso i porti orientali dell’Arabia e dell’India.
Rinvenimenti archeologici documentano nello stesso periodo la presenza di amuleti e gioielli in corallo del Mediterraneo anche nell’attuale Afghanistan e in Cina. Un testo indiano del I secolo d.C. riporta la notizia che un re dell’attuale Sri-Lanka (la Taprobane dei Romani), desideroso di tendere "una grande rete di corallo" attorno ad un reliquario buddista, spedì inviati per procurarsi questo materiale presso romanukhara ha, vale a dire nei territori dell’Impero romano.
Anche nel Medioevo rimane molto vivo l’interesse delle popolazioni dell’Arabia, così come dell’Estremo Oriente per i coralli. Lo stesso Marco Polo nel Milione racconta che il corallo che era molto ambito sia dai Mongoli che dai Tibetani.
L’armatura di un cavaliere della Mongolia, un piatto rituale del Nepal e alcuni gioielli dello Yemen e dell’India presenti nell’esposizione e provenienti dalla straordinaria collezione Antonino De Simone di Torre del Greco, testimoniano questo rinnovato interesse per il corallo presso quelle popolazioni sino ad epoca assai recente.
Il colore rosso del corallo e la sua origine misteriosa hanno affascinato il popolo nomade della Mongolia, abituato alla monocromia della steppa, che ha attribuito al corallo il significato di energia vitale e di sinonimo del fuoco, ulteriormente potenziato dall’accostamento al turchese, simbolo dell’aria. In Mongolia, come in altre regioni d’Oriente, i gioielli in corallo hanno espletato la loro funzione protettrice in tutte le fasi più vulnerabili della vita: la nascita, la circoncisione, la pubertà, il matrimonio.
Nello Yemen l’affermarsi dell’Islam, durante il VII secolo d.C., ha rafforzato l’ammirazione per il corallo, inteso come simbolo di bellezza (nel Corano le vergini nel giardino del paradiso sono paragonate a rubini e corallo). La tradizione della gioielleria yemenita è strettamente correlata con la comunità degli orefici ebrei stabilitisi nella penisola già in epoca antica.
In mostra anche numerosi gioielli italiani di corallo, di pregevolissima fattura sia trapanese, la più antica, che di Torre del Greco, diffusa a partire dalla fine del XV secolo. Questi fanno parte delle importanti collezioni del Museo di Arte e Tradizioni Popolari di Roma e del Museo del Corallo, espressione dell’Istituto d’Arte di Torre del Greco.
Si tratta di gioielli del XVIII e del XIX secolo, donati per il fidanzamento, ornamenti simbolo che classificano lo stato civile della donna. Lo spillone inserito nei capelli raccolti, le collane ornate con simboli amorosi, per esempio una lamina in metallo dorato che raffigura due cuori divisi da una freccia rappresenta il vincolo permanente d’amore nel rituale del fidanzamento. Un ornamento di corallo era anche regalato alle balie per proteggerne la salute, ma anche per indicare, con i cambiamenti di colore, eventuali cambiamenti dello stato di salute e quindi della qualità del latte. Alcune delle sculture di corallo presenti sono opera dei più importanti incisori di Torre del Greco, formatisi presso il prestigioso Istituto d’Arte.
Una parte conclusiva è dedicata all’importanza del corallo nella tradizione religiosa cristiana. In questo contesto culturale l’albero del corallo è stato assimilato all’albero della Croce e le gocce di corallo al sangue di Cristo. Il corallo rosso, al collo del Bambino Gesù, in numerose raffigurazioni (quadri, sculture lignee, di cui alcuni provenienti dalla Basilicata e in esposizione) evoca il futuro sacrificio di sangue e la resurrezione.
Dal santuario di Monteforte di Abriola, proviene una statua del XIII secolo, in legno, che raffigura la Madonna, alla quale è stata aggiunta nel XVII secolo la statua, sempre in legno, del Bambino che indossa una collana e un braccialetto in corallo. Nello stesso santuario, eretto nell’XI secolo lungo una delle vie interne percorse dai Crociati per imbarcarsi verso la Terra Santa, tra l’altro, uno degli affreschi ricorda la presenza dei Templari, in quanto è raffigurata la Croce patente dell’Ordine del Cavalieri del Tempio, di color rosso sangue a richiamare il martirio di Cristo.
Di conseguenza, il corallo in Italia è stato utilizzato negli oggetti devozionali, negli ostensori, nei grani del rosario, nelle fasce battesimali, nei presepi. Fasce battesimali in corallo, come un esemplare di straordinaria fattura in esposizione, sono testimoniate in Sicilia, in quanto dotate di un particolare potere protettivo dalle malattie infantili, in particolare dell’intestino, in linea con la tradizione che vuole bambini e neonati protetti con potenti amuleti come le monete pontificie, le "monete dello Spirito Santo", considerate efficaci contro le convulsioni della prima infanzia e contro le streghe, e le figure in argento che raffigurano nuovamente le stesse sirene della tradizione greca, spesso arricchite di piccoli campanelli, che venivano appese alla culla.
Pietre preziose, grani di materia eletta, ma soprattutto perle e coralli ornano il pettorale della Madonna nera di Viggiano, patrona della Basilicata, come quello del suo Bambino: eccezionali oggetti, databili alla metà del XIX secolo, esposti in questa mostra. Non solo manufatti di straordinaria bellezza ma carichi di simbologia: la passione con il sacrificio di sangue, la morte e la resurrezione di Cristo e la sua regalità divina per quel che concerne il corallo; la perla, che serve da porta alla Gerusalemme Celeste secondo la visione di San Giovanni nell’Apocalisse, simboleggia il premio dell’eternità riservato all’anima contemplativa; di resurrezione della carne parla anche la grande croce di ametista che occupa il centro del pettorale del bambino di Viggiano in quanto l’ametista è la dodicesima pietra preziosa di cui è costituito nell’Apocalisse il muro della Gerusalemme Celeste.
Questi due preziosi ornamenti, nel Bicentenario della designazione di Potenza quale capoluogo della Basilicata, rappresentano uno degli elementi centrali d’interesse dell’esposizione non solo per la loro bellezza struggente, ma anche per il loro incommensurabile valore devozionale in cui si identificano e si sono identificate per secoli tutte le genti lucane. (aise)
Editrice SOGEDI s.r.l. - Reg. Trib. Roma n°15771/75