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Argomento presente: « Fatti vesuviani d'un tempo »
ID: 4957  Discussione: Fatti vesuviani d'un tempo

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: giovedì 9 novembre 2006 Ore: 17:34

CRONACA PATETICA- Giornale "L’Infinito" Torre del Greco 1965

L’alba aveva imbiancato il cielo, l’aurora annunziava il nuovo giorno, quando verso la stradina che conduce alle casupole della marina una giovane sulla trentina, malconcia nel vestire ma bella nel viso ed avvenente nel corpo, avanzava. D’un tratto si fermò, si girò per vedere se intorno vi fosse qualcuno e, credendo che tutto filasse, posò un manipolo su di un letame. Dal vicolo spuntò un ragazzo che subito diede l’allarme: s’era accorto che quel manipolo di stracci era nient’altro che il tenero corpo di un neonato! In un baleno si formò una folla che voleva malmenare la poveretta; dalla massa evanescente uscì un cieco che esclamò deciso:
” Fermi! Questa giovane stava aggiustandosi le giarrettiere e non avendo dove poggiare questo bamboccio, lo ha adagiato qui”.
Voltosi alla donna disse:”Nevvero, buona donna?” La donna lo guardò in atto supplichevole con uno sguardo che esprimeva chiaramente gratitudine. Allontanatisi i tre, la disgraziata raccontò al salvatore la sua odissea.
Frequentava un istituto di bellezza di una metropoli del nostro mondo, mantenendo condotta esemplare. Il proprietario era un uomo di facili costumi, dedito ai vizi: per gli esseri abietti, la castità è uno stimolante a maggiori vituperi. Perciò l’abominevole essere cominciò la scalata alla roccaforte. La nostra carne è debole: resiste, ma se cede, cede malamente.
Finito il triste racconto, la giovane confessò la vera intenzione e il cieco, non avendo altra scelta, le disse che avrebbe adottato il piccolo con piacere. La madre, senza minimamente tentennare, affidò il bimbo alle cure del mendico. Il sublime affetto di madre in figlio è annullato da vicissitudini! Che dramma è in sé la vita! Il cieco con l’aiuto dell’inseparabile bastone prese il bambino, che vagiva a più non posso, salutò la sventurata madre, che commossa non riuscì neanche a fiatare, e si avviò per il sentiero che menava verso un domani migliore.
Questo patetico fatto di cronaca accadeva, quando il mondo stava preparandosi all’esodo pasquale.

1948. Io di appena sei anni, assistetti a questo episodio triste, che mi segnò pienamente. La situazione generale dell’Italia era precaria e si stentava a vivere. Il primo pensiero per tutti gli italiani era mettere il piatto a tavola a mezzogiorno, perché in molti non si poteva. Il cieco elemosinava, la compagna in un casolare preparava da mangiare, quando riceveva le poche lire raccolte per strada o sul treno della circumvesuviana. Il bambino crebbe e diventò un giovane di belle speranze, che chiedeva tutto al “padre” e quando questi non poteva, lo picchiava. All’epoca s’implorava l’intervento dei santi e così questo giovane segnato dal destino trovò una sistemazione.
Ma non cancellò mai dalla sua mente la sua genesi e visse imprecando e bestemmiando e bevendo.
Allora ci dovevamo impegnare per il piatto a tavola il mezzogiorno, oggi ci dobbiamo impegnare per l’auto di lusso, il vestito di raso, la pietanza prelibata ed abbiamo tentato di eliminare il complesso del povero, che invece resta un ex, aumentando terribilmente la forbice con i ricchi. Siamo tutti uguali. E’ facile esprimersi così a difesa delle nostre debolezze. Infatti i giovani ci sono scappati di mano e il politico si è volatilizzato, sostituendosi ad un commerciante di carne umana. Così la vita ha perso di valore e si accoltella o si uccide per niente. Dunque era migliore la nostra epoca di sacrifici, di speranze o la vostra senza speranza e senza sacrificio?
L’episodio raccontato era raro, oggi nell’immondizia si trova di tutto, soprattutto la dignità umana.

Dott. Francesco Penza medico-filosofo

 
 

ID: 4996  Intervento da: Vito d'Adamo  - Email: vda27@online.de  - Data: giovedì 9 novembre 2006 Ore: 17:34

Cari amici,
mi riferisco al n° 16/2006 de "La Tófa", che si presenta bene e riporta articoli di buona fattura. Tra questi, ho letto con interesse, ma non desidero che la selezione, del tutto soggettiva, sia considerata classifica rispetto agli altri scritti: "Profumo", di Ciro Adrian Ciavolino, preziosa testimonianza di trascorsi costumi; la seconda parte di "Ciro Cirillo si racconta", seguito della prima puntata e promessa per la terza, a cura di Antonio Abbagnano; e "Torre del Greco, la canasta e due ragazze", di Mimmo Carratelli, revival.
Cordialità ed auguri da nonno Vito.



ID: 4994  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: giovedì 9 novembre 2006 Ore: 12:32

Cara Vinnuzza,
presunzione a parte, i pezzi degli anni '70 del tuo papà e miei produssero molti ripensamenti tra i "letterati" dell'epoca, che erano letterati sol perchè laureati alle Università.
Senza mezzi economici, pubblicammo i nostri pensieri spontaneamente, scardinando molti tabù, ma subendo l'ostracismo, come era prevedibile, cominciando dal Corallarte nell'Istituto d'Arte, al Penzatore, a La Torre.
A "La Torre" c'era censura, come alla Voce della Provincia.

Per Salvatore Argenziano:
Colgo l'occasione per ringraziare per il revival e chiedo ad Argenziano un suo intervento in difesa della Lingua napoletana per le offese che riceve quotidianamente da emeriti analfabeti, che hanno stampato su DVD: Nnapul (sic!) adducendo la scusante che bisogna scrivere così come si pronuncia, come è successo nei pullman napoletani sui cartrelli, per i quali siamo retrocessi culturalmente non nella b, ma nella c della cultura.
Complimenti per il suo prezioso vocabolario torrese.

Complimenti altresì a Vito D'Adamo dalla Germania per i suoi articoli-revival di stampo letterario.,

Saluto cordialmente.
Dott. Franco Penza


ID: 4964  Intervento da: Vito d'Adamo  - Email: vda27@online.de  - Data: martedì 7 novembre 2006 Ore: 16:47

RISPONDO A ID: 4961.

Complimenti al Dott. Francesco Penza e che sia ben accolta la proposta di un revival narrativo, avanzata da "Vinnuzza" Mari.

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(NOTICINA PER GIGIMARI A PROPOSITO DI AUTORI NAPOLETANI E PIANOCILINDRICHE - I quattro volumi de "La Sacra Bibbia", da me tradotta, furono stampati, a cominciare dal dicenbre 1957, per conto dell'Istituto Grafico Editoriale Italiano per i tipi della SIGEM di Napoli - qualcuno la chiamava "Tipografia Scarfoglio" - con sede in Via Carlo Poerio, di cui erano proprietari, se ben rammento, gli eredi di Edoardo Scarfoglio e di Matilde Serao. Penso che anche tu debba averne sentito parlare ed amerei conoscere qualche altra notizia a riguardo)

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Affettuosamente, nonno Vito.


ID: 4961  Intervento da: Mari virna  - Email: info@totteomnia.it  - Data: martedì 7 novembre 2006 Ore: 15:01

Caro Franco,
ti stai affiancando a Nonno Vito dalla Germania per riproporre un revival narrativo. Ben Venga. Oggi il cartaceo langue. Il tempo descritto sotto è solo un ricordo.

Gli autori del 900 che facevano "girare" le pianocilindriche tipografiche.

Tratto da "Da Magonza a Torre del Greco" 450 pagine. Libro scaricabile in rete.
Si dice "corsi e ricorsi"

A far ruotare a tutto spiano le pianocilindriche tipografiche furono personaggi come lo scrittore popolare Francesco Mastriani, con i suoi 115 romanzi, poco valutati dalla critica, ma di larga diffusione e Vittorio Imbriani, che si distinsero nel periodo letterario della fine del secolo scorso. Più in luce la giornalista scrittrice Matilde Serao, coi suoi famosi Ventre di Napoli e Paese di Cuccagna. Redattrice a Roma del Capitan Fracassa, seguì, poi le orme del marito Edoardo Scarfoglio col suo Corriere di Napoli e Corriere di Roma. Autrice dei noti Mosconi sul Mattino di Napoli, fondò infine Il Giorno.
Il tarantino Scarfoglio fondò Il Mattino e scrisse saggi e varie prose. Tartarin influì positivamente il suo allievo Roberto Bracco, valido critico e giornalista, sprovvisto persino di licenza elementare. Esempio emblematico di autodidatta, fu deputato e persino candidato al Premio Nobel. Alla fine dell’Ottocento Benedetto Croce partorisce la Critica Estetica, provocando una vera rivoluzione di pensiero filosofico-letterario. Fondatore della rivista La Critica, compose centinaia di opere tra cui spiccano La Letteratura
della Nuova Italia, Poesia e non Poesia, Storia d’Italia..., ecc. Pasquale Villari, alla fine del secolo scorso compose diverse opere di critica e di storia, altrettanto Ruggiero Bonghi che fondò, tra 1’altro, La Stampa di Torino. Studi di Storia Letteraria Napoletana e Manuale della Letteratura Napoletana, furono, invece, valide opere di Francesco Torraca.
Una specie di lazzarone letterato fu invece Ferdinando Russo, poeta dialettale di vivace realismo, come pure, anche se in maniera più pacata, Raffaele Viviani col suo teatro. Quindi Rocco Galdieri, che espresse nelle sue opere quel suo triste umorismo nel Monsignor Perrelli, pubblicato a cavallo fra i due secoli. Ernesto Murolo, invece, scrisse molte poesie in vernacolo, diverse delle quali furono musicate. Ancora Libero Bovio ed il crepuscolare Eduardo Nicolardi, nonchè il famoso poeta Giovanni Gaeta, altrimenti detto E. A. Mario, che scrisse La Leggenda del Piave e la canzone Balocchi e Profumi.
Dopo la Serao ritornarono a Napoli i tentativi ben riusciti di narrativa. Negli anni trenta Carlo Bernari pubblica I tre operai. Di Bernari sono Guerra e pace, Vesuvio e pane, fino al Foro nel parabrezza degli anni 70. Nel periodo tra le due guerre si distingue Anna Maria Ortese con Città involontaria, i racconti Angelici dolori, fino a Il mare non bagna Napoli, degli anni 50. Intorno al secondo conflitto mondiale il narratore napoletano di spicco è Giuseppe Marotta col suo famoso L’oro di Napoli, quindi Gli alunni del sole, San Gennaro non dice mai no, ecc.
Dopo la guerra esordisce Domenico Rea di Nocera Inferiore, con Spaccanapoli, Una vampata di rossore, ecc. Quindi Michele Prisco, di Torre Annunziata, coi famosi racconti dell’esordio La provincia addormentata, poi Figli difficili, ecc. Altro romanziere del secondo dopoguerra sarà Luigi Compagnone che esordì con La Festa, poi La vita nuova di Pinocchio, L’onorata morte, ecc.
Infine Mario Pomilio con Il testimone e Il cimitero cinese, L’uccello nella cupola, ecc. Vi sono molti altri intellettuali napoletani di rilievo nel campo della filosofia, della critica, del giornalismo, della filologia che, secondo me, vanno citati in trattazioni specifiche più ampie, di natura critica, antologica, storiografica, per cui discrepanze od omissioni spero saranno qui tollerate. Un ultimo autore contemporaneo, però, degno di menzione, è il poliedrico Luciano De Crescenzo, filosofo, umorista e scrittore di cristallina fattura, che insieme a tutti gli altri intellettuali napoletani, citati o meno, ha contribuito allo sviluppo dell’editoria non solo napoletana.

IL PREZZO DEL PROGRESSO
Anche l’industria italiana e, per conseguenza, quella napoletana, tende ad escludere la dimensione umana dalla produttività. Per fortuna nel Napoletano è ancora possibile intravedere l’aspetto umano del lavoro, nei centri storici, dominati dagli agglomerati di bassi, dove gli ultimi artigiani svolgono il loro lavoro a misura d’uomo, perché ancora operano in un contesto proletario e piccolo borghese, che condiziona il modo di lavorare e di vendere secondo le vecchie tradizioni, dove si ricusa l’impatto appena decennale di certi repentini stravolgimenti tecnicistici e consumistici sotto casa propria. Certi moduli edonistici tendono al convertimento, lentamente, come il tarlo fa col legno, o la goccia con la pietra, facendo leva sul martellamento pubblicitario legato al modello sociale planetario di benessere illusorio, attraverso espedienti come il risparmio ottenuto coi prodotti di serie, o l’adescamento dei supermercati, che eliminano perdite di tempo prezioso, utilizzato, poi, per i giorni di lotta, atta a procurarsi altro danaro, e… ancora risparmiare al solo scopo di rispendere.
Qualcuno dei tipografi che è riuscito a costruire il capannone, magari dietro un compromesso stipulato coi “fiori all’occhiello”, è finito forse ghettizzato in un lussuoso appartamento dei quartieri bene, europeizzato ed irrimediabilmente escluso dal calore della Napoli oleografica dove i sostegni psichici essenziali di solidarietà, di contatto umano, ancora si osservano nei mercatini rionali o quelli domenicali di Piazza Ferrovia, o di Poggioreale, nelle botteghe, nelle case-giardino delle vecchie costruzioni spagnole. Le stesse officine industriali dei quotidiani della capitale del sud hanno definitivamente visto dissolto il calore umano che esalava, all’unisono, dai precordi dei giornalisti e tipografi e dai crogiuoli delle linotype. Era l’ardere del piombo fuso ad accomunare autori e tipografi in una sola famiglia.
Le notizie sprigionavano anch’esse la soavità di una metropoli ancora lontana dalla giungla urbana, animata dalle Piedigrotte, dalle serene periodiche domenicali e dallo strabenedetto pane e ppummarole, e dal derivato sacrale ragù, o dalla defilippiana ritualità di pasta e fagioli o caffè che scendeva. Oggi pure i napoletani il caffè lo fanno salire per dimostrare che il mondo, nell’arco di pochi decenni, è cambiato da così a così, grazie all’indomita ascesa industriale. Nelle redazioni dei giornali, anch’esse linde ed asettiche come gli ospedali, il giornalista infreddolisce per l’assenza dei crogiuoli, per la nefandezza delle notizie, per il suo esclusivo rapporto di lavoro con ...il terminale.

www.stampatipografica.it/tipografia/set_fra_cultura_napoletana.htm


ID: 4960  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: martedì 7 novembre 2006 Ore: 14:48

Caro Franco,
Ti prego di mandare in rete gli articoli di mio padre pubblicato sul "PenZatore", credo, il 1970-71 o giù di lì. I titoli erano: "A Ciascuno il suo", "L'altra faccia della moneta", "Ma la vita è meravigliosa".
Ti ringrazio

Serena - Redazione Torreomnia
Divisione lingue estere


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