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Argomento presente: « E' IL GIORNO DEI MORTI »
ID: 4892  Discussione: E' IL GIORNO DEI MORTI

Autore: La redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 1 novembre 2006 Ore: 13:20

E' IL GIORNO DEI MORTI... AMMAZZATI

In una settimana tre morti ammazzati a Torre del Greco, senza contare quelli di Napoli.
La redazione ha deciso, malgrado tutto, di non parlare della solita commemorazione, nè di sottolineare il fatto che la qualità della vita scende sempre più verso lo zero.

Abbiamo scelto una satira divertente del nostro "masto" scritto quando era giovincello come noi.

CHE DIO PERDONI E DIA PACE A TUTTI I DEFUNTI COMPRESO QUELLI MORTI IN QUESTA SETTIMANA.

L'ALTRA FACCIA DEL POTERE
(Ovvero la versione torrese della livella di Totò)

Facciamo quattro chiacchiere a proposito del terreno inumativo scoperto nelle aiuole della Villa Comunale. Visto che di terreno speciale, a Torre, ve n'è da vendere (non da frodare) c'è poco da dire, forse perché se n'è già dette tante. La mattina del 14 maggio metà Torre allibiva raccapricciata innanzi al terreno decisamente riconoscibile come appartenuto al cimitero.
Le numerose congetture, comunque, non determinavano a quale cimitero appartenesse il materiale, fino al momento in cui alcuni torresi incominciarono a riconoscere i resti dei propri defunti, dalla qualità o importanza, naturalmente. E così come ogni buon cittadino che si rispetti ciascuno prese a raccogliere il proprio ossicino, chi la tibia, chi un pezzo di femore, chi un'intera scapola. Alcuni li lucidavano, altri erano intenti a rovistare tra i lumini e le croci di latta, tra il cinguettio mattiniero degli uccelli, delle palme, degli abeti che abbelliscono la nostra villa comunale.
Così a furia di raccogliere, talvolta con prepotenza, tramite spintoni e mugugnii, alcuni tentavano di ricomporre lo scheletro intero. Naturalmente ci fu pure chi si mise in testa di recuperare l'intera famiglia degli antenati. Per non parlare dei ragazzi che all'occasione inventarono il gioco dell'osso più bianco. Ma i guai incominciarono quando i relitti non erano solo quelli relativi all'ossario, ma saltavano fuori ossa belle, già lucide, alcune d'un rosso strano quasi a sembrare rami di corallo, quali sono soltanto le ossa dei morti ricchi, quelli privilegiati delle cappelle.
I meno abbienti erano anche disposti a tenere i resti dei propri defunti in quella che si poteva definire, la mattina del 14, la succursale del cimitero, ma non era giusto fare tutt'erba un fascio. Qualcuno incominciò a dire che bisognava farsi le ossa proprie, tal'altri che riuscire nell'intento bisognava farsi le ossa e basta. Quindi alle maggiori accuse di sacrilegio si opponevano le difese. Alcune voci sostenevano che fosse molto probabile che il terreno, con gli anni, si fosse trasportato naturalmente, causa movimenti tellurici in rapporto al Vesuvio; altri dicevano che alcuni ossicini, vergognosi dell'ossario o delle sgangherate nicchie, avessero organizzato un'evasione per poter sgambettare felici davanti alla prospettiva di una vita migliore.
Ma l'accusa giustamente accesa di sdegno che andava per la maggiore era che oggi si arrivi a rubare anche al cimitero. Certo era toccante vedere il pregiato ossicino del. ricco cavaliere divenire un fischietto. Questa è cosa più tragica: alcuni scugnizzi, vedendo alcuni ossicini cosi lucidi, si direbbe nuovi, li forarono ricavando degli autentici fischi.
Era commovente vedere il cavaliere non gia essere preso a fischi, da morto, ma divenire fischio egli stesso. Gli ossicini unti e incrostati di terra dei poveri non richiamavano l'attenzione dello scugnizzo. Ma quelli lucidi e nuovi, quelli si. Non si creda che abbia voluto dire che la ricchezza e la potenza dei vivi prima o poi si riducono nient'altro che un fischio nelle mani di uno scugnizzo. Ecco perché la famiglia del Cavaliere aveva il diritto di protestare.
Questi benedetti scugnizzi torresi che non hanno la buona creanza di rispettare non già gli ossicini, ma i fischi dei ricchi, in questo caso. E succede sempre così, la gloria, il sacrificio, la lotta della grandezza, crolla tutto insieme alle ossa? Dove credete sia andata a finire la gloria della gente bene torrese? Ed il potere e la sopraffazione?
Là, nella Villa Comunale, alla mercé degli scugnizzi e dei cani randagi felici di saggiare un pasto, come dire, da signori... Dove credete che vadano a finire la nobiltà, la bellezza? Là, nelle aiuole, in un mucchio di ossa e terra sconsacrata. E chi avrebbe mai detto al cavaliere Tizio o al Commendatore Tale, che domani fosse diventato nient'altro che un fischio nelle mani di uno scugnizzo. Proprio così, la gloria e la potenza finiscono sempre in munnezza, che a Torre talvolta è di casa.
I torresi hanno il diritto di gridare: Non toccateci i morti; anche se il maligno, alla fine, la mattina del 14, volle dire la sua: Non date credito a balle, è stato un tentativo per un cimitero di seconda classe, non già per i morti poveracci, ma per quelli destinati all'inferno e non degni di culto.

1971 Luigi Mari

 
 

ID: 4893  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: mercoledì 1 novembre 2006 Ore: 13:20

UN'ALTRA SATIRA DI PAPARINO SCRITTA QUANDO AVEVA LA MIA ETA'

VATTI A FIDARE DEI POETI...

Bisogna essere canto, luce e bontà,
bisogna aprirsi per intero davanti alla notte nera
perché ci riempiamo di rugiada immortale.
Allora, all'ombra del cuore tarlato nascerebbe
una sorgente d'aurora tranquilla e materna
e vedremo passare in una nuvola
Dio.

Federico Garçia Lorca

Nel groviglio babelico di idee vedo apparire all'orizzonte l'anima candida di Garçia Lorca, che ci ammonisce con i suoi versi incontaminati. La lotta interiore istinto-ragione, natura-civiltà tentano di indicarci la strada più naturale, consona alle nostre limitate possibilità. So bene che ciascun torrese sa che il grande poeta spagnolo scrisse questi versi a Torre ndel Greco, non appena ebbe visitato, a caso, il nostro cimitero.
So bene che i torresi non hanno mai dimenticato il monito meraviglioso che dal lontano 1926, quando fu pubblicato su un quotidiano napoletano, non appena Lorca partiva da Torre, e stata l'unica forma d'educazione impartita da genitori, educatori, pedagoghi. Molti ricordano lo scalpore che suscitarono allora questi versi dedicati ai torresi, allora che la città era presa da una specie di torpore morale, allora che i torresi erano altro che gente-bene, o perbenisti, come adesso, grazie a Dio.

Così si pensò subito di praticare i preziosi consigli in ordine di verso:

Bisogna essere canto

Occorsero dieci anni perché il torrese divenisse canto, che non è soltanto essere puri, magnanimi (che non significa mangiare l'anima) e buoni, ma leggeri, fluidi e trasparenti come l'amore. Perché credete che molte ragazze di Torre siano così innamorabili? Esse sono canto un po' più degli uomini.
Non perché, la donna riesca a «canzonare» l'uomo, ma è canto per la facilità di sapersi librare nell'aria, trasportando con se il materialismo che la circonda. Tutto, a Torre, tramite alcune meravigliose donne, va all'aria, specie il denaro. Non c'e modo più bello per essere puri che quello d'essere canto; ma non bastava, secondo Lorca, per vedere passare in una nuvola Dio, mandare all'aria tutto.

…luce e bontà,

Così il torrese incominciò ad imparare ad essere luce, ma non fu una cosa facile come per il canto. Poi usufruì allo scopo la luce solare. Un sole, quello di Torre che, guarda un po', non spacca le pietre, ma la gente. Un sole che penetra nel capo quasi a spaccarlo perché saltino via in qualcuno brutture e bassezze, per non dire lordure. Così molti torresi riescono ad essere luce, ma solo quando c'e il sole.
Non vi passi per la testa, cari stranieri, per carità, di venire a Torre quando i torresi non sono luce; non si sa cosa potrebbe accadervi. In un magnifico giorno d'estate, quando Torre, effettivamente, vista dall'alto, (e non dal piedistallo) è un paradiso, quando il nostro «Miglio» è d'oro più che mai e l'aria è profumata di salsedine mista di ottano e piombo ed una percentuale, sebbene povera, di ossigeno sprigionato dalla vegetazione; quando il sole e lì, basso, quasi a portata di mano e non di portafoglio (come il maligno potrebbe pensare); ebbene, allora il torrese è luce più che mai. Vi scaricherà il suo conto in banca, vi regalerà i suoi immobili e, sebbene ricco e, per così dire, potente, dirà nientedimeno d'essere uguale a voi che siete un povero cristo. Questo accade sempre quando il torrese è luce, come ordinava il poeta a Torre nel lontano 1926.
Voglio dire quando il sole gli batte sulla testa.
Non intendo dire affatto che il torrese, predisposto ai colpi di sole, sia luce. Esso lo è soltanto perché fa da satellite alla terra dove poggia i piedi. E non è vero che noi torresi quando facciamo del bene andiamo con i piedi di piombo, non altro perché, spesso, quando si va con i piedi pesanti si rischia che il terreno manchi da sotto.
E non vi passi per la testa, per carità, di venire a Torre ed innamorarvi. Non perché avete fatto i conti senza le suocere, che l'amore non lo concepiscono come luce naturale, ma artificiale.
L'amore a Torre è proibito farlo alla luce del sole, ma con luce tenue; basta una torcia tascabile. Senza la «pila», non vi passi per la testa di innamorarvi, a Torre, o i conti con le suocere li farete in cifre. La cosa più bianca, diceva Bertoldo, non è il latte ma la luce, e Federico Garçia Lorca intende per luce la mente umana pulita, innocente.


…bisogna aprirsi per intero

Così, conquistata la luce, si passa ad «aprirsi per intero», che è il modo più nobile di morire. E, a Torre, morire e un po' come un vivere orizzontale. Non voglio dire affatto che molti torresi sembrano morti nell'anima, ma che molti morti sembrano vivi nel corpo; tanto che i morti, spesso, servono più dei vivi, non al morto, che crede di vivere, ma al vivo, che non sa d'essere morto.
Ci si apre così tanto per intero davanti alla morte, a Torre, che è difficile distinguere un cadavere da un vivente, sia quando fa politica, e quando si desta, e, addirittura, quando va a votare. «Bisogna aprirsi per intero», così finì il verso, il poeta.

davanti alla notte nera …

Si vuole che in un secondo momento aggiungesse «davanti alla notte nera». Per questo il torrese imparò dapprima ad aprirsi alla libertà, poi alla morte che è un modo di essere libero molto silenzioso. La conquista della «sorgente d'aurora» fu una conseguenza delle conquiste precedenti, come prediceva il poeta. In quanto al cuore tarlato, il torrese non ha problemi. Innanzi alla paura (del trapano, s'intende) il torrese i denti preferisce cavarli. E non pensi, il maligno, che abbia voluto dire che, spesso, il torrese è senza cuore.
Sempre a proposito della sorgente d'aurora, la città dovette sembrare al Lorca qualcosa di molto penetrabile: madre, fecondità, fertilità. Indubbiamente lo è, non solo perché a Torre si effettuano due raccolte l'anno, ma perché a Torre matura tutto, perfino le malattie.
E bisogna guardarsi bene dal venire a Torre, che so, da mezzi scemi o da pecore zoppe. Né vi passi per la testa di andare in giro dopo le nove di sera in inverno; o, peggio, di attendere un mezzo pubblico su un marciapiede. Gli occhi dei torresi vi lanceranno l'anatema: se siete donne, sul marciapiede rischiate di rimanerci. Alle nove di sera il sole non c'è e molti torresi non sono più luce.

..una sorgente d'aurora tranquilla e materna

Nel cuore dei torresi c'è stata sempre la «sorgente d'aurora» specie quella tranquilla e materna. Una sorgente che è un po' come una risorsa inesauribile. Una pace e una tranquillità simile alla sensazione inconscia del ritorno al grembo materno. E così per merito di Garcia Lorca, molti torresi sono figli alle stesse madri: «nostra madre scuola», «nostra madre chiesa», «nostra madre politica».
Non c'è cosa più bella della sorgente d'aurora tranquilla e materna conquistata dai torresi dopo tanti sacrifici. E non c'è da stupirsi se i torresi, spesso, alzano gli occhi al cielo. Ma sono molti anni che lo fanno senza alcun risultato. Avranno sbagliato strada.
Tanto impegno per divenire canto, luce e bontà, tanto sacrificio per aprirsi alla notte nera, accoccolati poi sotto l'aurora tranquilla e materna.

E Dio?

Solo un banco di nuvole color latte crema che s'allontana ad Oriente.
Vatti a fidare dei poeti!

1972 Luigi Mari



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