Puoi anche Tu inserire qui
un nuovo
argomento

  Torna all'indice
Comunità

Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

Argomento presente: « Abate Minichini ti parlo »
ID: 4872  Discussione: Abate Minichini ti parlo

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: lunedì 30 ottobre 2006 Ore: 09:44


NOI SENZA STATO PROPONIAMO UN NUOVO RISORGIMENTO

Turisti feriti, rolex scippati, traffico paralizzante. La città invoca il coprifuoco e l’esercito. Le vecchie famiglie camorristiche lasciano nelle mani dei giovani l’insanguinamento della città.
Gli sbandati hanno vent’anni e i più piccoli quattordici. Napoli sta scoppiando. Mangiano babà e pastarelle per festeggiare omicidi, sparano all’impazzata, sniffano nuova droga, che chiamano “la bottiglina”. Coca, ammoniaca, e acqua.
Padroni della città, da quando non ci sono più padroni.
Sulle motociclette si esibiscono per spaventare e segnare i confini. Frontiere aperte delle piccole e grandi camorre napoletane, si spaccia, si rapina e si ammazza senza un ordine e senza boss.
Napoli terra di tutti e di nessuno. Un gorgo che risucchia Napoli. Inseguono ragazzini per uccidere. Feriscono turisti, sparano da folli, ma fuggono tranquilli, in ascensore.
Sta per esplodere la guerra. I servizi segreti ne sono a conoscenza. Non sono veri clan, ma brandelli di una sottospecie di camorra, che si incontrano e si scontrano in una città, che vive di assalto e di saccheggio.
Usciti più di 1300 detenuti per indulto, da Poggioreale, da Pozzuoli e da Secondigliano, molti saranno attori dell’azione bellica.
Le troppe scarcerazioni hanno rafforzato il senso d’immunità. Le statistiche al momento non confermano un collegamento diretto tra indulto e camorra, ma i numeri non hanno anima e paura.
La Napoli colta e perbene sognava il suo Rinascimento, invece è prigioniera della delinquenza.
La criminalità napoletana, libera, scorrazza. Nelle sue mani Napoli. 13 mila poliziotti, carabinieri e finanzieri a presidiarla. Più dei caschi blu a Beirut. 2222 vigili urbani, sei volte i poliziotti di Manhattan addetti al traffico. Ed invece Napoli appartiene ai ragazzini killer!
Negli alberghi di Napoli stanno distribuendo gli orologi antiscippo di plastica per la vacanza. La Regione e il Comune ne hanno ordinati 10 mila, uno costa sei euro. Soldi buttati nell’immondizia, che non si sa dove mettere! In altre Regioni italiane o all’estero.
Il coprifuoco. L’esercito. Altri poliziotti. Giorni fa un funerale per la sicurezza,. cadavere dell’illegalità. E il traffico quarantennale? E i nostri onorevoli drogati, ignoranti, indagati dove li mettiamo? E’ tempo di un nuovo risorgimento? Siamo senza Stato, purtroppo.

P.S. Lo storico Alfonso Miele da Nola mi ha permesso di fotocopiare un volume sull’Abate Minichini, l’ideatore del Moto rivoluzionario del 1820, che da Nola furono condotti da Morelli e Silvati, soffocato nel sangue, ma che svegliò la coscienza dei napoletani e dette inizio al Risorgimento italiano. Abate Minichini, ti voglio parlare in una tua reincarnazione!

Dott. Franco Penza

 
 

ID: 4874  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 30 ottobre 2006 Ore: 09:44

MARIA BRUNA TAMMARO

STILLE DI RUGIADA
Editrice
La Voce Ambulante
NAPOLI

La poesia è una delle espressioni dell’arte, che,
se genuina, raggiunge una dimensione universale,
perdendo la temporalità. La ricerca dell’amore
circolare, impresa titanica in un mondo tecnologico
e di mitomani, è coerenza e sacrificio di pochi eletti.
Nelle liriche di Maria Bruna Tammaro ( n. il 1952),
con gli echi di un tardo Ottocento, ma con spontaneità,
c’è la rincorsa all’amore., che ritrova in una leopardiana
immersione nell’infinito, al di là delle convenzioni sociali,
della morale corrente, della gestione dei sentimenti.
Librando sull’etereo, la poetessa dialoga con il vento,
con il mare e con la luce, che illumina l’essenza vitale,
l’amore, il vero amore, il suo amore, con la complicità
degli elementi naturali, uscendone con più linfa, più forza,
approdando su lidi dorati, molto lontano dal terreno.

Franco Penza
Santa Maria La Bruna 28/10/89


ID: 4873  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 30 ottobre 2006 Ore: 09:43

UNA VITA SBAGLIATA di Franco Penza (1965)

Conservai tempo fa un articolo. Questa sera, sfogliando un vecchio libro, l’ho trovato miseramente ingiallito.

UNA NASCITA
Mentre gli echi della grande guerra sono appena sopiti, le città irriconoscibili, gli uomini ridotti a brandelli, nel fisico e nello spirito, in un autentico caos di cose, io, Gennarino Scivolabrodo vengo al mondo in una giornata terribilmente afosa. Non amo il gioco, la compagnia e mi piace appartarmi. Sto sempre in casa senza pensare alle donne ed al resto del mondo. Come corro! Non sono ancora nato e già le donne. La memoria non tanto m’aiuta per ricordare la mia infanzia, ma quello che rammento benissimo di quel periodo sono i sacrifici del mio papà, il quale si è sempre stentato la vita. La donna, parliamoci onestamente, serve per quel serve e basta. Sapete perché? Perché è difficile che comprenda l’uomo, che lo incoraggi quando è afflitto, che gli infonda forza quando è malato, specialmente nell’animo. A mio padre piacciono le donne, perché mia madre è un pezzo di ghiaccio, senza affetto, senza parola minima di conforto. Una scenata la mattina, una scenata la sera: questo il modus vivendi della mia famiglia. Ed al mattino anche se resti sotto le coperte grida, bestemmie, non puoi non sentirle e avvertire un’uggia al centro del petto. Voglio intervenire, ma non posso: ho venti e un anno, posso dirmi:”Procacciati la vita!”
La mia famiglia è numerosissima: nove femmine ed io solo maschio. Che disastro! Nove donne da maritare. E tutte vogliono maritarsi. Sono nate per il marito. E dove sono tanti mariti? Per imbellettarsi stanno tre ore davanti allo specchio: truccano i capelli, la bocca, le sopracciglia, gli occhi: io devo sopportare tutte queste cose in casa; fuori è un’altra cosa, è peggio. Un giovane fichia, fa un apprezzamento su una delle sorelle; intervengo per salvare le apparenze e ne prendo più di una sporta. Con gli occhi neri mi ritiro, non ceno neppure, mi metto a letto e m’addormento. Durante la notte sfogo la mia ira sul dongiovanni della strada e non m’accorgo che i miei pugni hanno distrutto un cuscino. Al mattino mia madre vede piume sparse qua e là e mi dà il resto, per finire. Decido di andar via.
LO SPORT (Capitolo inserito in Una vita sbagliata di A.Fedele Cesi con commento di Cafiero)
L’OSPEDALE
L’ospedale è la rappresentazione della sofferenza. Dante nella sua Commedia ci informa di un Purgatorio ultra terreno. Ma stando alle cose, il vero purgatorio è la terra. E come esistono per Dante i vari gironi delle pene, così in terra esistono i vari gradi di patimento, fino a raggiungere la torretta non fiorita, l’ospedale. Appena vi entro l’atmosfera di terrore sembra che mi avvolga: un lamento, un tronco d’uomo su una sedia. Che spettacolo! Voglio fuggire, non resisto! Ma dove andare, non mi reggo! Mi tormento per giorni senza risolvere un bel niente. E’ natale, pochi sono gli ammalati in ospedale: io sto solo nella cameretta. Con chi dire quattro chiacchiere, con le pareti’ Alle sei l’infermiera viene a farmi la puntura ed io per forza di cose devo svegliarmi. Alle otto faccio colazione, poi mi affaccio alla finestra, incomincio a sentirmi meglio. Un incantevole panorama si presenta ai miei occhi. Montagne, casolari sono la più bella immagine, che tengo scolpita nella mia mente. All’angolo della strada una scena patetica: un bimbo chiede alla mamma un soldo e lo da al poverello. Più in là due giovani, una coppia, si tengono sottobraccio. Quando ci si ama davvero, i lunghi sentieri diventano brevi ed anche se sono erti sembrano raggiungibili. Si sussurrano certamente parole dolci e fanno progetti per l’avvenire. Mi volto e indietro c’è il vuoto. Vago per le stanze, non ho cosa fare. Mi rimetto sul letto. Poi gli infermieri puliscono e per pochi minuti sento fiatare. Poi nuovamente silenzio assoluto. Ho sempre desiderato la solitudine, ma appena l’ho avuta, l’ho respinta. L’uomo veramente è un essere strano. Cerca una cosa affannosamente ma appena la trova, subito svanisce l’impeto di ricerca e subito avverte il vuoto della sua esistenza.
A mezzogiorno mi portano da mangiare, ma a me quel cibo non piace forse perché penso sempre alle fettuccine di casa mia. M’assopisco. Alle sette altra puntura. La stessa vita per mesi. Che monotonia! Perché l’uomo non si accontenta mai? Perché è nato così?
Mi rivolgo alla Vergine santa, perché vegli su di me, povero relitto, che annaspa nei tetri sentieri della vita, perché mi indichi la via da seguire, perché se nel patimento e nel dolore dovessi imprecare, con il suo sguardo dolce calmi la mia ira e volga i miei propositi al bene, perché mi benedica. Dopo qualche mese mi ristabilisco, ma sono diverso fisicamente e moralmente.
Saluto il paesaggio svizzero che mi teneva compagnia. E ringrazio il cielo.
LA SCUOLA
Diciotto anni sono diciotto anni, ed io non ho titoli di studio. D’accordo, ho letto molto, ho quasi divorato i classici tutti, ma oggi la società vuole il pezzo di carta e su ciò non transige.
Non è facile credetemi frequentare una scuola alla mia età, seduto tra i banchi assieme ad allievi che non superano i quattordici anni. E non è facile se poi si incontrano insegnanti, che non aiutano chi può trovarsi nelle mie condizioni. Chi la dura, la vince! Alla mia età si vede parecchio: si vede il pizzicotto dell’aitante professore di Educazione fisica dato all’avvenente professoressa di matematica. Si vede la bidella che parla animosamente con il preside e si vede pure che la porta alle loro spalle viene chiusa con un colpo di tacco. Si vede altresì che nella presidenza v’è un andirivieni di belle ragazze. Dopo l’integrazione al terzo anno non mi restano che tre anni al conseguimento del diploma. Tre anni che diventano cinque per le mie polemiche con l’insegnante di lettere, per i miei periodi sospesi e per la disistima, che ho acquisito del preside.
Tante esperienze sulle spalle ed io sto in mezzo ad una strada, sul lastrico, senza un centesimo in tasca. Mi sento solo, anche quando sto in compagnia di amici. Gli amici, si sa, sono quel che sono. Quando hai veramente un amico, ecco un Giuda, che ti tradisce e ti pugnala alle spalle. Incomincio ad avvertire la necessità di consigliarmi con un’amica, una vera amica, che non riesco a trovare.
Le donne sono troppo sicure di sé, aspettano tutte il principe azzurro, il bell’Adone, che lavora alla Banca; si truccano fino all’inverosimile, fanno il bagno nell’acqua di colonia, ricordando che Messalina e Poppea lo facevano nel latte d’asina; mettono reggiseno duri e grossi, ancheggiano spudoratamente, parlano un forbito italiano, si offendono molto facilmente e chi ne ha, più ne metta.
Non posso dire che una relazione con una donna per me sarebbe un peccato mortale. Lo era qualche anno fa. Il prete, papà assordanti :”Non fare questo, non fare quest’altro”. L’eco di queste parole si è ripetuta per anni nella mia poco capiente testolina e per liberarmene c’è voluto il bello ed il buono.
A venti anni, mi dice mio padre, i giovani sono sicuri di sé, almeno io ero sicuro di me a venti anni. E’ vero questo? Ma caro papà, la tua epoca è diversa dalla mia. Verne ha scritto che tra poco andremo su Venere, colloquieremo con i venusiani. E tu mi dici che ancora devo guardare le sorelline dai pappagalli, che imperano sulle strade. Le malattie si sono moltiplicate, anzi i malati di certe malattie si sono moltiplicati; il meretricio abbonda sulle strade, non esiste più morale. A proposito un vecchietto mi fa:”Perché non riaprire le famose case?” Ma come vorresti che in un paese civile ci fosse la prostituzione autorizzata nientemeno che dallo Stato? Metti un punto fermo e sta zitto. Io pensavo che la vita fosse una cosa meravigliosa. Non ciò che sazi soltanto l’istinto bestiale. Non è quello l’amore, quello è soltanto un modo come un altro per ridursi a bassezza! Sono un prete, state dicendo. Dicono male anche dei preti. Ma non mi interessa ciò, interessa a me il fatto che nei miei ragionamenti non riesco a trovare un filo logico, conduttore. Le donne sono troppo sicure di sé. Vorrei una donna bella soprattutto nel cuore. Dovrei fabbricarla da me. Mica fesso, dirà la gente. Il problema del mondo è la rincorsa al sesso. Eppure grandi uomini hanno dimostrato che non è la donna che regola il mondo. E non può essere la donna, la quale appena decenne pensa alla sistemazione,. alla casa e a tanti bambini.
Tra fiori e auguri, conduco all’altare Nannina, ragazza anche lei stanca della vita. Viaggio di nozze interminabile per l’Italia e l’estero. Lungo le rotaie sangue. Uno stridio di freni., è la fine. Intanto gli uccelli cinguettano ed accanto all’edicola dei giornali un accattone si è svegliato. Il sole è già alto nel cielo. Lui tende la mano ed aspetta che qualcuno gli dia qualche soldo d’amore. Io tendo la mano ed aspetto qualche soldo d’amore.
Con il ritaglio del vecchio giornale, tenuto dal pollice e dall’indice della mano sinistra, con il “Quo vadis” dall’altra, sto dormendo da un pezzo.

Dott. Franco Penza


Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

 Ogni risposta fa saltare la discussione al primo posto nella prima pagina indice del forum. L'ultima risposta inviata, inoltre, che è la seconda in alto a questa pagina "leggi", aggiorna sempre pure data e ora della discussione (cioè il messaggio principale),
pur se vecchio.

T O R R E S I T A'

Autore unico e web-master Luigi Mari

TORRESAGGINE