ID: 4635 Discussione: Mia sorella mi ridà la vita!
Autore:
demarco niko
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Email:
niko.demarco@tiscali.it
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Scritto o aggiornato:
sabato 23 dicembre 2006 Ore: 16:08
LA MIA STORIA VERA
La nostra famiglia è torrese da molte generazioni. Detto questo, tutto cominciò nell'aprile del 1994 quando per un semplice e banale controllo di routine mi venne chiesto di fare una biobpsia epatica,
io accettai di buon grado anche perché avevo una salute ottima, non fumavo e non bevevo alcool, non avevo nessuna preoccupazione tale da rifiutare un esame così importante.
Dopo alcuni giorni di ricovero ospedaliero gli esami erano pronti, il dottore mi chiamò a casa e convocò mia moglie per comunicarle l'esito.
Mi venne diagnosticata un epatite del tipo 'B' in evoluzione. mia moglie non capì subito ma poi il medico fu chiarissimo:
"qui si sta andando verso la cirrosi epatica", mia moglie era accompagnata da mio figlio minore e fu un fulmine a ciel sereno quel tipo di referto inaspettato e crudo, senza scampo, come una ghigliottina.
che fare adesso? comunicare o no?
io non chiesi nulla in merito anche perché quando chiedevo informazioni a riguardo mi veniva detto di non preoccuparmi e che presto il medico avrebbe chiamato per farmi sapere l'esito.
Dopo circa un mese scoprii per caso quel referto e per me fu una condanna a morte.
Non riuscivo a connettere, non capivo cosa stava accadendo, il lavoro che stavo facendo da anni (muratore) dovetti lasciarlo perché troppo faticoso; d'un tratto la mia vita stava cambiando e soprattutto avevo solo 45 anni, la mia famiglia non mi ha mai abbandonato ed io non ho mai dato segno di cedimento anche se dentro di me avevo paura, forse ci sono stati dei momenti in cui tutto sembrava perso e mi affidavo ad un qualcosa che non conoscevo.
Dopo circa un anno cominciavo a sentire dei sintomi strani per me: tipo inappetenza e nervosismo che non riuscivo talvolta a controllare e ne soffrivo, questi sintomi andavano via via peggiorando, quando cominciarono i controlli periodici all'ospedale di Verona.
Si decideva molto spesso di ricorrere al ricovero preventivo. Venivo però dimesso ogni volta con una cura diversa, senza capire ne io ne la mia famiglia il motivo di tutte quelle pastiglie e quelle capsule. a cosa sarebbero servite se la mia malattia era ancora in evoluzione?
Nel giugno del 1999 in un ricovero mi venne diagnosticata un'ascite addominale, un versamento di acqua e liquidi al livello dell'addome,
non riuscivo neanche più a sedermi, la malattia cominciava ad evolversi, i ricoveri erano molto più frequenti, almeno due volte al mese con periodi più o meno lunghi con sofferenza sia mia sia della mia famiglia. il mio fisico una volta tonico era diventato rachitico, potevo bere solo 1/2 litro di acqua al giorno compresa quella per le pastiglie e combattevo un qualcosa che dentro di me voleva sconfiggermi, per quanto la mia famiglia mi stava accanto ero io il solo a sapere cosa stavo subendo ingiustamente e forse me ne facevo anche una colpa perché forse gli scopi della mia vita non li avevo ancora raggiunti, e questa era una cosa che mi faceva ancora andare avanti senza dare nessun segno di cedimento, ma psicologicamente ero stanco.
Quando per l'ennesima volta venni dimesso dall'ospedale di Verona mia moglie Elisa a mia insaputa, prese tutta la forza che aveva e chiese al medico che cosa si potesse fare realmente per me, il medico li per li disse che c'era poco da fare ma poi disse anche che il trapianto poteva annullare definitivamente la malattia.
Quando seppi della cosa mi crollò il mondo addosso, capii che il mio caso era molto più grave di quanto si potesse credere,
che fare a quel punto: o lasciarsi andare e aspettare che il destino facesse il suo corso, o alzare ancora la testa e decidere di combattere. optai immediatamente per la seconda, non per un fatto di egoismo per la persona che doveva donarmelo, ma per un fatto che va oltre quello che mi ha dato la vita, una famiglia bellissima, e tanto altro avrei dovuto dare a loro.
I miei figli cercarono subito un centro trapianti valido in Italia, si può dire che fecero mille e più ricerche, decidemmo per l'ospedale universitario di PADOVA.
Dopo una visita ambulatoriale con il professore la mia vita cominciava a cambiare: "caro Giuseppe, io ti rimetto in piedi come lo eri prima".
Sembrava una frase già fatta ma il dottor Stefano Fagiuoli non solo trasmetteva sicurezza di acciaio ma l'umiltà con cui mi trattava era davvero commovente, eppure non mi conosceva affatto. dopo un colloquio con lui. mi chiese se fossi davvero convinto di quello che dovevo fare io dissi subito di si e che volevo farlo alla svelta, ma la lista era lunga, e dovevo ancora fare tutti gli accertamenti del caso, dovevo sostenere una serie di esami i quali dovevano essere positivi nel farmi affrontare il trapianto, anche il lato psicologico non era da trascurare, passarono tre mesi, mancava solo la mia firma per dare l'adesione ad entrare a far parte della lista d'attesa nazionale per il trapianto di fegato, in quel periodo ero a casa mia a Verona l'indomani avrei dovuto andare a Padova per firmare il documento, quando improvvisamente un'emorragia ebbe luogo, solo mio figlio era al corrente che poteva succedere una cosa del genere perché era quasi sempre presente al momento delle visite con i dottori, ma sorte volle che ad assistermi ci fu mia moglie.
Venni ricoverato immediatamente all'ospedale di Verona i quali dissero ovviamente ai miei cari che da quel momento la mia situazione precipitò ulteriormente, e che avrei dovuto passare le 24 ore per essere fuori pericolo. rimasi in rianimazione per una notte e un giorno. Fortunatamente l'emorragia si fermò. ma la situazione rimase comunque gravissima.
Mio figlio partì il giorno dopo alla volta di Padova a parlare con il dottor Fagiuoli e quest'ultimo diede disposizione che io fossi trasferito immediatamente a Padova, dopo un po’ di chiarimenti con i dottori dell'ospedale di Verona, accettarono il trasferimento.
arrivai a Padova dove mi dettero tutte le cure del caso, ma non c'era tempo da perdere e il dottore disse che a questo punto anche un donatore vivente avrebbe potuto salvarmi la vita , donandomi parte del suo fegato.
Ci fu una serie di analisi da parte della mia famiglia sia i miei figli che mia moglie fecero analisi per avere la compatibilità ma purtroppo di loro nessuno aveva il gruppo sanguigno come il mio.
tra tutti coloro che fecero gli esami appropriati tre dei miei 5 fratelli avevano il mio gruppo sanguigno, le mie tre sorelle, Grazietta, Cira e Luisa, il dottore optò per Luisa anche perché era la più giovane delle tre e avrebbe di più sopportato l'intervento, dopo circa due settimane i dottori avevano un quadro completo della situazione clinica di mia sorella. A questo punto venne fissato la data dell'intervento al 11 giugno 2001.
Qualche giorno prima di quella data una telefonata mi tagliò le gambe di netto, mia sorella non poteva donarmi la sua parte di fegato perché aveva un virus in atto. Il mio destino sembrava compiuto anche perché non avevo ancora molto tempo per aspettare. l'indomani andai a Padova accompagnato da mia moglie e mio figlio andai a parlare con un dottore che seguiva il mio caso, (era ormai il 7 giugno), ma il dottore sorpreso dal mio allarmismo disse:" ma l'intervento rimane fissato per la data stabilita perché il fegato lo dona tua sorella Cira". Il mio cuore aveva subito due emozioni fortissime in poche ore, mia sorella Cira quando seppe che Luisa non poteva donare , si fece avanti con aria tranquilla e rilassata, non c'è problema disse, glielo do’ io.
Quello che mi stava succedendo quella notte è indescrivibile non riuscivo a dormire avevo voglia di rinascere ma allo stesso tempo avevo paura per la sorte di mia sorella, anche se eravamo in mano di ottimi chirurghi venuti anche dal Giappone per operare un intervento così difficile e complicato.
arrivò quel momento atteso , accompagnarono prima mia sorella in sala operatoria, dopo circa 5 ore fu la mia volta, erano le due del pomeriggio, i accompagnò tutta la mia famiglia sulla soglia della porta della sala, ormai era fatta, ci salutammo, e ci siamo dati un arrivederci.
L'intervento durò 16 ore, mi svegliarono il 12 giugno alle 9 del mattino e mi chiesero chi fossi, io risposi che ero li per l'intervento, l'anestesista mi informò che tutto era andato perfettamente e che mia sorella non destava nessun pericolo, a quel punto chiusi gli occhi sapendo di aver vinto la mia battaglia e sicuramente piansi anche se non me ne rendevo conto.
Fuori, la mia famiglia, e parenti tutti appena appresa la lieta notizia scatenarono quasi un tifo da stadio, abbracciando medici e infermieri telefonando anche a parenti più lontani, anche giornalisti e telecronisti vennero a per fotografare l'avvenimento, anche perché questo tipo di trapianto tra viventi era uno dei primi.
Passai circa due settimane in sala di cura intensiva, l'emozione più grande e più forte la ebbi quando attraverso la porta a vetro vidi la sagoma di Cira questa mia sorellona dal cuore d'oro che mille e mille parole non possono bastare per far capire la mia gratitutine, è come si volesse ricambiare una madre del dono della vita, ma bastò un gesto e uno sguardo per farmi capire anche una lacrima fece la sua apparizione tuttociò che ho provato e provo è il rispetto che provo per me e tutti quelli che mi sono stati accanto nei momenti più duri della mia vita.
ORA a distanza di cinque anni, ho ripreso la mia forma di vita precedente alla malattia, ho il mio lavoro giornaliero, ma sopratutto ho tre nipotini fantastici che mi hanno dato ancora di più la voglia di andare avanti, ma che soprattutto devo a mia sorella perché questi tre bambini oggi possono chiamarmi nonno.
Niko De Marco