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Argomento presente: « NARRATIVA ANNI 60 »
ID: 4399  Discussione: NARRATIVA ANNI 60

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: lunedì 18 settembre 2006 Ore: 12:37

NARRATIVA
UN TRAMONTO

di Franco Penza

Le rondini davano l’addio al giorno ed alla stagione autunnale; il sole calava, magnificando la grandezza del divino, ed io come al solito mi recai nella campagna antistante la mia abitazione,
per godermi quegli attimi di serenità. Mi rammaricavo non essere un buon pittore, perché sarebbe stato poetico rappresentare quei tramonti. Immerso in quest’atmosfera, mi distrasse l’apparizione di una fanciulla, che forse avevo incontrato solo in sogno. Bionda, occhi turchini, slanciata, ma malvestita si avvicinò con grazia, mi rivolse la parola e mi fece una domanda; ma non capii bene cosa volesse, tanto ero fuori di me. Intanto il crepuscolo cominciava a coprire le umane cose di un sottile velo nero. Non ricevendo alcuna risposta, mi ripose la domanda. Capiì e mi turbai.
Le azioni belliche avevano devastato tutto, anche i monasteri che ella cercava, come mi confessò. Perché cercava un monastero? Molti pensieri buoni e cattivi affollarono la mia mente, sennonché la giovane lesse sul mio volto la perplessità di chi è turbato da mille interrogativi; perciò domandò cosa sentissi nel mio animo. Tentennai prima di rispondere, desideravo sapere perché volesse abbracciare la vita monastica. Con coraggio, le posi il quesito. Non ebbi risposta. Comunque la invitai a casa, dove senz’altro avrebbe trovato ospitalità. Fu accolta, infatti, benevolmente dai miei e per prima cosa cercò ristoro per il suo stanco corpo. Smanioso di conoscere la sua storia, dopo che ebbe riposata, la chiamai e la pregai di raccontare il suo passato. Quando si sedette su uno sgabello, trassi un sospiro di sollievo; il silenzio accompagnò il prologo. Apparteneva ad una eletta famiglia ed era cresciuta negli agi e nel divertimento lecito, quando un signorotto del paese se ne invaghì. Non avendo corresponsione di sorta, rapì la giovane. Una donna, anche se energica, ha punti vulnerabili, per cui la ragazza cedette. Ma l’essere abietto dopo aver messo fine ai suoi insani propositi, la pose sul lastrico.
La famiglia non volle più saperne. Si avviava la disgraziata lungo il litorale della marina per mettere fine ai suoi giorni, quando incontrò una vecchietta che le chiese se stesse aspettando qualcuno o meditando il suicidio. La megera apparteneva ad una losca organizzazione e non esitò ad invitare la giovane. Quell'invito era manna piovuta dal cielo perché non sapeva dove andare: accettò, se pure a malincuore, ma dopo poco quella vita già l'aveva stancata. Lo stato di quella giovane era desolante. Le parole uscivano smorzate dalle sue labbra; i suoi occhio turchini erano velati di lagrime. Com’è difficile questa nostra esistenza.
A volte sembra proprio che il destino si accanisca contro la povera gente, abbandonandola alle ansie, alle preoccupazioni, alle aspirazioni della vita di ogni giorno. La mia famiglia di buoni costumi, prima di accoglierla in casa, tentennò; quindi l’accettò con riserbo. Non nascondo che me ne ero innamorato, ma tremavo; non espressi desideri ed aspettai che maturassero gli eventi. Al mattino era la prima a destarsi e fino a sera rassettava, cucinava e finché la casa non era un luccichio, non si dava riposo. La mia finestra affacciava su un podere ed il contadino vista la nuova attrazione divenne un fisso osservatore. L’intralcio era sorto bene e costituiva un buon banco di prova. Dopo breve tempo ella si lamentò del comportamento del vicino, ma io feci finta di non capirne niente e di non interessarmene affatto, uscendo dalla delicata situazione disinvoltamente. Chiedeva consigli, ma io non me la sentivo di dargliene. Consigli? E di cosa? Ella aveva ed ha un animo, un pensiero, una libera volontà.
L’intimità porta ad uno scrollo, le espressioni diventano chiare. Così superata la soglia del vituperio, ella mi disse che m’aveva sempre amato. Io non ebbi la forza d’animo di dire la stessa cosa, ma ella lo capì dal mio volto contratto dall’emozione. Ora bisognava convincere la mia famiglia e l’ostacolo sembrava insuperabile. Lo dicemmo prima a mamma, un angelo, che rimase titubante. Poi al babbo, il più affettuoso dei papà del mondo, ed anche in lui notammo titubanza. Cosa fare? Semplicemente aspettare e nell’attesa sperare. A questo interrogativo diede risposta una radiosa giornata di primavera. Gli uccelli cinguettavano a più non posso e gli alberi fiorivano come per incanto. Sotto il sole rovente la mamma ci trovò con le mani unite e strette. Zittì, poi lacrimando e sorridendo disse: “Unitevi per sempre!” Pieni di gioia l’abbracciammo. Poi andammo dal babbo, che ci benedisse nel nome del Signore.
Da allora un cuore smarrito ha ritrovato se stesso e spesso, unito ai suoi innocenti, si affaccia alla finestra e, in un libro ingiallito, rivede la pagina più luminosa e significativa della sua vita. Gli anni passano, i capelli incanutiscono, i solchi appaiono sul volto, ma i ricordi, i bei ricordi, forse a dispetto delle vicissitudini, restano illesi dalla corrosione del tempo.

Questo scritto del 1965, 41 anni fa, mi ricorda un avvenimento reale dell’epoca, quando alcune malattie infettive ti isolavano dal mondo e una donna con l’imene deflorata era marchiata per sempre. Sembra che siano trascorsi secoli da allora. Oggi il mondo è totalmente cambiato non so se in bene o in male. Sicuramente l’uomo è a pezzi ed aspetta una ricomposizione.

Dott. Francesco Penza, medico geriatra, filosofo
Direttore giornale l'"infinito"

 
 

ID: 4403  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: lunedì 18 settembre 2006 Ore: 12:37

Grazie Virna di avermi mandato indietro nel tempo.

Adesso propongo un simpatico articolo di Tuo padre sul giornalismo degli anni 70. Oggi il cartaceo è in agonia. Il pezzo che segue è entidiluviamo, ma non perde l'efficacia.

PAOLO FRINGUELLI,

GIORNALISTA SUI GENERIS

Ma in Campania vi è pure chi stampa il suo bravo foglietto quotidiano. Non si tratta del solito scrittore da dopolavoro comunale o poeta della domenica. Egli è uno strano filosofo che tira quotidianamente col ciclostile una modesta pubblicazione in folio.
Il contenuto della stampa di Paolo Fringuelli, perché di estetica non si parla proprio, può essere riassunto in poche parole. La teoria di Paolo Fringuelli, bruno, tarchiato, con gli occhi piccolissimi dietro occhiali enormi, consiste in un movimento starei per dire paracristiano o ideal-politico cristiano, come meglio viene, che postula la giustizia sociale attraverso le sole pacifiche (?) armi: carta, penna e calamaio.
Questa particolare forma di giustizia, pero, pretende un riscatto dei brutti, dei poveri, degli oppressi, insomma di tutto il negativo storico. Si tratterebbe, in pratica, di ribaltare i valori materiali universalmente riconosciuti. Ghettizzare e sottomettere, ad esempio, i ricchi, i belli, i saccenti, i detentori del potere, i quali, tutto sommato, costituiscono delle minoranze. Stabilire, in parole diverse, un classismo alla rovescia. Creare un' inversione di interessi, un modello sociale di valori pratici piu vicino alla massa. Egli è convinto che ciò sia possibile poiché la massa è più numerosa, e, da che mondo e mondo, la maggioranza vince. Si dirà, ad esempio, alla vista di una bella ragazza: Pussa via, bella e oca che non sei altro, che hai la marmellata al posto del cervello? Oppure: Disgraziato di un possidente, non ti avvicinare, sa, con la peste bubbonica della ricchezza, con la tua solitudine squallida! E ancora: Meschino di un potente, sparati la tua bomba atomica nel didietro perché, sappi, che essa manderà all'inferno te per primo, e via ciarlando.
Paolo Fringuelli ripete i moduli rancidi della protesta qualunquistica sostenendo che i poteri si camuffano di democrazia; che il sapere e la diffusione della stampa hanno scosso i giovani dal torpore dei vaneggiamenti filosofici, dall'illusione degli ideali politici, eccetera, eccetera. «La cultura e l'informazione, caro il mio tipografo conformista - mi disse - fraternizza il figlio del ricco con quello del povero ed entrambi vanno nei fondelli ai genitori». Paolo Fringuelli si desta puntualmente alle quattro del mattino, ciclostila in fretta tutto ciò che rimugina durante la notte. Alle dieci in punto esce la sua edizione quotidiana che distribuisce a mano personalmente, ogni giorno in un paesel1o della provincia.
A Napoli non sarebbe mai più andato perché un paio di volte «Mi indofarono di mazzate, chilli chiaveche! Fai bene, va'!». Gli risposi che il prezzo che pagano i messia è caro. Ci sedemmo su di una panchina nella Villa Comunale di Torre del Greco, e gli chiesi perché ce l'avesse in particolar modo con i fondelli dei suoi nemici. Ed egli per tutta risposta mi accusò di essere certamente un tipografo venduto al sistema, una pedina della società capitalistica.
Le sue spontanee reazioni non mi irritavano. Era sincero, in cuor suo, era solo un uomo mediocre affascinato dalla moda del giornalismo. Ma qualche idea originale non mancava, anche se astratta, fantasiosa ed utopistica. Non valeva la pena di compiere sforzi intellettivi per dire la mia, in fondo gli volevo bene, perché finisco col voler bene tutti, prima o poi, con la mia passionale tendenza all'analisi, ma compromessa, spesso, da un sentimentalismo che più partenopeo non si può.
Dopo me stesso, vedo tutti come bambini cresciuti; in questo modo si riesce ad intenerirsi a cospetto dei malvagi, dei pazzi, dei maniaci pure cruenti.Veder le loro carcasse d'adulti, non richieste, come scafandri sui loro corpi minuscoli, con quei ditini mirmicolanti; quasi sempre bimbi vessati, soffocati dalle angherie forse inconsapevoli dei genitori e degli educatori. Poveri assassini, poveri maniaci, poveri malvagi, (si fa per dire) quanto male hanno ricevuto le loro testoline in formazione, quanta indifferenza ed incuria, per essere condannati a divenir tali, a vegetare nella loro irreversibile maledizione. Forse noi sani che giustamente li condanniamo dovremmo espiare la nostra piccola parte di colpa, non altro la diffusissima politica dello struzzo, proprio quella che da noi talvolta fa pensare: Ad un palmo del mio sedere faccia chi vuole!
Ma noi genitori, meno degli educatori, non siamo psicologi, e soprattutto molti di noi siamo degli incoscienti bambini cresciuti, quindi agiamo in buona fede pur quando commettiamo errori gravissimi. Per fortuna i casi gravi sono ancora contenuti, pure nella mia terra. La maggioranza, male che vada, pecca solo di connivenza, forse allo scopo di non peggiorare situazioni scabrose. E va bbuo- no, nun fa niente; chiurimme 'n'uocchio; E' cos' 'e niente; Scurdammece 'o ppassato.
Questa è la filosofia del popolo vesuviano buono, pacifico, ma lontano dal concetto di codardia, una maggioranza di popolo inquieta, che anela il convivere sereno e civile, ma che si disorienta sempre più. Il negativo nella nostra terra è rappresentato da una minoranza più esigua di quello che si pensa, ma lo sanno pure i neonati cosa provoca una pera marcia in un paniere di pere buone.
Dissi a Paolo Fringuelli: «Non ricordo chi ha detto: l'illusione di ogni ideologo è quella di lusingarsi di cambiare il mondo, ma esso e fatto non gia di deliri mistici di tante idee separate, ma di tanti istinti separati, i quali, quando fraternizzano finiscono sempre, in un modo o nell'altro, col farsi male a vicenda».

1970 Luigi Mari



ID: 4402  Intervento da: Veronica Mari  - Email: veronicamari@libero.it  - Data: lunedì 18 settembre 2006 Ore: 12:24

Avevo otto anni quando feci una ricerca scolastica sul giornalismo locale e mi avvalsi di questo pesso di mio padre degli anni 70.
Voglio riproporlo al Dott. Penza, veterano del cartaceo locale sin dal 1960.

IL SOGNO DEL GIORNALISMO

ANNI 70 Nota: Questo discorso era valido 30 anni fa quando è stato steso il capitolo. Oggi con la rete le cose sono cambiate (N.d.R)

Le tipografie artigiane vesuviane che ancora realizzano nella maniera tradizionale le pubblicazioncelle locali pressate dalle ambizioni letterarie degli oscuri docenti di lettere, o dei cultori di sogni nel cassetto, o dei poeti del sabato sera di fama intercomunale, arrotondano il fatturato in un contesto lavorativo molto compromesso dall'offerta satura.
Ebbene, io appartengo alla categoria di questi sciagurati sognatori, conscio, però, del carmina non dant panem, non solo, ma pure del nemo propheta in patria, poiché queste sporadiche mie esperienze scrittorie desuetamente autofabbricate in tomi, sono destinate, volutamente a non valicare il circondario regionale.
Sono comunque solidale con tutti gli sventurati come me, e quasi mi rammarico del privilegio di poter prevalere, almeno quantitativamente, sugli altri, che la sorte non li ha voluti nemmeno bottegai tipografi.
Comprendo, anche se non giustifico, coloro che non sanno valutare i propri limiti, e continuano imperterriti in questo cammino spinoso, attribuendo il loro insuccesso solo a fattori egemonici da circolo chiuso. Oggi, più che mai, in tutti i settori culturali, l'estetica prevale sul contenuto, questo tende a soffocare l'espressione popolare nell'arte scrittoria, ed è una discriminazione. Chiunque ha il diritto di esternare i propri sentimenti, anche al di fuori di virtuosismi dottrinari. L'importante è riconoscere la propria posizione e non ostinarsi ad apparire quello che si vorrebbe essere e non si è.
Non è la semplicità d'espressione che è nociva, quando c'è contenuto, ma l'elaborazione culturale della povertà estetica che alimenta il desiderio di abbarbicarsi verso i fastigi di castelli a cui non si e provveduto, negli anni, a mettere su con tenacia e abnegazione, dietro un allenamento estenuante, mattone su mattone.

1980 Luigi Mari


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