ID: 4321 Discussione: Dall'altra parte delle Alpi
Autore:
D'Adamo Vito
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Scritto o aggiornato:
martedì 12 settembre 2006 Ore: 11:05
I LAZZARI
Da “IL TORRESE”, novembre 1958.
Provenienti dalla nuova Litoranea, percorrevamo in macchina la strada per Santa Maria La Bruna, ed avevamo davanti, un po’ sulla nostra destra, la dolce collinetta dei Camaldoli. Oltre la verde campagna, contro il cielo settembrino annuvolato, il Vesuvio si stagliava grigio; e ci pareva che fossimo senza meta in quella mattina priva di sole, la quale veniva inopinatamente a creare una soluzione di continuità nel nostro ciclo balneare. Cosicché proposi che si andasse ai Camaldoli, invito accolto con subito entusiasmo, poiché si vagava; e si andava piano, a passo d’uomo, discorrendo di poeti. Ed i poeti, allora, si fecero carne, e, così, Peppe (1) prese a dire una lirica del Cetrangolo (2), quella:
“...Ricordo un luogo del Tirreno, quale
non so; ma rassomiglia a una leggenda,
che fece solitaria la mia vita...” (3)
Peppe declamava e noi eravamo assorti, pensando alla mitica riva, dalla quale si salpa all’impresa dell’ultimo viaggio. Quando poi in nostro amico al volante ebbe terminato la perfetta dizione in un sussurro, ecco: i nostri sguardi si posarono sulla campagna umida; poi ci vennero incontro nel silenzio le nude, inutilmente torve costruzioni di alcuni fortini dell’ultima guerra; ed il cemento cinereo, talvol-ta muffito di verde-nero, ci spalancava contro i suoi scuri vuoti troncopiramidali. Vanamente costruiti, abbandonati in quella ridente plaga, non avevano mai avuto tempo, né opportunità di divenire parte del paesaggio; ed io mi chiedevo perché mai la vegetazione non li avesse occultati o per quale vicenda il Marte moderno non li avesse vivificati col fuoco.
Così, oltrepassati i Camaldoli, si giunse al varco del recinto dell’antica proprietà Ferrigni, oltre il quale intravedevamo le colture e la pineta. E subito volemmo andare alla villa, che ospitò il Leopardi. Parcheggiata la macchina presso l’ultimo fortino della serie, varcammo il cancello, mentre un sentore di pioggia rimescolava l’aria. Poi ci fu l’odore acre dell’humus e qualche goccia cadde giù dalle nuvo-le sparte.
Un cane ci venne incontro, un bracco dalle orecchie flosce, un bracco come tanti bracchi, bigio a chiazze brune. Lo seguiva un contadino, cui Enzo (4) domandò il percorso. C’indicò la strada corte-semente, benché la dichiarasse incomoda. Saremmo giunti prima e comodamente se fossimo entrati dall’ingresso tradizionale, proseguendo sulla normale strada. Peppe, che come tutti noi e più ancora, s’era sentito invadere dallo spirito leopardiano, rispose che:
“...per montagna e per valle,
per sassi acuti ed alta rena e fratte...”,
bisognava andare, e si era fatto pastore errante dell’Asia. Il contadino, anziché stupirsi di tale linguag-gio, ci rispose che andassimo pure. C’incamminammo lungo i filari di viti dai grappoli grevi, ma non del tutto maturi, e, poi, attraverso la pineta e, ancora, su per una lava, finché non intravedemmo tra la vegetazione il colonnato di Villa delle Ginestre.
Avvicinatici, essa ci apparve abbandonata. Ora, guardando in giro, alla ricerca di qualche segno di vita, scoprimmo la meridiana, disposta sul muro sotto la terrazza soprastante il colonnato. V’era se-gnato un motto: “Sine sole sileo” dalla sibilante assonanza; ma non scoprimmo che al termine della visita il suo significato vero. Già non v’era sole e, quindi, la meridiana non trasmetteva l’ombra del suo stilo sulle ore, segnate in semicerchio in basso. E ci pareva che fosse già veritiera in quella matti-nata settembrina piovosa appena, ma dall’ampia nuvolaglia appiattita sulle nostre teste, sul Vesuvio, sui Camaldoli, sulla villa. Il motto latino, però, doveva apparirci più tardi figurazione simbolica di una tentata esclusione del genius loci da parte dei proprietari e degli occupanti la villa, dei quali ci sor-prendeva l’assenza. In silenzio svoltammo lungo il portico e vi scoprimmo la lapide, le iscrizioni, le finestre sbarrate.
Scambiandoci le nostre impressioni sottovoce, prendemmo a leggere prima la lapide (5), quindi le testimonianze (6) scritte sul muro intorno al marmo e presto fummo totalmente assorbiti dalla docu-mentazione murale, occasionale, redatta in tempi diversi da cento mani diverse e tutte devote, attesta-zione universale della grandezza del Poeta.
Ora, mentre Iffland (7), commosso, come ammaliato da un rituale tutto suo, leggeva ad alta voce al-cune di quelle testificazioni perché io le trascrivessi, ci sentimmo gridare all’improvviso di non spor-care il muro.
Colti di sorpresa, ci girammo e scorgemmo la proprietaria, tale pensammo che fosse, che, svoltato l’angolo, s’era fermata e ci fissava a sguardo duro. Le risposi garbatamente che non sporcavo il muro, ma copiavo su di un foglietto, ad esso appoggiato, alcune delle numerose attestazioni, ivi lasciate dagli ammiratori del Poeta, e le raccoglievo come materiale per un articolo, che avrei presto scritto.
-Sì -, replicò – scrivetelo sui giornali che questi lazzari mi sporcano tutti i muri. I lazzari!
-Io non la prenderei in questo modo – intervenne Iffland. – Sono testimonianze...
-Sono dei lazzari! – lo interruppe seccamente la proprietaria e scomparve oltre l’angolo, così, com’era venuta.
Non potemmo, quindi, visitare la stanza, occupata a suo tempo dal Leopardi, chiusa, sbarrata. Sulla strada del ritorno, tutti mantenemmo un silenzio rabbioso, ed io rimuginavo sulla strana metamorfosi che subiscono talvolta le parole. Il termine “lazzaro”, usato maldestramente a definizione di un tristo figuro, era stato trasferito a significare individui, che venuti da lontano in riverente pellegrinaggio alla villa, che ospitò un amatissimo Poeta, e non potendo visitare la stanzetta in cui questi temporaneamen-te fu ospitato, né avendo a portata di mano un registro, su cui vergare i sensi della propria ammirazio-ne, si vedono costretti ad affidarli al muro.
Vito d’Adamo
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(1) Giuseppe Violante, che guidava.
(2) Enzio Cetrangolo, poeta e insigne latinista. Esteso l’elenco della sua produzione letteraria, edita dal Sansoni, da Mondadori, da Mursia, ecc.
(3) “Marina”, da “I miti del Tirreno”, Mondadori, 1958.
(4) Vincenzo Jacomino.
(5) “Qui sull’arida schiena / del formidabil monte / sterminator Vesevo / Giacomo Leopardi / scrisse / La Ginestra e Il tramonto della Luna. / Il Comune di Torre del Greco / nel primo centenario della morte / del grande Recanatese / ai posteri tramanda. / 1937 – XV”.
(6) Alcune testimonianze dei “Lazzari” – Hieme et aestate, secundis et avversis, in vita et ul-tra, non firmato. - 21.6.52. Giovanni Fiore, che da “Le Ricordanze” del Leopardi trasse il nome di sua figlia Nerina, richiama in questa villa con profondo, pio affetto, la incancellabile memoria del suo grande Maestro. – Devotamente. Guido Sabini. – Visita in solitudine con commosso riandare ai ricordi della scuola. P. F. 25.6.59, ospite della Casa di Riposo. – Il tuo pensiero accosta l’uomo al divino. Carlo De Nurdo.
Firme straniere: Woltrand Fleming, Berlin. 11.3.54 – Hannelore Karbaum, Berlin, 12.7.1955. – Eberard Borniski, Berlin, 12.7.55.
Una composizione in versi, infine, amiamo credere improvvisati in loco, priva di firma:
A GIACOMO LEOPARDI.
Dolce e profondo nei tuoi capolavori,
Giacomo, fosti delle Muse figlio;
te penetrando in più duri cuori,
Li portasti lontano nel gran naviglio.
Nell’infinito, pieno di dolori,
cercasti sempre dalla vita esiglio,
vani furono per te tutti gli amori
della natura, no, non fosti figlio.
La morte che cercasti con desio
colse alfin stremato dal malore
te, di tutti i poeti il vero dio.
Riposa in pace, non aver dolore
lasciato hai finalmente il mondo rio
e, se giustizia c’è, solo avrai amore.
Torre del Greco, 27.8.1952.
Lagnanze:
Si suol dire: “Buon sangue non mente!”. Purtroppo la villania della proprietaria di questa magione ha raggiunto i limiti delle umane possibilità, negando l’accesso per ben due volte alla cameretta a due turisti recatisi qui in pio e reverente pellegrinaggio. Alfonso e Nella – 27.8.52. Al dio dei poeti. Rosaria Vitiello, Del Papa, Di Gennaro – Questi ultimi ebbero anch’essi di che lamentarsi, se si deve credere a quanto in altro punto del muro è scritto.
(7) Iffland Cetrangolo, fratellastro di Enzio.
A Gigimari, alla giovane redazione:
Carissimi, lo scritto che oggi vi prospetto per l’edizione domenicale è veramente particolare: un reso-conto fedele di quel che ci capitò un giorno di settembre di quarantotto anni fa, con annessa documentazione, certamente scomparsa durante i lavori di restauro della Villa. In tutti questi anni, nessuno ha contestato l’esistenza di tali scritture e l’esattezza della trascrizione, dovuta interrompere dopo l’arrivo della proprietaria. Non avevamo, purtroppo, una macchina fotografica. Desidererei che a questo scritto fosse collegata una foto della Villa, risalente al periodo suddescritto, ci dovrebbe essere da qualche parte.
Vi ringrazio per l’affettuosa attenzione e la premura, da voi tutti messe a presidio dei nostri rapporti. Attendo la risposta di Gigimari e auguro a tutti buona domenica.
Vito.