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Argomento presente: « Dal lontano 1966, PenZa »
ID: 4192  Discussione: Dal lontano 1966, PenZa

Autore: Antonio Fedele Cesi  - Email: fratellino.50@email.it  - Scritto o aggiornato: venerdì 25 agosto 2006 Ore: 19:56

LE RIVELAZIONI DI PENZA (1966)

Vincenzo Coscia

Spesso Franco Penza narra, contrariamente a tutti noi , scribacchini dei fogli di questa città, che vogliamo soltanto ragionare, discutere, criticare, deliberare.
Franco Penza spesso narra e quando meno te l’aspetti, anche sui pochi fogli del catalogo della mostra di pittura.
Quando Penza racconta, spesso parla di sé, del suo piccolo mondo, dei suoi genitori, delle traversie della famiglia con tale cruda e nuda sincerità e tale plastica evidenza che pensiamo che come egli non ha peli sulla lingua per gli altri, non li ha neppure per sé.
“Abita in una stamberga, si è ammalato più volte e, quando gli hanno detto che aveva qualcosa ai polmoni, ha riparato in ospedale”.
Ma, caro Penza, hai il coraggio di fare simili affermazioni in una società conformista, qual è la nostra, ed in un ambiente innegabilmente ed inguaribilmente conservatore? Ti sei bollato con marchio indelebile per sempre…
Senza dubbio somigli all’antico poeta greco Archiloco, che nel mondo ellenico, in tempi in cui il combattente non poteva allontanarsi dal modello dell’eroe omerico, forte e sicuro di sé, osava parlare delle sue disavventure di soldato e cantare: ”Io ho abbandonato il mio scudo (ossia me la sono data a gambe levate, in fuga) Vada alla malora!!.
Ci vuole non poco coraggio per fare certe affermazioni.
Nel brano “Adorata mamma” ottiene una più sentita commozione, che raggiunge il colmo, quando egli si eleva al riconoscimento della vanità e inutilità della sua esistenza.
E’ naturale che da tali ammissioni si giunge alla condanna della odierna società non solo della nostra città, ma di tutto il Paese:”…Se dai, dicono che hai; se ti danno dicono che sei un miserabile!”
Riportiamo nell’ambito della democrazia tanti giovani che se ne sono allontanati per sempre sfiduciati.

In occasione di una mostra di pittura insieme con Scognamiglio e Sorrentino. Franco scrisse sul catalogo le sue riflessioni sociali e il prof Coscia commentò le amare doglianze del pittore-scrittore.

Antonio Fedele Cesi


 
 

ID: 4213  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: venerdì 25 agosto 2006 Ore: 19:56

MIA MADRE IDA
Ventesimo anniversario della scomparsa

La morte di mia madre mi ha permesso di meditare e di ripercorrere gli anni dell’infanzia, della fanciullezza, della giovinezza all’ombra della donna con gli occhini di malinconica dolcezza con un viso di madonna bruna, di atzeca memoria e di Andaluso aspetto. Forte, bella, tenace, ci mise al mondo con il sorriso sulle labbra, unica gioia in “spirto ramingo”. Ho dormito sogni tranquilli, non mi sono reso conto delle sue esigenze e mai accorto che mi proteggesse; tutto era realizzato in silenzio, ovvero canticchiando senza successo che avrebbe meritato tanta abnegazione.
Intanto gli anni passavano, la segnavano e, infine, un male inesorabile decise di strapparla a me anzitempo, riportandola al Creatore.
Io non capivo la sua remissione e la sua accettazione di una vita, in cui recitava la vittima predestinata. Olocausto per i figli, annullandosi e realizzando il suo sentimento materno in una dimensione astorica e irreale.
L’ultima volta che ho parlato con lei, eravamo esasperati entrambi: lei per il dolore ed io per l’impotenza davanti al terribile male. Abbiamo gridato. E il nostro grido è giunto in cielo. Dopo poco la crisi, l’ultimo capodanno insieme, la fine.
Quella voce da soprano, in un letto che profumava di morte, mai dimenticherò.

Dott. Francesco Penza


ID: 4194  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: mercoledì 23 agosto 2006 Ore: 15:32

IO SONO DI TORRE DEL GRECO

Esposito: «Roma, non vedo l'ora» (Il Romanista) «Spero tutto vada bene. Totti e la Sud, il massimo».

La Curva Sud fa impressione. Io sono di Torre del Greco, sono un ragazzo del Sud, conosco quello spirito lì, quanto è importante il calore della gente, la spinta che ti dà. Ma Roma non è solo questo».

Che significa andare alla Roma? «Giocare in una grande piazza, in una città splendida davanti a un pubblico incredibile.
Mauro Esposito, è vero che è quasi fatta con la Roma? «Guarda, io aspetto, spero che vada tutto bene. Perché, sì, lo so che la Roma mi vuole».

Ha fatto pressioni per potersene andare? «No, anche perché io ho ancora due anni di contratto col Cagliari e non mi sembra giusto. Qui mi vogliono bene, sto bene a Cagliari, però, certo, tutti sanno anche che per me andare alla Roma sarebbe il massimo».

Che significa andare alla Roma? «Giocare in una grande piazza, in una città splendida davanti a un pubblico incredibile. La Curva Sud fa impressione. Io sono di Torre del Greco, sono un ragazzo del Sud, conosco quello spirito lì, quanto è importante il calore della gente, la spinta che ti dà. Ma Roma non è solo questo».

E cos'è? «Giocare con Francesco Totti, il massimo. Già ho avuto la fortuna di farlo in Nazionale, potersi allenare tutti i giorni con lui sarebbe il massimo».

Ti immagini di giocare al fianco di Totti o con il numero 10 un po' più indietro? «Io m'immagino di giocare con Totti e basta, m'immagino sì».

Fonte: www.goal.com/it


ID: 4193  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: mercoledì 23 agosto 2006 Ore: 15:22

Caro Antonio Fedele Cesi,
tu sei importante per me non già perché ti chiami Cesi, cioè "cesoia" che metaforicamente avrebbe potuto essere non la "forbice" nel senso del pettegolezzo, ma la critica giusta nel senso della SATIRA, tabù per i torresi; sei importante ancora non già perché sei il cognato del grande Maresciallo Peppe d'Urzo che se lo volessimo collocare nella Torre di Pietra dovremmo metterlo nel all'altezza dei precordi, come il cuore della città; ma sei importante per me per l'amore disinteressato, immutabile, amichevole per il filosofo-medico Dott. Franco Penza, amore fraterno raro a Torre del Greco.
Come è rara le storia che attendiamo dal torrese Giuseppe da Verona che ha ottenuto il fegato dalla sorella per vivere.
Due casi torresi che sono l'eccezione che confermano la regola, secondo me, delle lotte fratricide sotto il vilcano per motivi di interesse.
Ora Te lo piazzo qui sotto l'articolo tratto da "Il penZatore" degli anni 70 di Franco Penza: "FRATELLO TORRESE" di Luigi Mari.

FRATELLO TORRESE!
(da Il PenZatore) 1972

Per dare foga ai due articoli che seguono mi sforzai di scriverli con lo stile malapartiano, non solo, ma accentuai la tecnica con quello ancora più regionale, toscaneggiante con cui lo scrittore stese "Maledetti toscani". Il risultato mi entusiasmò. Ma non è ancora estinta in me la profonda amarezza per i fatti locali che mi ispirarono a scrivere questa ironico, caustico articolo.

Apparentemente si può avere l'impressione che il torrese sia "fratello"perché molto religioso. Non perché sia bigotto il torrese è fratello, che è un modo molto puro d'essere amico. Non già perché il bigottismo esclude ogni forma di fratellanza, ma appunto perché il torrese, religioso genuino, è soprattutto fratello grazie alla maniera sfacciata di non esser bigotto. Ed è molto difficile essere fratelli in questo senso, oggi che di religiosi puri ve ne sono ben pochi, quindi pochi fratelli ma tutti amici. Ed è inutile che il maligno ci sussurri che l'amicizia non esiste, che essa è solo complicità. Non che il torrese sia migliore o peggiore degli altri popoli, ma è sostanzialmente diverso per il modo drastico di esser fratello, pur non essendo amico (intendo amicizia anni '70). E il fratello, se deve dare dà, senza indugio, sopra tutto quando è ricco. E anche i servitori, mi si scusi il termine, anche i servitori del ricco o potente torrese sono per niente amici ma fratelli. Fratelli minori, naturalmente e meno religiosi, perché meno si è fratelli e meno si puo stare a posto con la coscienza, ed è normale.
Anche i poveri a Torre, a differenza degli altri poveri, sono fratelli, non già perché siano poveri religiosi, scusate: religiosi poveri, ma perché danno la possibilità ai fratelli maggiori d'essere tali, perché appunto se non ci fossero i minori, i maggiori sarebbero fratelli e basta. Anche questi ultimi fratelli a Torre sono i migliori, sono i preti, non i sacerdoti, sia ben chiaro. Essi sono fratelli e basta, perché sono rimasti padri, ed hanno tutti figli minori. I minori sono una categoria speciale. Se hanno bisogno d'aiuto, essi si rivolgono ora al padre, ora al fratello maggiore, ma se le cose non vanno bene, imprecano il Nonno che se ne sta buono buono e non si fa mai vedere, ma che fratelli, figli e padri amano e rispettano e spesso venerano.
Non perché il torrese sia peggiore o migliore degli altri, ma è terribilmente fratello in tutte le sue azioni, anche rubando, quando capita. Anche il ladro a Torre è fratello, non soltanto perché è generoso o di buon cuore, ma perché non è bigotto e soprattutto è molto religioso, infatti, trova sempre qualche santo che lo tolga dai guai.
E i santi a Torre sono un po' come i fratelli maggiori, non altro che per quel modo così appassionato di non essere bigotti. Anche le donne torresi, più che madri e spose sono irresistibilmente fratelli, ma, a differenza degli uomini, sono un po' bigotte, per questo sono anche un po' amiche. Seguire la moda con discrezione, con sobrietà, senza invidia o antagonismo di sorta è un modo nobile d'esser fratello, per una donna.
Ma ciò che più rende fratelli le donne a Torre è il pudore, che è un modo molto torrese d'essere donna, ll pudore delle donne torresi è inconfondibile: io riconoscerei una mia compaesana a New York, tra un mare di gente, attraverso il pudore, nel modo garbato e attento con cui si copre nello sguardo timido e sottomesso in quell'espressione acqua e sapone che la caratterizza.
Poi, grazie alle donne il maschio a Torre è più fratello che mai, fratello di latte, magari. La categoria neutra è quella delle suocere. Il presente e il futuro della città è nelle loro mani. Esse non sono differenti dalle altre suocere del mondo, ma sono particolarmente suocere per il modo testardo di non voler essere fratello. Ma pur non essendo amiche sono terribilmente bigotte, tanto che se cade 'I'orre, la reggono le suocere. Chissà che non la reggono già da adesso...
Un altro modo d'esser fratello a 'I'orre è quello nobile di ammettere i propri torti senza battere ciglio, porgendo l'altra guancia. Quale modo meraviglioso d'esser fratello! Anche perché, per fortuna, il fatto di dire "pane al vino..." e... "vino al pane..." è un modo tipico d'essere amico e non fratello, grazie al Signore.
C'e ancora una maniera d'esser fratello che è quella sciocca, inconsueta di stimarsi e di amarsi. Non che questo sia un modo o l'altro d'esser torrese, ma è certo un modo molto d'uso d'essere amico, pur non essendo bigotto. Ora bisognerebbe fare il punto sulla parola fratello che spesso è confusa con la parola caino. Ma tutto è chiaro quando si parla del fratello torrese, il quale, non essendo caino, è soprattutto fratello, perché religioso. Fratello inteso in senso cristiano che è molto di più del fratello, inteso in senso umano, il quale se fa una buona azione, la fa con materialismo, magari donando i propri beni. Il fratello cristiano certo materialismo lo lascia dov'è ed elargisce solo il proprio spirito, il proprio credo e soprattutto le meravigliose promesse.
In fondo anch'io, come torrese, sono un fratello, il quale tirando le somme, è un cittadino del mondo; un fratello io come altri, crogiolato non solo nel sentimento campanilistico ma nell'angosciosa gioia d'essere cosciente di sapersi fratello.
Non c'è modo più banale d'esser fratello che quello d'esser sincero, molto più che 1'esser mendace che è la maniera giusta d'essere amico. Ma l'esser sincero, il più delle volte e un po' come l'essere pauroso; e meno male che avere paura e il modo più tipico d'esser bigotto, come non e il torrese, grazie a Dio.
L'unico modo di non esser fratello a Torre è quello d'esser parente, non già perché non si ami il proprio sangue, ma perché il fratello uterino si ama da morto prima che da vivo. Infatti questa maniera d'esser fratello, che è la meno ortodossa, fa sì che il fratello, morto in vita, nasca non appena è sottoterra. Non ho mai visto amare un fratello vivo, nella mia città, come l'ho visto fare con uno morto. La gioia, la felicità, la lealtà che gli si nega da vivo gli si dà da morto. Veder amare un vivo a Torre è una cosa disgustosa. Se si suol dire "i figli si baciano nel sonno"si può anche dire, a Torre, i fratelli si baciano da morti. Si spenderanno centinaia di migliaia di lire per il proprio cadavere, fiori, e avvisi di lutto enormi; si verseranno mare di lagrime, ci si tormenterà allo spasimo, si impazzirà dal dolore, là quando non s'aveva mai speso un soldo, per il vivo, mai tormentati e mai impazziti. E' uno spettacolo commovente e angoscioso, tanto che vale la pena di non esser fratello, e l'unico modo per non esser fratello, a Torre, e quello d'essere figli alla stessa madre, da vivi; figli di Dio da morti.
1972 Luigi Mari

www.torreomnia.it/Testi\giornalismo.htm


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