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Argomento presente: « IL MALOCCHIO »
ID: 2805  Discussione: IL MALOCCHIO

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: venerdì 11 novembre 2005 Ore: 23:25

Sai Bene, Gigi Mari che non ho mai avuto peli sulla lingua e che non ho mai nascosto le mie origini modeste. Il fatto che oggi sia plurilaureato non mi ha montato la testa, anzi. Sono per la povera gente, per gli indifesi, faccio geriatria e volontariato apposta. Grazie per il tuo commento. Questo è un'altra tessera del mosaico della mia autobiografia, quella di un uomo semplice, però dai vissuti complessi. Mi autoassolvo, malgrado i miei difetti che sono il complemento delle virtù, se ci sono, Gigi, fosse non altro perché non sono prolisso come Te. Mi faccio leggere.

IL MALOCCHIO

I figli della strada sono i figli della strada e i figli del collegio sono i figli del collegio. Educazioni diametralmente opposte! I primi s’inserivano nella società a suon di botte, i secondi con la dialettica.
Figlio della signora del cinema, perché mio padre lavorava in un locale di proiezione di pellicole a Torre del Greco, io dovevo solo assistere ai confronti diretti tra i ragazzi del quartiere ed essendo il più piccolo d’età, subire. Un mattino, mentre giocavo a biliardo, fui assalito, con una gragnola di colpi, da un folle, che terrorizzava l’Associazione cattolica.
Io reagii immediatamente: con una mano tenni fermo l’energumeno, con l’altra colpii più volte il viso del malcapitato.
Per il segno della lotta sulle labbra tumefatte, mio padre m’invitò a frequentare una palestra di pugilato. Aderii con piacere sino ad arrivare ai campionati nazionali di boxe. Ciò che allora e tutto oggi non si è capito, perché uno sport violento, si definisce nobile arte. osì, mentre il mio avversario avanzava, io pensavo che non essendo mio nemico, non era il caso di fargli del male e che la smettesse: non c’era ragione di litigare. Quando io mi accorgevo che i suoi diretti al viso erano maligni, reagivo, ma era tardi: i miei colpi non avevano più potenza ed io sentivo solo l’arbitro decretare il K.O.T. Poi una malattia pose fine ai propositi. Lasciai il pugilato, mi dedicai agli studi e imparai a difendermi, accantonando la mia rabbia repressa dell’infanzia d’umiliazione, cambiando le carte sul tavolo da gioco della vita.
Incontrai l’angelo, che trovò difficoltà a parlare per 30 anni con me, accusandomi di lanciare il malocchio. E’ solo un’espressione di paura, perché non sono un fattucchiere. La sua educazione è dell’altro mondo.
Per una collegiale, è duro vivere nella società della violenza, nei collegi mascherata. Essere uomo oggi è difficile in un mondo di fragilità, di megalomania, di paura, d’infantilismo, d’omosessualità.
Lo scontro comincia nelle abitazioni. Questo per le generazioni di ieri, oggi invece le decisioni sono prese durante la giornata, in mesi, in anno, mai dopo trent’anni di matrimonio indissolubile.
I modelli degli orfani non esistono: essi non hanno genitori cui riferirsi. Il marito potrebbe diventare il padre e la moglie, la madre. Ma è falso. A me sta bene tutto, ma quando il problema investe il sociale, le cose non funzionano: fame nel mondo, poveri, armi, distruzione. A chi è preposto il compito delle soluzioni? L’ignorantizzazione dei popoli è dovuta a pochi manager, che, capovolgendo le logiche del vivere civile, dicono che massacrando i poveri si vive meglio. O che il calcio è il mito d’oggi: O la TV del nulla c’invita al piattume.

Dott. Francesco Penza

 
 

ID: 2808  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: venerdì 11 novembre 2005 Ore: 23:25

Visto che siamo in tema di revival Ti invio, pubblicamente, un altro "pezzo" pubblicato negli anni 70. Dire che pure questo sia attuale è poco, oserei dire è avanguardistico. Purtroppo con i sentimenti, si sa, si va di male in peggio.

IL MALEDETTO INCASTRO

Farsa in un atto di Franco Penza
Scena: interno di un’abitazione rurale di una ridente cittadina campana alle falde del Vesuvio

PERSONAGGI: paraninfo, fattucchiere, patriarca, ragazza, giovane.

MATRIARCA: Buongiorno, don Menio. Come mai da queste parti?
FATTUCCHIERE: Signora, ho portato l’intruglio che mi avete chiesto. Vado di fretta. Tenetevi la bottiglietta e custoditela bene. Arrivederci.
PARANINFO: Posso entrare? Buongiorno, signora! Come vanno gli amori? Se male, provvedo subito. Tengo due giovani a portata di mano, che fanno al caso vostro. L’anno scorso mi avete compensato molto bene.
MATRIARCA: Vanno ancora d’accordo. Appena dovesse accadere qualcosa, vi farò sapere.
PARANINFO: Stiamo durando. L’anno scorso ne cambiammo una sessantina, vale a dire uno ogni settimana circa. Avevo preso gusto a dire:”Signora, ho provveduto alla vostra richiesta. Ho trovato un giovane, che fa al caso vostro. “Voi rispondevate ansante:”Che professione svolge, come si chiama, è alto, bello?” Io replicavo:”Piano, piano, sta fuori; ve lo faccio subito conoscere. Beh, signora, per ogni eventualità, sapete dove trovarmi. Arrivederci.
MATRIARCA: Figlia mia, speriamo che con questo si arrivi al matrimonio. Ti raccomando di dire che non sei mai stata fidanzata, che non hai visto mai volto di un uomo, che non conosci un’acca della vita. Deve crederti un angelo.
GIOVANE: E’ trascorso del tempo, ma sono emozionato. Non mi era mai successo una cosa del genere. Io sono abituato alla conquista.
RAGAZZA: Qui è tutto diverso. Ci si fidanza una sola volta, non si parla per strada con i giovanotti, non si conosce volto di uomo, non si capisce un’acca della vita.
GIOVANE: Male da un lato, perché bisogna arrivare preparati al matrimonio. Potrebbe essere un bene dal lato morale con le debite riserve. Una gemma rara in un mondo, che sa solo cos’è la corruttela.
MATRIARCA: Prendi una gustosa tazza di caffè, roba fatta in casa, genuina.
GIOVANE: Mi fanno ridere quando si parla di miscele con fatture. Idee che appartengono al satellite dell’ignoranza. Che strano caldo stamattina! Tutti alla spiaggia: ossa, carne e pelle al mare: un carnaio. Egregie, i tempi sono mutati. Ai tempi vostri c’era più ipocrisia, ma era la stessa cosa.
MATRIARCA: Per amore del cielo! Ti dico che c’era più semplicità. Ma le mie figliole sono rimaste a quella semplicità. Io sono ancora ingenua in certe cose. Raccontano sozzure, che fanno rabbrividire alla mia età.
GIOVANE: Penso che tu sia diversa dall’ambiente in cui vivi. Penso che tu sia una ragazza evoluta. Ti sei adeguata ai tempi. Non dimentichi lo sbalorditivo progresso di oggi. Sarebbe assurdo vivere contro corrente.
RAGAZZA: Noi non viviamo contro corrente. Viviamo secondo quanto nostra madre ci ha insegnato. Nostra madre ha detto sempre che innanzitutto il denaro è alla base dell’amore. Poi viene il resto. Non siamo mai state fidanzate, non abbiamo mai conosciuto volto di uomo e non conosceremo altro se questo amore dovesse fallire. Meglio il convento.
GIOVANE: Fidanzate cento volte, violentate e abbandonate, tutto ciò a me non interessa. Basta solo che ci si dedichi completamente al nuovo amore. Il soldo poi serve non in senso assoluto, ma relativo. Avete una mentalità gretta e fuori epoca. E qui esiste una forma patriarcale superata da secoli. Siamo indietro di millenni rispetto alla signora civiltà.
MATRIARCA: Ho pensato di celebrare un unico matrimonio. Due sorelle e due fratelli. Fantastico!.


GIOVANE: Quanta fretta! Senza conoscersi si convola a nozze. Diamo tempo al tempo. E poi insieme…
MATRIARCA: Quando dico una cosa non voglio che mi si contraddica, assolutamente!
GIOVANE: Voi siete stati educati ad agire così, ma noi no. Solo se il maestro Pitagora asseriva qualcosa, i suoi discepoli esclamavano in coro :”Dixit!” e tacevano. Ma non tutti sono Pitagora. In epoca spaziale obbligare il matrimonio. Ma stiamo scherzando? E l’amore, dov’è l’amore??
MATRIARCA: Parli sempre d’amore, ma a che cosa serve questo amore benedetto?
GIOVANE: Purtroppo, questo amore, che domina oil creato, che fa soffrire e gioire, non lo capirete mai. Capirete soltanto l’amore per il soldo, il maledetto denaro. Vedo che il mosaico traballa.
MATRIARCA: I soldi sono la base di tutto!
GIOVANE: Signora, siamo agli antipodi. Io dico bianco e voi rispondete nero. Io ideale e voi materia. Io verità e voi bugia. Io progresso e voi regresso. Egregia signora, restate con la vostra ed io con la mentalità. Mi dispiace per la ragazza, che purtroppo fa parte del naufragio ambientale.
MATRIARCA: Dunque, è tutto finito?
GIOVANE: Abbiamo appena iniziato e già tutto è finito. Avete creato un maledetto incastro! Se il male è alle radici, meglio svellere la mala pianta. Arrivederci! E ricordate che avete perso un’altra battaglia decisiva. Bisogna estirpare le ortiche!
RAGAZZA: Non sono stata mai fidanzata, non ho conosciuto volto di uomo, meglio il convento.
PARANINFO: Stavolta, signora, ho provveduto alla vostra solita richiesta

Dott. Francesco penza



ID: 2806  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: venerdì 11 novembre 2005 Ore: 23:17

Caro Franco,
hai voluto inviarmi questo post via privata con un pezzo scritto nel 70 da un Luigi Mari venticinquenne, dopo un anno che avevo aperto la mia bottega artigiana di Via Purgatorio. Un pezzo privo di sfoggio dialettico, di sofisticherie letterarie, ma non privo di significato. L’avevo dimenticato, è stata una gradita sorpresa. All’inizio di questo mese avrei voluto scrivere qualcosa per i nostri morti del 2 novembre, lo faccio adesso con un testo di trentacinque anni fa che si rivela sorprendentemente attuale.

A CIASCUNO IL SUO

Domenica 2 novembre 1970, via Purgatorio, vico Cimiotero, Torre del Greco. Un odore insistente di frittelle, crocchette, torrone, ciambelle al pepe. Aria di festa. Bancarelle guarnite. Palloncini volanti. Sfoggio di moda. Sguardi. Sguardi che sono discorsi, risposte. Sguardi furtivi, di desiderio, di invidia, di dolore. Gridolini di fanciulli. Piagnucolii di mendicanti, accattoni autorizzati, venditori ambulanti: è la festa dei morti. Una volta era il giorno dei morti, oggi è la moderna festa dei morti!
Siamo in pieno clima di protesta, di riforme, il 68 è ad una spanna. E’ bene che anche i morti si aggiornino; bisogna che pure i morti, per il benessere dei vivi, anziché essere così inutili e costosi, servano a qualcosa. Anche dai morti bisogna trarre il tornaconto.
Il tramestio è incessante. La gente bene lascia cadere la monetina con distacco. Il commendatore Tizio trattiene il cavaliere Sempronio con aria superba, e, quando vede che un gruppo interessato gli si accalca intorno, con gesto spagnolesco accosta in seno ad un mendicante mille lire tra lo stupore degli astanti.
L’aria è satura di aromi e, a mano a mano che ci si avvicina all’ingresso del cimitero, predomina l’odore dei ceri e dei fiori, misto a quello acuto delle ragazze imbellettate, che ostentano un falso pudore. E’ l’eccitante, morbosa fusione del sacro al profano ed è importante, per l’economia del Paese, che anche i morti abbiano la loro utilità.
La passerella è all’incrocio del viale antistante l’ingresso. Ecco sfilare donna Caia, la signorina Menia, raggianti più che mai. Qualcuno rompe l’atmosfera attraversando il luogo con un’incomoda scala. Gli sguardi di ammirazione e di invidia sono attutiti di tanto in tanto da voci:”Chi vo ll’acqua, ‘a scala, signò!” Meno fastidiose risultano le voci sommesse di rappresentanti della borsa nera:”Malboro, Peer, Wiston!”
Uno schiaffo sonoro e un calcio violento assestati ad un bimbo che ha messo il lumino di duecento lire su un’altra tomba sono spettacolo nello spettacolo.
I miei morti. I miei morti non sono i morti degli altri. I miei morti sono i più importanti, prima che i più belli, innanzitutto, perché sono miei, poi perché sono quelli che mi fanno fare ottima figura.
Sono dei morti, come dire, interessanti, utili, perché in fondo, parliamoci chiaro, un morto a cosa serve? Duemila anni di civiltà ci sono voluti perché ci liberassimo finalmente dei pregiudizi, da una pseudomorale. Duemila anni di civiltà ci sono occorsi per liberarci da idee retrogradi. Ora abbiamo la moderna mentalità: il desiderio di sentirci diversi, il desiderio di sentirci ossequiati, notati. Poveri noi! Esso non è altro che il desiderio vecchio quanto il mondo di sentirci amati. Ogni mezzo è buono a questo scopo.
Anche i morti possono servire a farci amare. Ovviamente essi servono anche a farci incontrare la “sciorta”. A ciò potrebbe bastare la sessualità provocata; ma se ad essa aggiungiamo l’atmosfera del 2 novembre, con modica spesa, otteniamo un risultato più o meno soddisfacente. L’importante è quadrare bene la situazione.
I più fortunati sono coloro che hanno il loro caro defunto presso dei morti poco abbienti. Basta una buona mostra di sé, venti crisantemi, trenta rose e quaranta orchidee, nonché il morto, serio e silenzioso che assicura la sua benedizione in segno riconoscente.
Quando il giovanotto finalmente si accosta cita un necrologio alla patriarca. L’interessata invece finge un prostrato dolore laddove la sua attenzione è rivolta al futuro pretendente, quello che gli darà un amore genuino, perché nato in così serie circostanze…Un altro affare è concluso…
Gli interessi, le debolezze, le esibizioni, gli sfoggi, le superbie, tutte le nostre maledette compensazioni sono appagate.
Ciascuno ha avuto il suo, meno che i morti, i quali restano soli e freddi più che mai rossi in viso per la vergogna di essere stati vivi una volta…

LUIGI MARI

Nota di Franco Penza:
Da IL PENZATORE del gennaio 1971 Anno, 1 Numero 1, stampato nella tipografia Mari in Via Purgatorio 71 a Torre del Greco composto con i caratteri mobili a mano, lettera per lettera da Franco Penza. La carta è ingiallita, ma il contenuto è ancora vivo, per essere in tema.



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