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ID: 1613  Discussione:

Autore: ciccio raimondo  - Email: ciccioraimondo@libero.it  - Scritto o aggiornato: sabato 16 aprile 2005 Ore: 19:57

Il Vesuvio e il suo rischio.

Il Vesuvio e il suo rischio.

All’amico Mario Fusco che ci ha indicato l’articolo del giornalista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, un saluto ed un ringraziamento per aver proposto l’ennesimo “problema Vesuvio”. In effetti esso è quasi eterno come il vecchio Bebio (versione greca e contratta del nome latino Vesuvio). Nella lingua greca antichissima esisteva una lettera chiamata digamma, vale a dire due gamma. Il gamma corrisponde alla nostra G. Esso graficamente era simile alla nostra F effe. e foneticamente aveva un suono simile alla odierna B spagnola: es. la parola caballo che si pronuncia cavaglio. Quella v non è proprio v ma c’è, come in filigrana, anche la lettera b. Questo famoso digamma esisteva anche nella parola che tutti noi abbiamo nel cuore e cioè ……tutti direbbero… Mamma.
E quasi, quasi ci siamo perché la parola è ITALIA. Infatti anticamente essa era (F) ITALIA dove quella che sembra una F è il famoso digamma che sta al posto della V di vita lettera che non esisteva nell’alfabeto, non antichissimo, ma antico dei greci. VITALIA era infatti la terra dei vitelli: il latino Vitulus. L’antico digamma aveva l’abitudine di cadere ed infatti cadde e non lo si vide più graficamente ma foneticamente dovette vivere a lungo. Giacché ci troviamo diremo che la nostra patria ha avuto parecchi nomi. Oltre ad ITALIA gli antichi l’ hanno chiamata: ESPERIA, ancora il digamma che cade. Infatti Fesperia, ovvero Vesperia, da vespero o meglio tramonto, quindi terra dove tramonta il sole e cioè ovest rispetto all’Ellade di Omero.
Fu chiamata pure ENOTRIA ed ancora quel povero digamma che cade Tutti sanno, specie in questi ultimi tempi, quanto si stia facendo per la produzione vinicola in Italia.
ENOTRIA, dunque, era ed è la terra del vino. Chiamavano gli antichi la nostra patria anche ERIDANIA, dove lo zucchero centra solo di stramacchio. Eridano fu, infatti, l’ antico nome del PO: fiume che nasce dal Monviso e sfocia a delta nel mare Adriatico dopo aver irrorato con i suoi affluenti la pianura padana.
Questa è la patria degli odierni padani, fratelli d’Italia, che tanto, ma tanto bene ci vogliono. Essi lo dimostrano con generosità quando esprimono concetti economici mutuati dal loro atavico attaccamento al lavoro diversamente dai meridionali che furono e sono poltroni, mangiatori di maccheroni, cantastorie, suonatori di mandolini, e nipoti di quegli antichi Ausoni, abitatori del basso Lazio, odierna Ciociaria, e, quindi, pecorari con le cioce e suonatori ancora una volta di zampogne pifferi e ciaramelle.
Da costoro poi traeva ancora un altro nome la nostra bella Italia e cioè AUSONIA. E con questo nome chiudo l’argomento patriottico e mi ricollego al Vesuvio.
Mi scuserete per questa lunga digressione, ma ogni tanto io mi ricordo di essere stato un insegnante e quando mi si offre l’occasione mi infilo in questa veste e cerco di interpretare il ruolo. Ogni tanto fare una ripassatina non fa male anche se espressa in una forma che ricorda tanto la settimana enigmistica. Strano ma vero. Non tutti sanno che…

Il Vesuvio, dunque, paragonato al Diavolo ed anche qui ci siamo andati vicino. Quando nel 79 d.C. alla fine di quell’estate avvenne la famosa eruzione qualcuno, anzi moltissimi testimoni pensarono alla Fine del Mondo e affermavano convinti che Alcioneo, uno dei più formidabili Giganti che avevano assalito Giove, vedi: Gigantomachia, si fosse liberato ed assieme ai compagni fuoriuscisse dalle profondità della terra, dove Giove stesso con l’aiuto del suo figliuolo semidio, Ercole, figlio della bella Alcmena, lo aveva imprigionato e pieno di rabbia stesse di nuovo dando la scalata al cielo.
Precedentemente il povero Padre degli dei aveva dovuto combattere contro un altro figlio di Gea il famoso Tifone o Tifeo alla fine di questa epica battaglia fu scagliata contro il povero Tifone nientemeno che l’intera isola di Sicilia e proprio sul capo del gigante graverebbe l’Etna o Mongibello e da qui i vari scuotimenti dell’isola e le frequenti eruzioni del vulcano.
Gli antichi quando non riuscivano a decifrare razionalmente la Natura si rifugiavano nel sicuro spazio del mito e in qualche modo si facevano una ragione di ciò che non riuscivano a comprendere. Diavolo il Vesuvio? Noi moderni, noi pieni di scienza e di tecnica possiamo affermare una simile stronzata?
Certamente l’ultima eruzione del 1944 ha trasformato completamente la fisionomia del Vulcano con lo sprofondamento del conetto eruttivo e con l’ostruzione del condotto principale insomma s’è appilato tutto.
E ora tutti si chiedono e preconizzano la prossima eruzione sul come e sul quando e meno male che non si interrogano anche sul perché.
Io invece alcuni perché li vorrei porre in argomento sperando in qualche onesta risposta.
Perché noi torresi, assieme ad altri Lestrigoni, antichi abitatori cannibali di queste zone insomma i nostri antichi progenitori, proprio dopo quella pure ultima spaventosa eruzione abbiamo, armi e bagagli alla mano, preso a costruire abitazioni dove un tempo vi erano solo sperduti cellai e miseri ma onesti pagliai?
Perché l’acquedotto Vesuviano si è allungato fin sopra le ultime falde del nostro vulcano? Perché anche l’ENEL ha fornito corrente monobasica, trifasica, quadrifasica fin lassù?
Perché la TELECOM ex SIP ha infisso i suoi pali a destra e a manca fin lassù? Perché la NAPOLETANA GAS ha allungato i suoi tubi fin lassù?
Perché infine uomini politici e operatori della giustizia non hanno fatto niente per impedire che si arrivasse al punto in cui ora ci troviamo e ci facciamo tante belle domande a cui poi non sappiamo rispondere?
Sul quando e sul come avverrà la prossima eruzione non credo che vi sia alcuno scienziato in grado di dire con certezza niente di niente. Al momento tutti possono dire con qualche precisione sulle eruzioni del passato ma su quelle del futuro siamo nelle mani di Dio. E’ come si volesse prevedere l’azione di una persona imprevedibile e pericolosa. Il pericolo c’è e c’era pure cinquant’anni fa, ma si è voluto fare, costruire, migliorare, arricchirsi, godere dell’aria salubre della zona pedemontana, credendo di stare sul Faito o a Massalubrense o alle pendici del Monte Solaro.
Alla luce di quanto detto possiamo con serenità affermare che il Vesuvio è il Diavolo? A me non pare, anzi se il diavolo ha le corna qui di corna….beh lasciamo stare se no…..chissà dove si andrebbe a finire. Ma a parte gli scherzi, che scherzi poi non sono, è mio parere che se di diavolo vogliamo parlare ci dobbiamo riferire in questo caso all’unico e solo diavolo che affligge l’umanità da sempre: il danaro.
Si badi bene che ho detto in questo caso. Infatti mi si potrebbe facilmente dare del matto se volessi generalizzare. Il danaro è una cosa ed in sé le cose non hanno nulla di bene e nulla di male .L’uso che si fa delle cose le connota e dà ad esse un valore morale sia in positivo che in negativo.
In questo caso dunque ci si è fatti portare dalla mano e a poco a poco, come avviene per le famose malattie mortali, di cui ci si accorge del pericolo solo quando ci sei entrato con i piedi dentro, l’intera comunità ha aperto gli occhi, si è accorta del pericolo ed ora chiede a destra e a manca cosa fare, come fare senza saper dare risposte certe al suo incerto futuro.
E risposte non credo che se ne possano dare in questo senso.
Ma ora io mi fermo dando la parola ad altri che vorranno interloquire e apportare ulteriore contributo al nostro discorso.

Francesco Raimondo

 
 

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