Millennio addio!

IL CARATTERIALE
VESUVIANO


GIORGIO,
AVANGUARDISTA AUTENTICO


Quando ripenso a Giorgio, vero maestro del colore, esperto di grafica artistica da riproduzione, mi prende il magone. Rimembro i tempi andati del dopoguerra, quando noi ragazzi, per così dire, vesuviani, venivamo coinvolti nei mestieri improvvisati dei grandi.
Una volta tentai di fare il madonnaro: fu un disastro, la pittura non faceva al caso mio. Infatti non ho mai capito la pittura di Giorgio. Amavo il suo entusiasmo, il suo credere ciecamente alla sua opera. Diceva che nelle sue superavanguardistiche tele vi era concentrata tutta la travagliata storia di Napoli, un popolo clown.
Ricordo Giorgio nella sua grossa mole fisica, quando fece saltare la serratura della porta d'ingresso di Via Purgatorio con una spallata. Si difese subito dicendo che la nostra è un'epoca disonesta, perché fanno le porte di ricotta... «Desidero cento visita - aggiunse. - Lui', me li devi consegnare ieri ».
Giorgio mi osservava, con la testa altrove, mentre infilavo nel gruppo di rulli della pianocilindrica dei fogli di prova stampati più volte allo scopo di sottrarre inchiostro eccessivo. Mi fece notare che quelle scartine avevano fatto tutte le guerre. Infatti erano fogli di avviamento, passati per la macchina più volte in un arco di tempo lungo. Dove compariva una scritta, dove un fondino carminio, più in là un tono di colore indefinito, e tanti altri elementi frammentari e alla rinfusa. Un risultato che a volerlo realizzare non bastava Picasso; una di queste scartine di cartoncino rigido non si arrotolò, uscì spontanea dalla macinazione e veleggiò intrepida per adagiarsi docile ai piedi di Giorgio. L'uomo dilatò le pupille e tentava di dischiudere le labbra nello sforzo vano di profferir parola.
Era in completa afasia, tanto che io sospettavo i sintomi incipienti del grande male. Raccolse la scartina con la cautela di un artificiere, la poggiò lentamente sul banco, indi mi si avvicino e mi estorse dalla guancia l'adesione ad un bacio vigoroso, per fortuna brevissimo.
Lacrimava di cuore, poi si dimenava nel corpo, batteva i piedi sul pavimento, indi faceva le fusa e sorrideva ebete. Prima che incominciasse a rotolarsi per terra capii che provava una gioia autentica, puerile. Tra riso e pianto, tremante, in pieno orgasmo fece il gesto di rilasciarmi un assegno, poi, per mia sfortuna, si rimise il carnet in tasca dicendo che una tale opera non aveva prezzo, il cui compenso non rientrava nelle sue possibilità. Il suo conto corrente era sempre in rosso...
Quella scartina, per me, onestamente, insignificante, fu la vita per Giorgio. Quando gli dissi, più dietro lo spavento che la generosità, che poteva tenerla ricominciò con quei, devo confessarlo, disgustosi baci a labbra piene. Fosse stato un russo o un mafioso, povero me!
Quella scartina fu l'emblema del suo genere artistico, che, nemmeno nei momenti di pathos di più alta ispirazione, di maggiore follia creativa aveva saputo realizzare. Prese a sbaciucchiare la macchina tipografica, la fece lustra, (anche se un tantino maleodorante), come il gatto fa col proprio corpo. Malgrado le apparenze paranoicali, Giorgio era tanto buono, non solo, pure culturalmente preparato, e di una intelligenza singolare. Si dirà: non vuol dire, ma è mille volte preferibile un folle buono che un equilibrato malvagio. Giorgio era quello che si suol dire un vero amico. Egli sfatava l'assioma di Pierre Reverdy: L'amicizia è una complicità e quando cessa l'amicizia svanisce.
Giorgio fu amico sino alla fine. Nel letto di morte cincischiava all'altezza dei precordi nel tentativo vano di raccogliere un portafoglio che non aveva mai contenuto più di tre o quattro banconote, voleva ripagarmi quella gioia che, senza alcuna fatica, involontariamente gli avevo dato cinque anni prima in quella negletta fucina di maestosi esempi di vita che è la mia bottega di via Purgatorio. Pensai, in lagrime, quanto basta poco per rendere felice un uomo rimasto lontano dall'affettata, adulta sedicenza, un uomo che aveva provato l'ebbrezza di sentirsi grande in una dimensione bambina. Una parte del mio smisurato amore per le arti grafiche è dovuta a lui.
                                                       Luigi Mari

     
                                    Conciatiane

TOTONNO PEZZE 'NCULO
E VICIENZO PIERE PE' TTERRA

Tutti sanno che i soprannomi riflettono la personalità, il mestiere, la condizione di un individuo, quindi potete gia farvi un'idea della morale della favola. I due tipografi in questione erano ubicati sulla stessa strada l'uno di fronte all'altro. La spietata lotta commerciale durava da ben cinque lustri. Non si contavano le aggressioni fisiche, le rappresaglie, i boicottaggi.

Sulle due fazioni nacque un vero mercato nero, giochi d'azzardo, ecc. Si scommetteva su chi rompeva prima la testa all'altro, sul numero dei clienti che entravano in ciascuna bottega nell'arco della giornata e via discorrendo. Scrivani e assistiti lavoravano a tutto spiano, tra cabala e smorfia. Insomma nacque un'attività economica che arrotondava i magri stipendi del vicinato. Intanto i due durante le tregue lavoravano come turchi, poiché a mano a mano che i costi si riducevano, la clientela diveniva sempre più nutrita. Quando le prestazioni raggiunsero il costo zero Totonne pezze 'nculo e Vicienzo piere pe' tterra dilapidarono tutte le loro risorse e mandarono le famiglie sul lastrico.
Quella strada morì nel senso commerciale. I bancarellari tentarono nuovi siti. Gli scommettitori ripiegarono con il toto nero. In tutto il quartiere aleggiava un'aria di detrimento. I due ambulavano nel quartiere, boccheggianti per l'inedia, dimessi e malnutriti, il viso grinzoso ed emaciato. Un giorno si incontrarono. Non si azzuffarono, non avevano altra forza che quella della disperazione. Non si sa bene se si abbracciarono nel tentativo di non buscarle, come fanno i pugili, o se si caddero addosso per il deperimento. Fatto sta che decisero all'unisono di fare appello al buon cuore dei passanti.
Col viso smunto, non rasato, rattoppati e semiscalzi, puntualmente, ogni mattina occupavano le postazioni dei sagrati di due chiese, guarda caso, prospicienti l'una l'altra. Trascorsero alcuni mesi e, se pur non navigavano nell'oro, li si vedeva più nutriti, rasati, con banchetto con urna per ricevere l'obolo senza la mano tesa, il telone controvento, la ceneriera, il mazzo di carte, il minibar nel banchetto, ed i ringraziamenti formulati in locuzioni rivolte ai defunti, stampati in cartoncino formato visita per le 1000 lire, in pergamena per le 2000, in papiro originale dell'antica Cina, made a Forcella, per le 10.000.
Ma un giorno l'uno notava maggiore affluenza sull'altro sagrato e decise di scemare le tariffe. Dichiarare la guerra ad una grande potenza era meno grave. Aggressioni. Parolacce. Boicottaggi. Teste rotte. E ancora: bancarelle. Assistiti. Scommesse. Insomma un altro quartiere intero si risollevò dalla secolare indigenza.
Totonne pezze'ncule e Vicienzo piere pe' tterra questa volta finirono in mutande, alla lettera. Distrutti dalla fame, annichilati nel disonore perirono e furono inumati, destino infame, l'uno dirimpetto all'altro in un povero viale del camposanto, a pochi passi da un cenotafio e un famedio. Ma accadde... (Intelligenti pauca).
Luigi Mari