Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 34 |
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Un
significativo indicatore di tale angosciante situazione può ravvisarsi
nel massimale stanziato da una apposita istituzione torrese per il
riscatto dei corallari fatti schiavi. Nel 1639, quando si contavano fra i
suoi cittadini ben 18 padroni di barche coralline, era stato fondato il
'Monte dei Marinai' finalizzato a fornire in quel malaugurato caso 50
ducati per ciascun membro schiavo. Nel 1724 la cifra fu elevata a 75,
conferma del montare del timore. Per l'epoca risultava comunque
notevolmente inferiore,forse appena un quarto,ai riscatti pretesi dai
barbareschi per marinai giovani e robusti, ma costituiva una contribuzione
che si andava ad aggiungere alle cifre stanziate all'uopo dalle notorie
confraternite redentoriste, agevolandone sensibilmente l'azione, e
contribuendo a tranquillizzare, nei limiti del possibile, i pescatori. Per
meglio apprezzarne la modernità va precisato che si trattava di una
associazione di mutuo soccorso e non di una confraternita religiosa, una
specie cioè di mutua o di assicurazione nell'attuale accezione del
concetto (95). "...riuscì
agli stessi pescatori di trovare una secca distante dalla Galita venti
miglia, e
verso Greco quanto a Tramontana,
dove fecero una ricca
pesca,siccome fecero nel 1784.Nel 1785 cominciarono ad inoltrarsi sempre
più verso il lido,
ed in distanza di dodici miglia
fuori Capo Negro fecero la terza pesca...Così tutta l'intera pesca del
corallo in quei mari forma l'estensione di sessanta miglia per Ponente a
Libeccio,e si allontana dal lido dodici,quindici,venti e quarantatre
miglia..."
(97).
Dal canto suo re Ferdinando,forte della sentenza e ben accorto a
non contraddirla nella definizione delle distanze,con un tardivo
dispaccio datato 15 aprile 1788,autorizzava i corallari alla:
"...libera
pesca del Corallo ne' mari d'Africa ed
in altri,
ne' quali tutti la M.S. favorirà
con ogni conveniente mezzo tale utile industria diretta al mantenimento
effettivo di una considerevole popolazione,
la quale non trovando alle falde
del Vesuvio sufficiente sussistenza,
e lavoro per procacciarsela,
deve per ogni giusto riflesso
esser protetta,
ed incoraggiata nell'indicato utile
ramo che da tanto tempo professa.
Onde ai medesimi si lascerà
libero il tempo di pescare all'Isola della Galita,
e ne' suoi contorni,
come quella,
che se ne ritrova lontana a
diciotto o venti miglia;
purchè non si gettino essi
nella Costa,
rompendo la prescritta distanza
delle dieci o dodici miglia per ogni lato di quella,nè si mescolino co'
Battelli Francesi in veruna parte coll'avvertenza che aì primi lamenti
della Compagnia i contravventori a tale articolo saranno esattamente
puniti per la disubbedienza..."(98). Il ricchissimo banco di eccezionale corallo e di incredibile facilità di prelievo fu denominato 'Summo', toponimo che non sottintende affatto un oscuro pescatore ma appunto la insignificante profondità dello stesso e quindi la sua inusitata convenienza (99). La Galita divenne perciò in breve volgere una vera base operativa dotata di semplici ricoveri dove numerosi torresi potevano rifugiarsi,di tanto in tanto,durante la stagione della pesca. Il moltiplicarsi delle campagne negli anni successivi favorì l'organizzarsi, persino,funzioni sociali fino ad allora assolutamente inedite ed impraticabili.Iniziò ad esempio a seguire la flotta un sacerdote, designato con il titolo di 'Cappellano delle Barche', che celebrava sull'isolotto le prescritte funzioni religiose, favorendo inoltre il mantenimento dei contatti epistolari fra i corallari, per lo più analfabeti,e le loro famiglie a Torre. In particolare si prodigò per garantire quella assistenza spirituale il preposito curato don Vinceno Romano, che in diverse circostanze si fece interprete presso il re di Napoli di suppliche per la liberazione dalla schiavitù di pescatori catturati nel corso della loro attività.Infatti, se i rischi connessi con l'intolleranza della Compagnia erano stati in qualche modo superati, non così poteva dirsi per quelli,di gran lunga peggiori, derivanti dai corsari. |